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Essenza

Essenza: mai come in questo caso il nome di un ristorante ne rispecchia, pienamente, la linea di cucina. Eugenio Boer abbiamo iniziato a seguirlo dai tempi di Enocratia, e già allora ne avevamo apprezzato l’entusiasmo, la passione e intravisto il talento. Che restava però ancora in buona parte inespresso.
Oggi, con Essenza, la sua nuova casa, Boer riesce finalmente ad esprimersi con la massima libertà, e i risultati si vedono. Essenza è, infatti, senza dubbio una delle novità più interessanti del 2015 all’ombra della Madonnina (e non solo).
Essenza, come quel che c’è al cuore delle cose, ciò che resta una volta eliminata ogni sovrastruttura.
Essenza, come “Il cervo e la sua storia”: filetto di cervo crudo da mangiare con le mani. Ancestrale, senza compromessi, un boccone da re.
Finalmente un ristorante dove tutto ha un senso, segue un filo, un percorso gustativo. Anche gli amuse bouche, troppo spesso ridotti ad inutile orpello, senza senso e fuori contesto, qui invece raccontano il passato e il presente di Boer e sono curatissimi, per un inizio pasto assai felice.
Essenza come l’ingrediente, la materia e come capacità del cuoco di valorizzarla e di cucinarla. E Boer sa il fatto suo, sia quando gioca con contrasti e toni acidi, come nello sgombro cotto e crudo avocado, cetrioli, erbe selvatiche, caprino e chartreause, sia quando si cimenta in un classico risotto. Il suo Risotto alla Cenere, Salmerino e le sue uova è uno dei più interessanti provati di recente… diventerà un classico, fidatevi.
Essenza. Perché non è necessario giocare con troppi ingredienti per mostrare al mondo che si è capaci di cucinare. Perché è giusto che ogni ingrediente sia essenziale al piatto. Carciofi, Cynar e liquirizia: l’esasperazione dell’ingrediente. Insomma, come avrete capito, Essenza ci è piaciuto e riteniamo che abbia ottimi margini per una ulteriore crescita, pertanto il voto di conseguenza è approssimato verso il basso, in attesa di ulteriori sviluppi, che certamente non tarderanno ad arrivare.
Lo trovate in via Marghera, all’interno di un portone con un gradevole dehors, semi nascosto, discreto, essenziale anche nella location.
Un peccato non venirci, un vero peccato.

Gli interessanti amuse bouche.
Amuse Bouche, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano Cialda di Risotto alla Milanese e spuma di Parmigiano Reggiano (omaggio a Milano).
Cialda, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Bitterballen e Senape dolce (omaggio all’Olanda, una delle Patrie dello chef).
Bitterballen, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Tartare di Salmerino (in onore di Norbert Niederkofler, uno dei suoi Maestri).
Tartare di salmerino, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Madeleine alle Olive Taggiasche e Pesto alla Genovese (Omaggio alla Liguria, altra Patria dello chef).
Madeleine, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Macaron Salvia e Rosmarino con Paté di Fegatini, cuori di Piccione e Grue di cacao (in onore di Gaetano Trovato, altro Maestro riconosciuto come tale dallo chef).
Macaron, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Lungo il Fiume pensando a Marengo. Rivisitazione del Pollo alla Marengo. Cema di patate al tartufo nero, croccantissime briciole di pane aromatizzate all’amaretto, insalata di crescione di fiume, gamberi di fiume e crema di pinoli al whisky torbato. Il tutto immerso in un consommé classico di pollo.
Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Sgombro cotto e crudo, Avocado, Cetrioli, Erbe selvatiche, Caprino e Chartreause.
Sgombro, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Il Cervo e la sua storia.
Cervo, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Tortellini di Gambero Rosso di Mazzara nel loro Consommé al Bergamotto. La sfoglia è bella rustica e giova alla riuscita del piatto.
Tortellini di gambero, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Carciofi, Cynar e Liquirizia. Il carciofo con tutte le sue sfumature, forse al piatto gioverebbe una sfoglia più eterea. Un deja-vu da un’idea di Luigi Taglienti.
carciofi cenar liquirizia, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Risotto alla Cenere, Salmerino e le sue uova.
risotto alla cenere, salmerino, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Bagnon. Rivisitazione di un piatto della tradizione ligure.
Bagnon, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Lavanda, Yogurt, Mirtilli, Capra e Polline.
Lavanda, yogurt, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano

Passione, capacità di selezionare gli ingredienti, onestà intellettuale, caparbietà: sono queste solo alcune delle caratteristiche del bravo restaurant man, ben rappresentato da Enrico Buonocore, patron di Langosteria 10.
In poco più di sette anni ha fatto crescere questo ristorante, portandolo ai vertici della ristorazione meneghina come uno dei (se non “il”) migliori locali di pesce della città.
Certo ci vuole una gran conoscenza della materia prima per acquistare bene (cosa che Enrico ha sempre avuto), ma poi è necessario un vivo spirito imprenditoriale, la squadra giusta intorno e un pizzico di fortuna. Da bravo patron è riuscito a fare emergere il gruppo per intero, senza mai dover dipendere da un solo uomo in cucina.
Il locale, in zona Porta Genova, è chic ed elegante ma senza eccedere nello sfarzo, perché qui il vero lusso è ciò che arriva nel piatto e nel bicchiere: Langosteria 10 è una delle Ambassade della maison Krug (ce ne sono soltanto tre a Milano), e ciò la dice lunga sulla carta dei vini, con un’ampia e accattivante scelta di Champagne che non vede protagonisti soltanto i soliti noti, ma anche una bella carrellata di piccoli produttori a prezzi più che abbordabili.

Ma qui si viene innanzitutto per assaggiare i grandi crudi di pesce: a partire dalle ostriche, con una scelta veramente completa, continuando poi con scampi, gamberoni, bulots, tartufi, clams, mandorle di mare, carabineros, tartare e carpacci, per arrivare poi a prelibatezze più rare, come i ricci o i percebes, i crostacei di origine galiziana.
Potrete scegliere quello che preferite a comporre il vostro personale e quanto mai scenografico Plateau Royal, che arriverà al tavolo accompagnato dalle salse e dai dressing classici, in perfetto stile francese.
Siccome l’appetito vien mangiando si può proseguire alla grande con i primi, volendo anche con un semplice spaghetto al pomidoro (si, con la i), che qui sanno fare molto bene. E poi come non assaggiare il Re dall’Alaska, il King Crab che, alla griglia o al vapore, forse riesce ad essere più buono pure dell’aragosta, anch’essa ovviamente sempre disponibile.
Insomma qualunque sarà la vostra scelta in carta cadrete certamente in piedi, perché Langosteria 10 è una “portatrice sana” di prelibatezze ricercate e uniche.

Negli anni inoltre il patron Enrico è andato a migliorare, da vero perfezionista, tutti quegli aspetti che meritavano attenzione oltre la materia prima, uno su tutti il servizio in sala e la differenza, per chi ha seguito questa avventura sin dai suoi esordi, è evidente.
Di recente è stato ultimato anche un restyling generale all’ambiente, ed è stata creata una nuova zona, in fondo al locale, in grado di assicurare maggiore privacy: un oyster bar ed un cocktail bar, luogo di perdizione dove degustare Krug à-la-flute, mangiare ostriche e fumare un sigaro, una sorta di moderno girone dantesco dedicato a golosi e lussuriosi.
In casi come questo il rovescio della medaglia, che non permette al giudizio di “spiccare il volo”, è il circoscritto operato della cucina, che si limita intelligentemente a non rovinare la preziosa materia, e alla conseguente staticità della proposta, certo varia ma assolutamente costante nel tempo. Ma tutto ciò non è necessariamente un minus: se non conoscevate “la Langosteria” allora andateci al più presto, se invece già lo conoscete tornateci per scoprire le novità.
Non mancate infine di consigliarlo perché non farete mai brutta figura, da qui si esce contenti, con la voglia di tornare presto.

Un tavolo del ristorante, dalle corrette dimensioni ed illuminazione.
tavolo, Langosteria 10, Milano
E ti senti subito “King of the World”: salmone Sockeye dell’Alaska con marmellata di cipolle rosse e crostini al burro. A seguire lingottino di salmone Balik Zar Nikolaj con il suo caviale. Già potreste toccare il paradiso con un dito.
salmone, Langosteria 10, Milano
Un dettaglio del salmone Balik Zar Nikolaj: tornare indietro sarà difficile.
salmone, Langosteria 10, Milano
Scampi, gamberi rossi e bulots, ovviamente freschissimi.
Scampi e gamberi rossi, Langosteria 10, Milano
Acciughe dissalate del mar Cantabrico con crostini al burro. Un classico, qui però a livelli eccellenti.
Acciughe dissalate, Langosteria 10, Milano
Tagliolino con scampi crudi e cotti e fiori di zucca. Piacevole il contrasto con lo scampo crudo, che tende comunque a cuocere lievemente con il calore della pasta.
tagliolini con scampi, Langosteria 10, Milano
Il mitico King Crab cotto alla griglia con verdure. Mai come in questo caso è la materia prima a parlare, e riesce a farlo benissimo.
king crab, Langosteria 10, Milano
Carabinero alla griglia.
carabiniero alla griglia,Langosteria 10, Milano
Le “mitiche” chips della Langosteria, questa volta però un po’ sottotono rispetto al solito standard.
chips, Langosteria 10, Milano
La millefoglie: solo un po’ pesante la sfoglia, che preferiremmo più sottile ed eterea, ma molto buona la farcitura.
millefoglie, Langosteria 10, Milano
I cannoncini con la crema, che a questo punto del pasto sono una sfida anche per i più audaci.
cannoncini con la crema, Langosteria 10, Milano
Piccola pasticceria a fine pasto, decisamente migliorabile.
piccola pasticceria, Langosteria 10, Milano

Talent show culinari, copertine sexy su riviste patinate, discusse pubblicità di patatine: non c’è dubbio che Carlo Cracco sia il cuoco del momento in Italia, volto noto ormai ad un pubblico ben più vasto di quello dei semplici gourmet o appassionati di alta cucina. E a noi, che siamo noti per coltivare quest’insana passione, tocca far fronte, mai come in questo momento, alle domande di amici e conoscenti: ma questo Cracco è davvero un grande cuoco o si tratta solo di un fenomeno mediatico? Ma se sta sempre in televisione chi cucina nel suo ristorante? E soprattutto la regina delle domande: come si mangia nel suo ristorante, vale la pena andarci?
E noi sgombriamo immediatamente il campo da ogni possibile equivoco spiegando che si, davvero Carlo Cracco è un grande cuoco.
Dal curriculum inappuntabile che racconta di tanta scuola francese, da Ducasse a Senderens, fino a Gualtiero Marchesi, con cui è stato sia da giovanissimo a Milano, che successivamente all’Albereta in Franciacorta. E poi la consacrazione con le tre stelle conquistate al timone dell’Enoteca Pinchiorri. Quindi c’è la storia più recente, che è tutta milanese nel ristorante “antiatomico” (nel senso che, per chi non lo sapesse, si sviluppa interamente sotto terra) di Via Victor Hugo prima insieme agli Stoppani di Peck poi dal 2007 da solo.
Alcune sue creazioni hanno contribuito a scrivere una parte della nuova grande cucina italiana. Fra tutte non possiamo non citare la pasta all’uovo senza farina, fatta di soli tuorli sottoposti ad una particolare marinatura. Quell’uovo che è da sempre il suo ingrediente feticcio, e alla cui “quadratura” Cracco ha anche dedicato un interessante libro.
Ma, tornando alle domande ricorrenti di cui dicevamo, come si mangia oggi al ristorante di Cracco? Domanda assolutamente non banale dal momento che è passato ormai un anno e mezzo dall’abbandono di Matteo Baronetto, che per tanti anni ha firmato il menu del ristorante insieme a Cracco. Oggi il talentuoso Baronetto è impegnato a far tornare agli antichi fasti Cambio a Torino (e ci sta riuscendo alla grande), mentre sous chef di Cracco è diventato il giovane Luca Sacchi.
Anche in questo caso sgombriamo rapidamente il capo da ogni dubbio. Bene, da Cracco si continua a mangiare molto bene. L’epoca post Baronetto inizia a consolidarsi con caratteristiche sue proprie, facendo salvo ovviamente l’imprinting e lo stile del patron.
Tra gli elementi di novità si può notare un sensibile incremento delle tonalità dolci ben rappresentato da un piatto come il Trancio di baccalà laccato, senape, miele, zucca affumicata e verza.
Quella radicalità nei gusti che è sempre stata un must di Cracco, ben rappresentata dalla sua passione per ingredienti difficili quali animelle e ricci di mare, oggi è meno presente (non vorremmo sbagliarci ma probabilmente è la prima volta che non troviamo i ricci di mare nel menu) in favore di una maggiore rotondità complessiva. Rotondità che si manifesta apertamente nel Risotto, nero di seppia, prezzemolo e curcuma, piatto esteticamente molto accattivante, perfettamente eseguito ma che dalla bocca scivola via troppo in fretta.
E si, è giusto che la critica non faccia sconti soprattutto ai cuochi grandi come Cracco. Perché solo un cuoco grande può concepire un piatto fantastico come i Ravioli al latte di capra, rapa, barbabietola e gamberi, splendido contrasto di mare e terra che al palato abbiamo davvero trovato emozionante. Se poi vogliamo capire come deve essere il dessert perfetto dopo un menu di 11 portate, beh il nostro voto va alla Crema di ricotta al sesamo e nero di seppia, mela Fuji e nocciola, altra zampata da fuoriclasse.
Un’ultima notazione vorremmo farla sul servizio. Nessun errore, ottima efficienza ma manca un po’ di comunicatività, di empatia. O, forse, più semplicemente in sala manca un fuoriclasse e un locale di questo livello probabilmente non potrà permettersi a lungo questa mancanza.

benvenuto, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
benvenuto, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Insalata russa caramellata: un grande classico.
insalata russa, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Crudo di “Vicciola”, pappa di cavolfiori e caviale.
crudo di Vicciola, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Piatto ultragoloso: Crema cotta ai capperi, wasabi, mortadella e pistacchi.
crema cotta, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Cuore di vitello in insalata, porcini, broccolo fiolaro e nocino, piatto che regala una bella nota fresca al palato.
cuore di vitello in insalata, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Impegnativo il trancio di baccalà laccato, senape, miele, zucca affumicata e verza.
trancio di baccalà, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Andare da Cracco e non trovare l’uovo? Impossibile. Tuorlo d’uovo fritto, taleggio, vino rosso e brodo di manzo.
Tuorlo d'uovo fritto, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Ravioli al latte di capra, rapa, barbabietola e gamberi. Emozioni.
ravioli al latte di capra, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Risotto, nero di seppia, prezzemolo e curcuma. Il nero di seppia? Lo trovi solo mangiando.
risotto nero di seppia e prezzemolo, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
risotto nero di seppia e prezzemolo, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Piccione arrosto, spinaci, scorzonera e bacche di Goji. Eccellente.
piccione arrosto, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Sorbetto all’ananas e basilico, cioccolato al biscotto e chiodi di garofano.
sorbetto all'ananas, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Crema di ricotta al sesamo e nero di seppia, mela Fuji e nocciola. Geniale. Amanti dei dessert barocchi e stucchevoli astenersi.
crema di ricotta, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano
Coccole finali.
coccole finali, Cracco, Chef Carlo Cracco, Milano

28 posti. Non un modo di dire, ma il numero le sedute del bistrot in zona Navigli capitanato da Marco Ambrosino. Semplicemente.

Un ambiente ospitale, in una delle zone più frequentate di Milano, stagione dopo stagione: in estate ne apprezzerete la luminosità e il piacevole dehor; in inverno la riservatezza, complice la nebbia e la posizione leggermente decentrata rispetto ai flussi principali. Un ristorante sobrio, dall’arredamento nordico, che richiama quel modo hygge ultimamente in voga e che pare suggerire “accomodati, mettiti a tuo agio e goditi il pasto”.
A scaldare l’ambiente, oltre a dettagli quali lampadari e oggetti che sembrano messi qua e là sbadatamente, il sorriso disponibile e la presenza discreta di Iris Romano. Se nella visita precedente la sala era parsa un po’ legata, ora è evidente una buona padronanza della scena accanto a una preparazione valida in tempistiche e abbinamenti vino/cibo. Hygge dicevamo: non esiste una traduzione precisa dal danese ma è uno stile che invita al relax e, nel nostro caso, a fidarsi completamente dello chef che deciderà le pietanze tra 5, 8 o 10 portate (per i meno fiduciosi nessun problema, c’è una piccola selezione alla carta).

Stile confermato anche nelle posizioni intercambiabili dei piatti, che vengono sdoganati dal classico ruolo di antipasto, primo o secondo e vengono suggeriti come “Prima o poi” in funzione di cosa dice l’istinto. Rimettersi allo chef è una buona idea, perché si intraprende un viaggio nel gusto che tocca prima la Danimarca delle fermentazioni (volo radente di Ambrosino in uno stage al Noma), poi sfiora il Sol Levante tra una salsa ponzu e una foglia di perilla cristallizzata, e si respira il calore del Mediterraneo nella Chiajozza, piatto omaggio all’isola di Procida che ha dato i natali allo chef.

Manteniamo invece, nuovamente, la riserva su alcune delle portate, che colpiscono ad un primo contatto risultando in realtà, purtroppo, carenti in personalità, concentrazione e gusto. Nonostante 28 posti sia, senza timore di smentita, un luogo di piacevolezza assoluta, questo leggero tentennamento ricorrente ci suggerisce cautela, confermando dunque la votazione precedente.
Siamo anche certi però che il reale valore dello chef e della sua cucina siano in costante mutazione e definizione, in attesa della perfetta messa a fuoco.

La mise en place: pulita ed essenziale.
28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Il Pendio, Brusato Rosè. La nostra scelta dopo il bel racconto di Iris sull’azienda produttrice.
vino, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Il colore meraviglioso di questo Chardonnay femminile ma di carattere.
28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano

Si inizia con il benvenuto: chips di fitoplancton. Leggermente unta ma davvero buona.
chips di fitoplancton, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Cicoria con miso e cipolla agrodolce. Un po’ più di condimento (o meno cicoria) avrebbe bilanciato il mix di sapori.
cicoria con miso, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Macaron alle acciughe.
macaron alle acciughe, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Indivia con salsa ponzu, finocchietto e menta.
indivia con salsa ponzu, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Pane lievitato al naturale, già diviso a spicchi e da rompere con le mani, accompagnato da burro e polvere di trombette dei morti. I lievitati sono di certo un bonus del 28 posti.
pane lievitato al naturale, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Rapa bianca, estratto di lattuga, lime e tartufo. Nonostante la freschezza del lime e il bel contrasto con il tartufo, la nota vegetale della lattuga risulta quasi assente quando, al contrario, sarebbe stato un bel profumo di cui godere.
rapa bianca, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Chiajozza. 10 minuti di applauso, step 1. 
Canocchie crude, cavolo cappuccio, gelato ai ricci di mare, carbone al nero di seppia in un trionfo iodato indimenticabile della perfetta rappresentazione dei mari del Sud.
Chiajozza, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Spaghetti con burro acido, tabacco e aringa affumicata. Corretti e ben bilanciati.
Spaghetti con burro acido e tabacco, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Agnello con salsa al fitoplancton, maionese di ostrica e cavolo di mare. 10 minuti di applausi, step 2.
Una cottura perfetta permetteva all’agnello e al suo grasso di sciogliersi al contatto con il palato. La parte marittima è rinfrescante e intrigante, in un matrimonio decisamente ben riuscito.
agnello con salsa al fitoplancton, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Sorbetto al basilico giapponese, alloro, olio, sale.
sorbetto al basilico giapponese, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Finocchio sciroppato, gel al sambuco, cremoso al cioccolato bianco e meringa al limone. Sublime saliscendi tra consistenze diverse, dolcezze e sapidità.
finocchio sciroppato, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano
Topinambur, kiwi essiccato, gelato al sorgo e perilla cristallizzata in un risultato incisivo, maschile, sexy.
topinambur, kiwi, 28 Posti, chef Marco Ambrosino, Milano

Milano. Navigli. Sabato sera. Pioggia. Di quella svagata, snervante nella sua petulante insistenza. Le luci degli innumerevoli locali, come in un bizzarro gioco di specchi, sembrano moltiplicare il brulicare d’ombre e ingigantire i capannelli fumanti. E così fra insegne, offerte di ombrelli di dubbia resistenza e certa provenienza e sfilate di hipster barbuti, si rischia quasi di mancarlo il discreto ingresso di 28 Posti, nuovo punto di riferimento per chi cerchi un bistrot moderno all’ombra della Madonnina.
Partito con una diversa guida in cucina e una politica di prezzi più ambiziosa dell’attuale, il locale ha vissuto inizi balbettanti. Chiusa la prima fase, il timone della cucina è stato successivamente affidato a Marco Ambrosino, trentenne partenopeo che, dopo aver già incuriosito più di qualche palato meneghino con le creazioni a base di pasta esibite da Buongusto, sta qui confermando quanto di buono abbiamo sentito dire su di lui nell’ultimo triennio.
Quella che Ambrosino propone al 28 posti è una cucina originale e stimolante, che si diverte utilizzando riferimenti eterogenei in uno stile colto ma privo di eccessi sovrastrutturali. Le origini napoletane, le esperienze nordiche (nel CV dello chef è citato con orgoglio uno stage al Noma) e non sporadici spunti nipponici si integrano infatti pienamente. In questa visione d’insieme, di sorprendente maturità espressiva, diventano così non solo plausibili, ma del tutto convincenti, scelte forti come quella di non tenere in carta, a Milano e in una stagione ancora fredda, neppure un risotto. E in tema di primi piatti è da segnalare la moderna e dinamica organizzazione di un menu che in essi vede il centro e in cui antipasti e secondi vengono segnalati come perfettamente intercambiabili. Tante volte ci siamo trovati a segnalare come un limite il contrario, ossia una rigida divisione di ruoli non supportata da una sufficiente differenziazione “timbrica”.
Tra le portate provate, un paio, davvero folgoranti, lasciano intravedere un futuro lucente per questo locale. Naturalmente non manca qualche aspetto migliorabile. Ad esempio abbiamo riscontrato in più di una portata la presenza di elementi di spiccata personalità che però vengono, nel piatto, smussati in modo eccessivo fino a far perdere di vista il contrasto.
A fianco della pregevole cucina (proposta, oltretutto, a prezzi da encomio) segnaliamo favorevolmente una carta dei vini che non offre tantissime alternative ma è un concentrato di non banalità, in cui ogni alternativa potrebbe rivelarsi assolutamente valida, mentre dal servizio ci attendiamo una crescita in direzione di una comunicazione più disinvolta con la clientela. Resta il fatto che questo è un locale per cui bisogna fare il tifo, perché il sospetto è che ci sia molto da attendersi da parte di Marco Ambrosino negli anni a venire.

Nota non strettamente gastronomica: lodevole la collaborazione, fin da prima dell’apertura del locale, con il penitenziario di Bollate. Grazie all’applicazione dell’articolo 21 o.p., ad alcuni dei detenuti (prossimi alla fine della pena o grazie alla buona condotta) è permesso lavorare nella brigata di cucina, così come alcuni hanno partecipato alla ristrutturazione del locale ed alla relizzazione di arredi e mobilio.

Divertimenti iniziali, fra cui spiccano il macaron alle acciughe e la maionese di ostriche in cui intingere le cialde.
benvenuto, maionese di ostriche, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
cialde da intingere, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
macaron di acciughe, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
Cipolla bruciata, alghe, fragoline di bosco fermentate. Promettente ma interlocutorio per difetto di concentrazione.
cipolle, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
Fantastico invece per movimento Sgombro, verza, bergamotto…
sgombro, verza, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
..con brodo di sgombro a completare.
brodo di sgombro, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
Spaghetti, calamari, cipollotto, menta, nocciole. Buono. Tecnicamente perfetto, anche se la menta resta un po’ sullo sfondo.
spaghetti ai calamari, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
“Pasta al ragú”: ravioli acqua e farina, ragù napoletano, latte di bufala, succo di alloro. Pregevole la pasta, che nasconde più consistenze grazie alla cresta fatta “a maccherone”, ma condimento che necessiterebbe di più mordente.
pasta al ragù, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
Il colpo da KO: Baccalà crudo e cotto, pere, cavolo nero, salsa al dragoncello. Piatto da tanti ventesimi. Ma tanti tanti, eh!
baccalà crudo, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
Più ordinario e “bistrottiero” il Capocollo di maiale con cime di rapa, prugne secche e saraca.
capocollo, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
Predessert, ottimo: Rabarbaro zucca e arachidi. L’aperitivo milanese.
predessert, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
Buono, davvero, il Finocchio con cioccolato bianco, sambuco e limone, aromatico e allo stesso tempo dessert che appaga gli amanti del dolce.
finocchio, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
Difficile, invece, comprendere la scelta di piazzare dopo il precedente, fra i piatti scelti da noi alla carta, l’ostico Latte, erbe, tuorlo candito, avena, piatto che non nasconde la natura dell’uovo ma anzi, la mette in evidenza con un quasi nullo dosaggio zuccherino, per un risultato complessivo non del tutto convincente.
latte, erbe e tuorlo candito, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, 28 Posti, Chef Marco Ambrosino, Milano