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Michelangelo

Michelangelo, Chef Michelangelo Citino, Linate

Expo 2015 si avvicina e la ristorazione milanese comincia ad assumere l’assetto che accompagnerà un anno in cui, verosimilmente, ai locali meneghini non mancherà il lavoro; non è certo un caso, allora, che proprio in vista di tale traguardo, chi ha potuto investire abbia cercato di puntare su alcuni spazi cruciali per la città.
Ed è proprio in questo senso che va letta l’apertura di Michelangelo, locale che porta la cucina gourmet all’interno dell’aeroporto di Linate, un luogo che vedrà il passaggio obbligato di un altissimo numero di operatori di un’Esposizione Universale che, col suo tema Nutrire il Pianeta, promette grande attenzione anche al mondo del cibo.
Alla guida delle cucine di questo locale troviamo Michelangelo Citino, allievo di Marchesi e Ducasse con esperienze tanto alberghiere quanto in contesti non convenzionali come la Triennale di Milano.
Michelangelo si presenta fondamentalmente come ristorante gourmet ma si dimostra anche, con una carta assai elastica che vede persino la presenza di tre proposte “a tempo”, pronto ad accontentare una fascia piuttosto ampia di clientela. In tal senso ci pare vada inteso anche lo stile adottato da Citino, fatto di piatti dall’anima contemporanea e di tecnica sempre puntuale, con cotture precise ed attenzione alle materie prime. In carta prevalgono creazioni plasmate con pochi ingredienti e presentate in modo semplice ed elegante strizzando l’occhio ai canoni estetici cui la bistronomie ci ha nel tempo abituato.
Fra piatti generalmente ben costruiti e una solidità tecnica a prova di errori banali, ciò che ci è mancato un poco è stato il coinvolgimento emotivo. A parte la trippa, in cui l’evidente nota piccante ha regalato qualche vera sferzata di interesse al palato, la dolcezza, mai peraltro eccessivamente disturbante se non in un dessert davvero ai margini della stucchevolezza, ha finito per prevalere in quasi tutti in piatti provati. Anche un certo didascalismo delle preparazioni ha finito per far sì che in mezzo ad una cena di livello comunque alto, mancasse il vero balzo sulla sedia.
La carenza di emozioni forti ci pare peraltro in linea con un locale tanto articolato negli interni quanto, in ultima analisi, piuttosto asettico nell’effetto complessivo, condizionato dall’alto soffitto e dagli spazi assai dilatati ed è probabilmente una precisa scelta strategica quella di offrire una cucina precisa ma allo stesso tempo fatta di mezzetinte e priva di dissonanze.
Ovviamente la nostra indole curiosa ci fa sperare che Michelangelo Citino sappia aggiungere alla carta un maggior numero di piatti a tinte più vivaci, ma per il momento non possiamo che riscontrare come a Milano ci sia una tavola in più che vale la pena di frequentare e di tenere d’occhio.

Gambero rosso marinato, panna agra, olio all’aneto e granita alle arance tarocco. Un fresco preambolo.
gambero rosso, Michelangelo, Chef Michelangelo Citino, Linate
Gnocchi soffiati arrosto, fonduta al taleggio, frutta glassata e cacao. Il basso dosaggio del cacao è un’occasione persa per contrastare la dolcezza degli altri elementi. Ottima l’idea di rispolverare i quasi dimenticati gnocchi alla parigina.
gnocchi soffiati, Michelangelo, Chef Michelangelo Citino, Linate
Trippa mantecata alla paprica dolce, gamberi e lardo. Bella piccantezza che per una volta contrasta seriamente le varie dolcezze.
Trippa mantecata alla paprika, Michelangelo, Chef Michelangelo Citino, Linate
Pluma di maialino iberico, pesto ai fichi secchi al porto e pak choi. Ineccepibile per la cottura, che pur appena prolungata rispetto a come siamo abituati ci ha convinto, e per materia prima.
pluma di maialino, Michelangelo, Chef Michelangelo Citino, Linate
Spuma al mascarpone, fave di tonka e frutto della passione, un poco carente in concentrazione.
spuma al mascarpone, Michelangelo, Chef Michelangelo Citino, Linate
Mousse al cioccolato bianco, cardamomo, finocchi e liquirizia. Davvero troppo dolce.
mousse al cioccolato,Michelangelo, Chef Michelangelo Citino, Linate
Il pane, invero non eccelso.
pane, Michelangelo, Chef Michelangelo Citino, Linate
Raggiungere il locale non è immediato, ma le indicazioni non mancano.
Michelangelo, Chef Michelangelo Citino, Linate

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Sarà la crisi, proverbialmente foriera tanto di difficoltà quanto di opportunità, o sarà forse la corsa all’Expo, ma era da tempo che a Milano non si osservava un tourbillon di chiusure ed illustri aperture come quello cui si è assistito a cavallo fra il 2013 ed il 2014. Pluripremiati cuochi hanno mutato indirizzo o aperto il secondo o il terzo locale, ed importanti insegne cittadine, per scelta o costrette dagli eventi, hanno optato per un cambio di chef.
E’ così capitato che l’apertura di Mamai (in gaelico: madre), nei locali fino a poco prima occupati da Alice, pur non passata sotto silenzio, non ricevesse un’eco mediatica di primo piano e ciò malgrado l’evidente sostegno dell’uscente Viviana Varese, a sua volta ingaggiata da Oscar Farinetti per occuparsi della ristorazione dell’Eataly meneghino.
Al timone del ristorante troviamo in cucina Davide Viviani e Stefano Sardella in sala. I due, provenienti da formazioni assai diverse da quella culinaria e tuttora impegnati insieme in altri progetti, hanno riversato il proprio entusiasmo in questo locale e dobbiamo dire che, per quanto Mamai non ci sembri al momento destinato a stravolgere la geografia della Milano da mangiare, i risultati sono già decisamente apprezzabili.
La vocazione del locale è quella del bistrot moderno, format che di questi tempi s’impone come necessità ancor più che come scelta; la cucina ci è sembrata più a proprio agio alle prese con i piatti a maggior tasso di creatività che in quelli più improntati su stilemi più classici.
Il menu più ampio, prezzato 50 euro, non trascura la carne, ma è nei piatti a base di pesce, in particolare negli ottimi spaghettini mojito o nel moderno e complesso ceviche di gamberi, che Viviani dà il meglio di sé. Di contro alcune ingenuità, talvolta tecniche e talora di concezione, finiscono per lasciare l’impressione che in cucina ci siano ancora diversi tasselli in attesa di trovare una collocazione.
Grazie ad una cantina non priva di spunti interessanti e al servizio spigliato, l’esperienza complessiva risulta di assoluta piacevolezza, anche se qualche sovrastruttura di troppo, come l’incessante servizio del pane al tavolo invece del meno invadente cestino, risulta un poco stridente con l’atmosfera distesa che l’ambiente e il conto, nient’affatto impegnativo, suggeriscono.
Riteniamo che se questi ragazzi sapranno lavorare con intelligenza, e non ci pare sia una dote che manchi, riusciranno a trarre tesoro dall’aver ereditato dalla precedente gestione un pesante fardello di responsabilità ma anche una clientela attenta e ben disposta verso questo genere di cucina.

Aperitivo (giunto in tavola malgrado avessimo direttamente ordinato il vino per la cena): tutto già visto, ma ben realizzato.
aperitivo, Mamai, chef Davide Viviani, Milano
aperitivo, Mamai, chef Davide Viviani, Milano
L’entrata offerta dalla cucina: “gazpacho” di cannellini con olio al rosmarino e pinoli. Semplice. Anche troppo, rispetto ai piatti successivi.
gazpacho, Mamai, chef Davide Viviani, Milano
Ceviche di gamberi: carpaccio di gamberi, cipollotto di Tropea, sedano croccante, maionese di corallo, salsa di lime e gelatina al Campari. Acidità spinta, freschezza, complessità: un gran bell’inizio per questo percorso degustazione.
ceviche di gamberi, Mamai, chef Davide Viviani, Milano
Lingua salmistrata: insalata di lingua con sottaceti, pan di spagna alla cipolla e salsa di yogurt. Una cottura più fondente sarebbe stata forse più appropriata, ma il piatto risulta complessivamente ben riuscito.
lingua salmistrata, Mamai, chef Davide Viviani, Milano
Mojito: superspaghettino con brodo di menta, gamberi, zeste di limone e gelatina di rum. Il piatto migliore, malgrado il formato di pasta causi una limitata tenuta nella cottura della pasta nel liquido caldo. Se la cena avesse mantenuto il livello di questi primi tre piatti staremmo parlando di una grandissima novità sulla piazza milanese, non solo di un’interessante apertura.
mojito, Mamai, chef Davide Viviani, Milano
Pasta troppo spessa e coriacea (e non ben chiusa), soprattutto in rapporto ad una farcia di consistenza assai impegnativa, per i Ravioli di castagne e pecorino romano con riduzione all’Amarone e all’aceto balsamico tradizionale di Modena.
ravioli di castagne e pecorino, Mamai, chef Davide Viviani, Milano
Costoletta d’agnello e fegato grasso con tartufo nero, frutta secca, roesti di sedano rapa, mele caramellate e ganache. Tanti elementi per un un secondo classicheggiante che convince fino ad un certo punto, per le materie prime “nobili” non al top e il roesti eccessivamente salato.
costoletta d'agnello, Mamai, chef Davide Viviani, Milano
Crema di ricotta dolce con granita di fichi. Stagionalità non perfetta ma ottimo risultato per un predessert quasi ideale.
crema di ricotta,Mamai, chef Davide Viviani, Milano
I dolci alla carta sono in prevalenza rivisitazioni di classici. Oltre ad una discreta granita al caffè con brioche (in apertura) abbiamo provato una deludente declinazione del Tiramisù, poco originale e dalla limitata “tenuta” nel piatto.
dolci, Mamai, chef Davide Viviani, Milano
Mamai, chef Davide Viviani, Milano
Mamai, chef Davide Viviani, Milano

Se dovessimo fare un classifica dei termini più in grado di raggelare l’appassionato gourmet, vittima dell’inevitabile consiglio dell’ennesimo amico entusiasta, sul podio troveremmo senza dubbio, perlomeno al Nord e nelle grandi città, il termine fusion.
Negli anni 2000 il proliferare di locali, molti dei quali a basso quoziente di probabilità, che facevano della contaminazione di cucine dal mondo la propria bandiera, ha portato il mondo ghiotto a ribattezzare con-fusion, o nei casi più violenti kung-fusion, questo approccio culinario.
Ma al di là delle ironie e delle facezie, le potenzialità dell’inserimento di elementi autenticamente fusion in contesti di cucina, anche molto alta, sono elevatissime. E’ sufficiente pensare alla cucina di Robuchon e alla sua influenza sui grandi chef francesi attualmente nel fiore della carriera, per poterle riconoscere.
Con la sua propria ostentata attitudine per il nuovo e per l’insolito non poteva che essere Milano, in Italia, l’incontrastata capitale della cucina fusion. Ed è proprio nella città della Madonnina che Wicki Priyan, criminologo cingalese appassionato di Giappone e di cucina, ha trovato il successo. Nel suo Wicky’s Wicuisine, Priyan propone una cucina di marcata impronta nipponica, ridisegnata però a partire da ingredienti provenienti da tutto il mondo, con un occhio di riguardo per il Paese ospitante.
Rispetto alle nostre visite precedenti dobbiamo dire di essere stati davvero colpiti dal sushi, che relativamente a questa visita non fatichiamo a definire tra i migliori finora assaggiati sul suolo italico. Chicchi ben separati e percepibili come tali, eppure perfetto supporto a Nigiri a prova di cedimenti strutturali. Materie prime oltre ogni possibile discussione. E soprattutto abbinamenti talora azzardati, ma sempre mirati ad esaltare le caratteristiche specifiche dell’ingrediente principale.
Altri piatti, soprattutto i secondi presenti nel menu degustazione, tengono molto in alto l’asticella, mentre in altre preparazioni la cucina interviene sui prodotti con meno personalità. Ci aspetteremmo, inoltre, visto il rango del locale, qualcosa di più dai dolci. Invece, per la quarta delle “onde” previste dalla carta, bisogna accontentarsi dei dessert prodotti dalla pur ottima pasticceria Besuschio, serviti, come nel caso dei gelidi sorbetti, in modo non sempre ottimale.

L’ottimo carpaccio dei 5 continenti, un classico di Wicky Priyan.
carpaccio, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Meno significativo quest’altro carpaccio, accompagnato da indivia, salsa yuzu, soya e capperi Serragghia.
carpaccio, indivia, yuzu, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Di bella personalità il carpaccio di Angus alla soya, arricchito dalla salsa Wicky e dal sake.
Angus alla soia, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Il notevolissimo sushi.
sushi, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Elegante e molto buono, malgrado l’apparente abbondanza di condimento, il filetto d’orata con salsa al lemongrass e zenzero, accompagnato da friggitelli.
filetto d'orata, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Sullo stesso ottimo livello ecco il Kaneki Kyoto, maiale cotto 16 ore con mela caramellata e senape.
maiale cotto 16 ore, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Anatra alla soya, un poco asciutta.
anatra alla soya, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Non memorabile la tempura, con qualche residuo d’olio di troppo.
tempura, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Fra i dolci è apprezzabile il new tiramisù.
new tiramisù, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Mentre la temperatura gelida rende davvero problematici questi gelatini “il cuore della frutta”.
Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
Si beve bene, e con ricarichi tutt’altro che da Milanodabere, sia quando l’etichetta è nota…
krug., Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano
…sia quando ci si affida alla casa.
sake, Wicky's Wicuisine, Chef Wicky Priyan, Milano

Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano

Entri, ti siedi, apri il menu e inizi a leggere: “Incendio nel porcile”, “Ora o mai più”, “Riassunto di cosce” sono solo alcuni esempi di nomi di piatti…un po’ spiazzato, alzi gli occhi e non puoi non notare una serie di cassetti che sembrano uscire da una parete.
Inizi seriamente a temere di essere finito in un antro di cucina iper-concettuale dove opera il giovane apprendista stregone di turno. E invece…
Siete nella parte migliore di una zona non bellissima della periferia nord di Milano. Lontano dai nani e dalle ballerine che affollano quella che una volta era definita la “Milano da bere”. Il ristorante si chiama Manna ed è, già da qualche anno, il regno di Matteo Fronduti: cuoco che vi colpirà da subito, oltre che per l’imponenza dei baffi, per la grande carica di passione che riesce a trasmettere.
Sarà lui probabilmente già ad aprirvi la porta e certamente prenderà le ordinazioni. Quindi lo vedrete, infaticabile, fare la spola tra sala e cucina per controllare che ogni cosa vada per il verso giusto.
Insomma, il classico cuoco che ci mette la faccia oltre al nome.
Ma, poco sopra, abbiamo lasciato sospeso un invece…
Altro che cucina concettuale. Quello che più colpisce al Manna è proprio il contrasto tra certo surrealismo dell’ambientazione – nomi dei piatti inclusi – e la assoluta concretezza della cucina che è materica come poche.
Ingredienti di qualità molto buona, preparazioni semplici, attenzione maniacale nelle cotture e una grandissima concentrazione di sapori. Cucina, dunque, di assoluta sostanza ma, al contempo, di nessuna pesantezza.
Siamo a inizio dicembre, la stagione dei porcini è ormai agli sgoccioli e così: “Ora o mai più” è Riso mantecato, funghi porcini e bagoss. Un risotto perfettamente eseguito. E che funghi.
“Tentacolare” poi non può che essere polpo alla plancia. E che polpo.
E “Riassunto di cosce”? Semplice: prosciutto di bue, pollo affumicato, coniglio e anatra perché son tutte buone le cosce del mondo.
La carta dei vini è abbastanza ristretta, ma tutto sommato adeguata al tipo di locale che il Manna vuole essere. Asciutto, essenziale, con i piedi ben piantati per terra.
Avrete capito l’antifona, da Manna si sta bene, si mangia bene e trovano soddisfazione tanto il raffinato gourmet quanto il palato più semplice.
Un indirizzo prezioso -che dagli esordi ad oggi ha fatto tanta strada- per una serata a tutta gola in una Milano lontana dagli ormai logori cliché meneghini.
Ad Majora.

Ab Ovo – Uovo affogato, finferli e porri. Estremamente goloso. E che finferli!
uovo, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Giacomo XVI – Ravioli tostati di erbe di campo, ragout crudo di capesante, scorza di limone. I ravioli sono fatti solo con acqua e farina. Il risultato sono una sorta di piccoli panzerotti (non fritti, ovviamente). Non un classico primo piatto, ma tutto sommato niente male.
ravioli tostati, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Ora o mai più – Riso mantecato, funghi porcini e bagoss. Grande concentrazione di gusto.
riso mantecato, funghi porcini, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Tentacolare – Polpo alla plancia, lenticchie e pesto di pomodori secchi.
polpo, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano

D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano

Davide Oldani ci aveva visto giusto in quel lontano 2003. Il primo esponente in Italia del movimento dell’alta cucina pop, tesa a democratizzare un concetto ed un percorso sino a quel momento considerato elitario.
Antesignano di un movimento che è quanto mai attuale e contemporaneo. Un percorso, quello dello chef di Cornaredo, che però non si è arrestato affatto all’atto dell’ideazione. La continua e costante crescita del D’O è lì a provarlo.
Tanto tempo è trascorso e tanta strada è stata fatta nella direzione della pulizia stilistica e gustativa. Oggi i piatti del D’O sono molto più precisi, puliti e gustativamente equilibrati di un tempo. Il dosaggio della nota dolce, connotazione tipica di Oldani, è oggi addomesticata e resa sottilmente elegante, tenuemente presente. Lasciando più spazio a contrasti e ad un caleidoscopio di sapori decisamente più complesso ed articolato. Lo spessore del rigore tecnico, mai mancato o venuto meno, è stato affiancato anche da un percorso di ammodernamento e di avanguardia teso alla leggerezza e pulizia delle preparazioni.
Certo, l’impronta classica di Oldani è ancora marcatamente evidente nelle portate principali, che risentono ancora di un timbro che è connaturato nella storia e nel percorso dello chef. Ma a ben vedere è anche un tratto distintivo intrigante.
Così come intrigante e personale è la timbrica gustativa di questa cucina, adagiata sul sucré-salé ma senza per questo esserne sopraffatta.
Se proprio dobbiamo, quindi, eccepire qualcosa alla cucina di Oldani lo dobbiamo fare sui secondi piatti che rispetto agli antipasti e ai primi risentono più di tutti di quel classicismo appunto in cui i fondi, lo sappiamo, la fanno da padrone e rischiano a tratti di tenerlo un po’ imbrigliato.
Davide Oldani in questi due lustri è riuscito a fare qualcosa di unico e difficilmente replicabile e cosa più importante è riuscito a non rimanere confinato nel suo personaggio e nella sua cucina, che per definizione è appunto pop ma in continua evoluzione.
Sicuramente Davide Oldani è però anche pronto a cimentarsi in qualcosa di diverso e di più complesso, magari in quella Milano che lo ha amato sin dal primo giorno. Ci ha visto bene Re Giorgio (Armani) che ha scelto Oldani per la recente cena di gala in occasione della sua “One night only” di Parigi. E chi sa che un re indiscusso della moda non ne incoroni uno, della cucina.

Mise en place
mise en place, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Cipolla caramellata, Grana Padano riserva D’O caldo e freddo: un classico a cui non ci si può sottrarre.
cipolla caramellata, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Cotto-crudo, morbido-croccante, acido-basico: barbabietola un bel gioco per il palato.
barbabietola, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Insalata amara, carciofo e manioca al profumo di carbone: bei contrasti e bella nota fumé.
insalata amara, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Panettone e riso alla milanese: nella nuova versione rivisitata il panettone è sbriciolato anziché a pezzetti e il risultato è migliore.
panettone e riso alla milanese, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Vellutata di cavolo viola e rosso, pisarei, sardine e fichi secchi: un grande piatto che ci ha lasciato senza parole per impatto e consistenza.
vellutata di cavolo viola, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Pistacchio, bergamotto, matcha e riso in due forme: per noi un po’ troppo dolce.
pistacchio, bergamotto, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Cassoeula D’O: un classico della cucina milanese ben interpretato da Oldani.
cassoeula, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Sfera di oliva nera, mela, cavolfiore setato, buccia di lime e uovo affogato.
sfera di oliva nera, cavolfiore, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Pavé di “Fario” dorato, vino e scorzanera amara: il piatto con meno appeal del nostro pranzo.
fario dorato, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
“Carpione” di sgombro, emulsione di frutta all’olio, alette di pollo e puntarelle amare.
carpione di sgombro, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Babà al cioccolato, succo di zenzero, carota ed arancia: per golosi incalliti.
babà al cioccolato, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Crema bruciata di cardi, “Zephir” bianco, origano e tamarindo.
crema bruciata di cardi, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Barbajada.
barbajada, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano