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Trippa

Milano è indubbiamente una città dalla natura a due facce.

Da una parte il lato più intimamente meneghino: popolare, affezionato e saldo alle tradizioni ed alle usanze, con lo sguardo rivolto alle innumerevoli proposte relative al “passato” che questa città ha da offrire.
Dall’altra l’aspetto più attuale, dinamico ed “internazionale”, estremamente sensibile alle mode e alle tendenze, che subisce influenze e ne detta a sua volta, costantemente in divenire e proiettato in avanti.
Due lati che coesistono, si tollerano, spesso si incrociano e altrettanto spesso non perdono occasione per deridersi, trovando all’atto pratico ben pochi punti d’incontro.

Ed è proprio in questi rari punti d’incontro che la Trattoria Trippa si insinua, riuscendo ad accontentare praticamente chiunque, senza far storcere il naso al tradizionalista -che non lo bollerà come “posto da fighetti”- ed al contempo attirando e convincendo la fazione più trendy, quella più attenta al contenitore che al contenuto.

Tavolate, dunque, eterogenee al massimo: dalla coppia fashion-addicted con lo sguardo più rivolto ad Instagram che ai piatti, al gruppo di colleghi appena usciti dall’ufficio; dall’anziana coppia di habitué, al tavolo di appassionati venuti di proposito, qui le sedie difficilmente restano vuote.
Tutto ciò grazie ad un attento mix, composto in primis dalla qualità degli ingredienti, ma anche dal felice posizionamento (nella viva zona di Porta Romana) e non ultimo da un’ottima strategia di comunicazione.
Questo il segreto del successo di Trippa, di tale portata che innumerevoli sono state le persone rimbalzate durante la nostra cena; qui, senza prenotazione, avrete vita davvero difficile.

Più di ogni altra cosa però, quel che ci ha sorpreso è stato il contenuto del piatto, nonostante fossimo consci che Diego Rossi non sia certo uno sprovveduto. Piatti dall’anima popolare e l’aspetto “da trattoria”, ma processati con l’occhio critico, la selezione, la cura e le attenzioni normalmente dedicati a cucine dagli intenti ben più nobili. Carni mai meno che eccellenti (di provenienza Macelleria Martini, di Boves), verdure rispettate e valorizzate dalla sapiente cottura, sapori e profumi tradizionali concentrati, amplificati e cesellati attraverso la tecnica e l’esperienza, il tutto servito in porzioni considerevoli e proposto a prezzi decisamente corretti.

Una cena da Trippa è paragonabile ad un viaggio su una strada conosciutissima, ma percorsa per la prima volta a piedi anziché -come sempre- in macchina; rallentando l’andatura, si riescono a percepire dettagli mai visti, ad apprezzare tutte le sfaccettature e tutti i più importanti piccoli particolari, prima di quel momento mai rilevati.

Completano la bella esperienza un servizio rapido e capace, sintonizzato sullo stesso mood della cucina, ed una carta dei vini semplice ma sensata, con qualche buon prodotto italiano in continua rotazione, nonché una bella scelta di vermouth & affini per il dopo cena.

La spartana mise en place, con tovagliette di carta oltre a tavoli e sedie di legno. Più trattoria di così!
Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano
Cocotte di broccolo fiolaro, guanciale Santoro e pepe nero.
cocotte di broccolo, Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano
Il vitello tonnato, davvero sublime. Difficile immaginarlo migliore di così.
vitello tonnato, Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano
La zuppa del giorno: con cavolfiori, carciofi e polvere di liquirizia.
zuppa del giorno, Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano
Eliche Gentile con ragù di coda alla vaccinara.
eliche con ragù, Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano
Disponibile praticamente sempre come fuori carta la Trippa, questa volta proposta alla romana.
trippa, Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano
Nessuno spazio residuo per i dessert, ma compaiono in sala due assaggi al quale è impossibile dire di no.
Tastasal…
Tastasal, Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano
…e midollo alla brace.
midollo alla brace, Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano
I vini aperti per l’occasione.
vini, Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano
vino, Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano
La trattoria, vista dalla strada.
Trattoria Trippa, Chef Diego Rossi, Milano

Sentendo nominare “Boer”,  il pensiero del gourmet andrà con ottime probabilità in Olanda, nella tranquilla cittadina di Zwolle, terra del tristellato Librije e del suo Chef, Jonnie Boer.
C’è un altro Boer però, dal nome decisamente più familiare a chi gravita intorno Milano, altrettanto talentuoso e che sta facendo molto parlare di sé, allargando pian piano il tam tam gourmet anche al di fuori dell’area metropolitana: Eugenio Boer. Anch’esso, come suggerisce il cognome, ha origini olandesi, oltre a innumerevoli anni di esperienza in svariate tavole blasonate.

Da qualche anno la Madonnina lo vede impegnato in progetti sicuramente interessanti, tutti però con lo sguardo rivolto verso una cucina di deriva più o meno semplice ed informale: in primis Enocratia, dove all’interno di una cucina formato camper ha iniziato a far conoscere ed apprezzare il suo nome, in un format incentrato sul vino, ove il cibo era inteso come un accompagnamento e non il contrario, come più usuale. Poi la parentesi ancor più pop, quella di Fishbar e Meatbar, due bistrot gemelli entrambi in Brera, come di evince dal nome uno incentrato sul pesce, l’altro sulla carne.

Ora, finalmente, la prova del nove. Un ristorante nel senso più stretto del termine, con una bella ed accogliente sala, una brigata numerosa, un piccolo dehors per mangiare all’aperto durante il periodo estivo, ma soprattutto una bella carta scevra da tendenze, esclusivamente focalizzata sulla visione di cucina dello Chef.

E tutto ciò, è rappresentato fin dal nome scelto per questo ristorante: Essenza.

E la prova, per quanto ci riguarda, è stata abbondantemente superata, sotto certi aspetti spingendosi anche oltre le aspettative. Questa tavola ci colpì da subito, fin dalle prime visite, e se possibile ci ha colpito di più ancora nel nostro ultimo passaggio, con un salto notevole rispetto alle, pur eccellenti, performances iniziali.
Una cucina golosa e pensata, tecnica e personale, raccontata e leggibile, che si mantiene appagante e divertente anche nei suoi -frequenti- passaggi più tecnici e ragionati, salda sul suo binario senza il minimo tentennamento o passo falso anzi, che marcia con la decisione e la sicurezza del grande ristorante.
Partendo dagli amuse bouche, piccoli ed intelligenti concentrati di bontà, per arrivare fino alla pasticceria, tutta la nostra cena ha veleggiato sciolta su livelli decisamente alti, tra omaggi a maestri (però sarebbe gradevole, ed un ulteriore colpo di classe, che venissero dichiarati), vecchi e nuovi piatti dello chef, esercizi di stile o classici reinterpretati, mostrando una brigata a proprio agio non in un singolo compartimento ma sotto ogni aspetto, a ventaglio dal benvenuto all’arrivederci.

Anche il servizio, che in altre occasioni non ci convinse a pieno, ha ora trovato una sua quadra, risultando perfettamente registrato sul tono del locale: serio e brillante, professionale ma con toni smart e quel pizzico d’informalità necessaria a mettere a proprio agio il cliente, fin dal primo contatto.

Tutto questo, unito ad un rapporto qualità/prezzo ora come mai conveniente, fa sì che il libro delle prenotazioni riesca a registrare il fully booked praticamente ad ogni servizio serale, cosa che abbiamo potuto constatare personalmente in un lunedì qualsiasi, senza un solo coperto rimasto libero. Ulteriore dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che per la totalità dei fattori in gioco, Essenza ad oggi è sicuramente uno dei place to be milanesi, consigliabile davvero a chiunque.

“Il nostro Benvenuto”: il percorso dello chef in cinque piccoli ricordi.
Piccolo minus in quanto gli stessi delle precedenti visite… ma si chiude serenamente un occhio, quando così buoni e sensati, anche perché rappresentano un piccolo biglietto da visita, in quanto piccoli omaggi dello chef a luoghi e maestri del passato.
Madeleine alle olive taggiasche e pesto…
Madeleine, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
…bitterballen e senape…
bitterballen, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
…cialda di risotto alla milanese e Parmigiano Reggiano…
cialde di riso, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
…tartare di salmerino…
salmerino, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
…e macaron alla salvia e rosmarino con paté di fegatini, piccione e grue di cacao.
Macaron, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Pane e grissini.
Pane e grissini, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
“Il Cervo e la sua Storia”, Un salto indietro nel tempo, in tutto e per tutto.
Piatto in carta fin da Enocratia, un boccone di cervo -crudo- servito senza posate, da mangiare con le mani. Piatto ancestrale nell’idea, ma tecnico e razionale nell’esecuzione.
Cervo, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
“Carote”, gialle, viola e arancioni di Polignano, nocciole tostate IGP del Piemonte, Taleggio, terra di Erbe, terra di Cereali e…
Carote, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
…uovo cotto nel Fieno, inserito a finire il piatto dal cameriere.
Golosità smodata, pur senza il minimo disturbo o accenno di stucchevolezza. Lode all’impiatto, estremamente curato.
Uovo, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
“Brodo ristretto di Castagno”: Canederli di Sanguinacci, Pioppini, Mela verde e Castagne crude.
Brodo estremamente profumato e dalle marcate note acide, in contrasto con il canederlo.
brodo ristretto, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
“Lepre”: Tagliatelle di pasta fresca al Civet, ragout di Lepre, Foie gras e Tartufo nero.
Un piatto di pasta, classico italiano, riuscito omaggio alla lièvre à la royale, classico francese. Grande piatto, per concezione, esecuzione e risultato.
Lepre, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
“Autunno”: Cappellaccio di pasta fresca alle Castagne, Zucca alla mantovana, Porcini, Jus di terra, Topinambur, terriccio di Funghi ed Erbe.
Un mirabile esercizio di stile, un piatto dalla quasi totalità di ingredienti dolci, tenuto in equilibrio da una omeopatica dose di Jus.
autunno, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Risotto Murici, Finferli, Limone e Melissa. Notevole, come tutti i risotti serviti da queste parti.
Risotto, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
“Tinca”: Zabaione al dragoncello, Polenta bianca ed Erbe amare.
Tinca, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
“Piccione”: Olivello spinoso, Pastinaca e Tarassaco. Presenza fisicamente un po’ invadente del tarassaco, ma è solo un fattore estetico/funzionale. Ennesimo piatto più che riuscito.
Piccione, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Il predessert: “Sud”, Sorbetto di limone, Crumble di pistacchi e mandorle, Cioccolato di Modica al Peperoncino, Caffé, Capperi, Arance candite.
La chiusura del pensiero iniziato con il benvenuto, uno sguardo agli anni passati in Sicilia dallo chef. Poco “pre” e molto “dessert”.
predessert, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
E I dessert, profondamente diversi ma entrambi notevoli.
“Dulce”, Granola, Fava Tonka, Cioccolato bianco bruciato.
dessert, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
“Fichi”, Infusione di latte di foglie di Fico, Sambuca e Caffè.
fichi, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Piccola pasticceria…
piccola pasticceria, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
…piccola pasticceria, atto II.
piccola pasticceria, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Le bottiglie che ci hanno accompagnato durante la cena.
vino, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano

Giovane, caotico, informale, divertente. Poco “milanese” (nel senso gastronomicamente deteriore del termine), dinamico perché pieno di alti e bassi, un po’ perché appena aperto, un po’ forse perché davvero non hanno ancora deciso cosa fare da grandi. Comunque interessante, non scontato, ma certamente da provare.
Ma andiamo con ordine.

Si chiama Spice, anche se mentre scriviamo (a oltre 2 mesi dall’apertura) è ancora presente l’insegna del precedente locale. Si trova alle Colonne di San Lorenzo, nella Milano da bere, bella zona ma dal parcheggio improbabile.

Lo chef, patron e animatore è il tatuatissimo Misha Sukyas, milanese di origini armene con esperienze in mezzo mondo da Londra all’Australia, dall’Olanda all’Indonesia passando per la Cina. Ultima esperienza a Milano, all’Alchimista.
Il menu, ridotto a pranzo e più articolato la sera, cambia ogni giorno a conferma della dinamicità che caratterizza il posto. La cucina si rivela subito tutt’altro che banale.

È un melting pot, ricco di spezie, di sapori pieni, diversi. Ma allo stesso tempo con radici classiche, anche francesi, piuttosto salde.
Cucina non troppo leggera per ingredienti e per cotture, ma che non ci ha dato alcun problema nel “post”; a tratti aspra, mai dolce, non sempre facile ma mai difficilissima, indubbiamente interessante.
Cucina di burro, di salse elaborate, diretta, non propriamente ipocalorica e quindi per niente omologata agli standard salutistico-dietetici oggi imperanti, soprattutto nella patria della moda.

Una sfida di successo. A pranzo, in particolare, funziona perfettamente la formula tre portate a 15 euro, per cui il locale è sempre pieno, vista anche l’alta concentrazione di uffici in zona.
La sera il menù cambia e diventa più ricco, ma non cambia la filosofia della cucina, né dell’accoglienza, sempre simpaticamente informale e alla mano.
Certo, non tutto è perfetto, e alcune cose ci sono sembrate onestamente incomprensibili, quasi a rafforzare lo spirito un po’ anarchico del locale.

E così, della parmigiana di melanzane in carta a fine novembre con 4 gradi all’esterno ne avremmo fatto volentieri a meno. Così come della tritatina verde (di prezzemolo & affini) su ogni piatto, fatta eccezione per il dolce.
Degna di un film di Bunuel la surreale mini carta dei vini, che in circa 15 etichette spazia dal Cremant d’Alsace biodinamico di Pierre Frick al blend Sangiovese/Merlot base di Banfi. Difficile, onestamente, trovare un filo logico, ma ad oggi tant’è. E va bene così.

Il fatto è che si esce con la voglia di tornare. E questo è un indizio -assai indicativo- di qualcosa di buono.

Cuochi al lavoro.
Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Spuma di patate e cozze. Alla base una parmentier molto buona, buone le cozze, nota agrumata, bella acidità.
spuma di patate, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Risotto uva e taleggio assai ben fatto.
risotto, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Spago al nero e salsa di astice. Piatto impegnativo, aspro, salsa al burro densa arricchita dal contenuto della testa degli astici. Non banale.
spaghetto, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Cervo dolceforte e patata al limone.
Cervo, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Polpettine di salsiccia in bisque di astice.
polpettine, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano
Molto, molto buono il dessert: un cannellone di grano duro fritto e ripieno di cassata e n’duja.
Dessert, Spice Bistrò & Bar, Chef Misha Sukyas, Milano

“Omakase”, in giapponese è, tra l’altro, sinonimo di “fidarsi”.
Implica la circostanza di instaurare un rapporto di fiducia con lo chef, quando il commensale pronuncia quel fatidico “fai tu”.
Sono pochi i ristoranti giapponesi in Italia ad offrire un percorso “carta bianca”, imbastito in maniera sartoriale sulla base del budget del cliente.
A Milano ne conosciamo uno: si chiama Basara e si trova nella modaiola via Tortona, uno tra i locali etnici più amati dal popolo meneghino tanto da essere quasi sempre pieno, a pranzo e cena.
Successo consacrato da un’ulteriore apertura, sempre a Milano ma in Corso Italia, in pieno centro storico, e da una nuovissima succursale a Venezia.

E pensare che il sottotitolo “Sushi pasticceria” potrebbe lasciare non poco perplessi. Qui i dolci sono soltanto buoni, ma chi pensa che questo sia uno dei tanti locali che offre la solita cucina di stampo fusion, si sbaglia di grosso.
Questa, a nostro avviso, con il suo menù Omakase è tra le migliori espressioni di cucina etnica che ci sia, anche fuori dai confini cittadini.
Una cucina che, da un lato, fonda le sue radici nella molteplici sfumature dell’arte gastronomica giapponese e nella ripetuta gestualità che contraddistingue quest’ultima, dall’altro lascia spazio a contaminazioni mediterranee e occidentali, traducendo il retaggio, spesso troppo complesso, del Sol Levante in un linguaggio più ecumenico.

Prima però di proseguire con il nostro racconto, è doverosa una premessa: le foto che troverete sotto, relative alle diverse visite a questa tavola, sono riferite esclusivamente all’esperienza “omakase“, che non troverete in carta ma che potrete richiedere all’atto della prenotazione, soltanto in via Tortona. L’offerta del ristorante, che a nostro avviso si colloca comunque a ridosso degli altri nomi più conosciuti di tale categoria, resta meno articolata -pur contemplando una materia prima di qualità- e sicuramente non con la stessa valenza di questa esperienza.

Gestualità dicevamo, tra le somme arti di un cuoco, soprattutto in Giappone, dove per diventare un “Itamae” ovvero, ad essere riduttivi, uno che prepara sushi, è necessario trascorrere molti anni di apprendistato al fianco di navigati maestri.
Hirohiko Shimizu, originario di Tokyo, se non ha trascorso molti anni presso un grande maestro, deve aver appreso comunque in fretta e molto bene l’arte del sushi. È uno dei pochissimi, se non l’unico in città, ad offrire un servizio “Okonomi”, ovvero una degustazione di nigiri preparati ad uno ad uno in singole porzioni, direttamente sullo “tsukedai”, ossia il bancone (peccato soltanto che questo sia sacrificato a ridosso dell’ingresso, ubicazione non proprio tra le più felici). E solo chi ha mangiato in un autentico sushi bar sa quanti rischi implica questa modalità di servizio. È l’unico modo, questo, in cui si riesce a riscontrare le qualità principali del sushi: temperatura, compattezza e connotato acidulo del riso, materia prima (oltre al pescato, proveniente da diverse zone d’Italia e dall’estero, anche l’alga nori è di un livello nettamente superiore alla media, per non parlare del riccio di mare) nonché senso delle misure (l’equilibrio tra pesce e riso, in Giappone, è un rilevatore chiave con per stabilire la prelibatezza del sushi).
E il risultato, manco a dirlo, è eccellente.

Hiro, come lo chiamano gli amici, è un cuoco dai solidi principi: la freschezza del pescato è un elemento che non può passare in secondo piano. Gli intingoli, le marinature (arte appresa durante l’importante esperienza con Nobu Matsuhisa) che accompagnano i sashimi o qualsiasi altro condimento vengono qui bilanciati, in termini di sapidità ed aromaticità, con maestria. C’è estro nelle preparazioni manuali ed in particolare nel taglio del pesce (la tagliatella di seppia cruda vien presentata con uno spessore che conferisce una consistenza accattivante ma naturalissima). Infine c’è la ricerca, quasi spasmodica, di prodotti di difficile reperibilità (su tutti, ricordiamo un memorabile riccio di mare proveniente direttamente da Hokkaido). Il servizio di sala è solerte e gentile, ma in termini di professionalità ancora lontano dall’eccellenza. Si beve, tutto sommato, discretamente.
Un sincero plauso va fatto ai collaboratori dello chef, non tutti giapponesi o orientali, ma capaci di mantenere uno standard elevato nell’esecuzione delle preparazioni al bancone.
L’invito è rivolto a tutti i gourmet che non conoscono ancora questo posto: è ora di farci un salto.

Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Tagliatella di seppia, gamberi e capesante crudi, pomodori, riccio di mare, caviale e fiocchi di sale.
tagliatella di seppia, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Con la testa di gambero adagiata e pronta per essere succhiata.

testa di gambero, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Si fiammeggia!
salmone, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Variazione di salmone (varietà scozzese, fantastico), uova di salmone e capesante, finocchietto, germogli, erba ostrica e riduzione di balsamico aromatizzato al tartufo.
Salmone, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Un sashimi da urlo (tonno, ricciola, salmone e scampo) con intingolo di soia e yuzu e qualche tocco di mediterraneità (olive taggiasche, pomodoro, capperi).
sashimi, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Wasabi, fresco, in accompagnamento.
wasabi, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Parte la batteria dei nigiri: ricciola.
nigiri, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Tonno. Seguito subito dopo dal “toro”, ovvero la ventresca del tonno. Notevolissima qualità (provenienza croata).
nigiri, tonno, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Gambero rosso siciliano.
nigiri, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Sgombro.
sgombro, nigiri, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Ventresca di ricciola appena scottata con il cannello. Classico boccone da Re.
Ventresca, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Calamaro.
Calamaro, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Gunkam con riccio di mare e uova di salmone.
Gunkam, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Ancora gunkam. Tartare di tonno e uova di salmone.
Gunkam, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Si passa al cucinato: branzino cileno al miso, accompagnato da una prugna giapponese. La cottura è perfetta e l’aromatizzazione non altera il sapore dell’eccellente pesce.
Branzino, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Temaki con Anguilla e foie gras.
Temaki, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Una delle specialità della casa: uramaki di avocado con moeca e capasanta in tempura, tartare di astice con maionese ai ricci di mare, granella di tempura e riduzione di salsa di soia. Inno alla gola. Da gustare ogni singolo ingrediente, ovvero tutto insieme.
Uramaki, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Dettaglio.
uramaki, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Eccoci ai dolci, presentati su un vassoio, tutti fatti in casa: tiramisu al sesamo nero. Discreto.
dessert, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Daifuku: pasta morbida di riso ripiena di marmellata di fagioli rossi
Daifuku, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
Buono, più tradizionale anche nei sapori.
Daifuku, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

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Di seguito le immagini di un omakase servito in un’altra visita
Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

nigiri, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

nigiri, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

nigiri, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

nigiri, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

nigiri, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

nigiri, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano
nigiri, Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

Basara, Omakase, Hirohito Shimizu, Milano

Da quando ha trovato la propria formula di definizione, il mondo creativo di Filippo La Mantia non ha più subito battute d’arresto.

Si auto-definisce Oste & Cuoco questo palermitano trapiantato prima a Roma, all’hotel Majestic di via Veneto che, grazie a lui, si è rianimato come ai tempi de La Dolce Vita, poi a Milano dove, nell’Anno Domini di Expo, si è insediato nei locali che prima ospitavano lo sfortunato Gold, della coppia fashion Dolce&Gabbana. Tra queste mura, ha dato vita a un locale omonimo che ha la presunzione di gestire come a casa sua, dove ogni cliente diventa nient’altro che un suo ospite, anzi il suo ospite d’onore, per giunta.

E ci riesce, eccome se ci riesce, tra il calore sprigionato dai tessuti che tutto avvolgono e ovattano, ivi è possibile intrattenersi, proprio come a casa, anche in attività che poco hanno a che fare con il cibo, come leggere il giornale oppure, come noi, lavorare alla recensione che state leggendo.

Del resto, si tratta sempre di una questione di formule e, a vedere la reazione del pubblico, milanese e non, sembra proprio che in Italia ci fosse bisogno di un posto come questo: un iper-luogo pervaso di domestica autenticità, eleganza e personalismo, aperto dalle 7,30 del mattino all’una di notte, dove restare, senza imposizioni, dalla colazione al dopo cena. In sintesi? Si tratta di un luogo che ridefinisce lo spazio di una nuova convivialità, di un’ospitalità contemporanea, insomma, che abbatte le soglie di demarcazione del pasto, dei costumi a esso legati e del tempo a esso dedicato.

A vederlo da fuori, senza conoscerne le implicazioni, potrebbe sembrare invero il salotto di un hotel di design, dove ogni seduta è una storia e un’atmosfera a sé stante: divani, poltrone, chaise-longue, triclinii, il tutto a disposizione dei clienti, in uno stile “ordinato ma non finito”, così come lo definisce lo stesso patron.

Filippo La Mantia, del resto, non è solo uno chef: il suo passato, i suoi trascorsi, parlano di molto altro, e si vede, si intuisce in tutto quello che tocca e che poi plasma a sua immagine e somiglianza. Non è più un mistero, infatti, ch’egli in cucina usi solo quello che gli piace, un outing in piena regola che lo ha portato a rinunciare con leggerezza ad elementi come l’aglio e la cipolla che, al La Mantia uomo, difatti, non sono mai andati a genio.

Stesso discorso, per noi, della critica enogastronomica: egli proprio non la teme perché, semplicemente, non lo riguarda, lui con la sua cucina purista, ovvero liberata da odori, salse e soffritti, ma palermitana fin nel midollo, anche nell’ospitalità che, appunto, non conosce né tempi né confini. E il mondo reale gli ha dato ragione, giacché il suo locale è sempre fully booked da una clientela fedele, che non riesce più a fare a meno del mondo parallelo che egli ha creato, che tanto piace ad altre dimensioni, altrettanto stravaganti, come quelle della moda, o dello spettacolo.
E così può capitare di andare da Filippo La Mantia per bere un cocktail e incontrare Sharon Stone, forse anche lei nel novero degli habitué, irretita come noi dall’ambiente, e da una cucina che offre quello che promette: un tuffo di testa nei sapori e nel gusto della tradizione siciliana urbanizzata dall’assenza di grassi e dal contesto. Con dei costi però decisamente sostenuti, probabilmente allineati a ciò che si aspettano questi personaggi ma non certo noi, per quanto proposto.
Del resto, qui non inseguono le stelle Michelin, ci sono già quelle di Hollywood!

La sala al piano terra.
sala, Filippo La Mantia , Milano
La caffetteria (bonus per il caffè espresso-pop servito al banco a 1€).
Caffetteria, Filippo La Mantia , Milano
La mise en place.
Mise en place, Filippo La Mantia , Milano
Il cestino del pane, discreto e non molto vario.
cestino del pane, Filippo La Mantia , Milano
La frittata con capperi e acciughe. In carta ce ne sono sempre quattro; una valida alternativa agli antipasti tradizionali, magari da condividere.
frittata con capperi e acciughe, Filippo La Mantia , Milano
La linguina con la mollica del pane, i capperi, l’acciuga ed il peperoncino dolce.
linguina con mollica, Filippo La Mantia , Milano
Gli involtini di pesce spada con il cous cous tostato alle mandorle.
involtini di pesce spada, Filippo La Mantia , Milano
La cassata siciliana.
cassata siciliana, Filippo La Mantia , Milano