Passione Gourmet Milano Archivi - Pagina 28 di 53 - Passione Gourmet

Pacifico

Non è ammissibile attribuire giudizi di valore senza termini di paragone. Di matrice strutturalista, questo pensiero sostiene che le cose del mondo non avrebbero proprietà se non nel diretto rapporto con le sue simili, e che proprio in questo rapporto, in questa differenza, risiederebbe, delle cose, il vero nucleo identitario. Ebbene, s’è già detto, si tratta del punto di vista dello strutturalista, ma è anche della posizione del neofita, colui che si appresta a giudicare un’esperienza tanto lontana dalla nostra enciclopedia quanto, allo stesso tempo, tanto prossima nella costellazione di similitudini ch’essa intrattiene coi suoi referenti europei, tanto a Barcellona quanto a Londra, per esempio.

Stiamo parlando del Pacifico, un ristorante che porta con sé più di una velleità culturale e culinaria, non ultima quella di portare a Milano, unico caso codificato in Italia, i 500 anni di influenze asiatiche tradotte nel seno della prolifica cultura culinaria peruviana. Ebbene se, come si diceva, in Italia questa fusion iperterritoriale è alla sua prima nazionale, altrove questa tradizione è invece più radicata e, forse per questo, essa si esprime a livelli nettamente superiori rispetto alla sua manifestazione italiana obnubilata, nello specifico, da un servizio non sempre puntuale, dall’acustica scontrosa, nonché dalla manifesta approssimazione di alcuni allestimenti, come piatti posticci e, sicuramente, un po’ pasticciati, accanto ad altri che, a dispetto dell’alta densità territoriale, ci sono sembrati invero, se non manchevoli, comunque sicuramente piuttosto flebili.
Probabilmente, il punto di partenza è così alto, complesso e stratificato da risultare paralizzante, fatto sta che poco dell’altissima varietà paesaggistica peruviana, dove si alternano altissime montagne alle ripide costiere scoscese, si riverbera nel piatto, ne’ si ritrova la giungla tentacolare col suo caleidoscopio di anfratti umbratili e balsamici.

In tutto questo, tuttavia, è anche probabile che Jaime Pesaque, ovvero l'”ambiasciatore” peruviano di questo paesaggio commestibile, abbia invero solo bisogno di tempo, e lo dimostrano invece piatti riuscitissimi, benché più delicati rispetto agli originali peruviani, ma questo è tutt’altro che un difetto, come il suo ceviche, il nuovo sushi europeo, così come la sua versione del tiradito: ineccepibile.

A parte ciò, la scenografia è appagante: si è inseriti infatti in un contesto molto suggestivo, una scenografia per nulla lasciata al caso che, forse, adombra ulteriormente la controparte commestibile che, invece, avrebbe colmato gran parte delle sue manchevolezze nella maggiore ricercatezza in termini di materie prime nonché, certamente, in una maggior correttezza in termini di cotture.

L’ambiente, comunque, è funzionale alla suzione di cocktails più che discreti su cui primeggia, ovviamente, il Pisco Sour, la bevanda nazionale del Perù, da accompagnare al succitato ceviche, nella speranza che la popolarità dell’indirizzo non precluda le vostre conversazioni dato che, come ultima nota dolente, si diceva, l’acustica non è propriamente delle più riposanti.

Mise en place.
mise en place, Pacifico, Ristorante di cucina peruviana, Milano
Dettaglio di un tavolo.
tavolo, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Tiradito Paracas Capesante.
Tiradito, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Tiradito Tamarindo Tonno e avocado zenzero.
tiradito,Pacifico, cucina peruviana, Milano
Cheviche misto con polpo, cappesante e gamberi: forse il migliore piatto della serata.
Cheviche, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Chupe mancora: aragosta, la sua bisque, patate, uova alla coque; un po’ troppo pasticciato.
Chupe manchora, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Causa Nortena aragosta, puré di patate, peperoni, maionese piccante e salsa alla olive nere.
causa nortena, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Cheese cake al passion fruit.
cheese cake, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Per finire in bellezza: Pisco Sour.
pisco sour, Pacifico, cucina peruviana, Milano

Le mani sulla città.
Una dichiarazione d’intenti che Enrico Bartolini si è fatto fedelmente trasporre in immagine dall’artista calabrese Max Marra sulla copertina del menù del suo nuovo ristorante di Milano.
Il talentuoso ed ancora giovanissimo cuoco e ristoratore toscano, dopo una lunga sosta in quel di Cavenago Brianza, si è rimesso in pista a caccia dell’ascesa definitiva nell’empireo dei grandi cucinieri italici. Lo ha fatto pensando alla città italiana che meno teme confronti con le capitali europee per la concentrazione di trattorie, osterie, ristoranti etnici e grandi tavole.
Considerato il calibro dello chef è stato impossibile pazientare. Accollandoci dunque il rischio di un possibile rodaggio, ci siamo fiondati al terzo piano del MUDEC, Museo delle Culture, ubicato nell’ormai celeberrima Via Tortona, a soli pochi giorni dall’apertura ufficiale e, per nostra fortuna -e meriti altrui- l’audacia è stata ripagata.

Il motivo? Semplicemente perché la cucina del Devero sembra essersi letteralmente teletrasportata in questi nuovi ambienti dominati da arte e minimalismo. Lineari come lo stile della proposta gastronomica che coniuga concretezza e divertimento, estetica e gusto al servizio di un prodotto selezionato con perizia, trasformato ma esaltato nel sapore, nella naturalezza ed autenticità della proprietà organolettica.
L’illusione della finta oliva all’ascolana, della melanzana ricostruita o delle false mandorle che celano, in verità, una tartare di gamberi rossi, sfocia ben presto in una concentrazione gustativa con pochi eguali che svetta su una proposta che, come già in passato, si attesta già a livello altissimo.
Sono ancora poche le nuove creazioni, ma è difficile trovare piatti che non siano tecnicamente e concettualmente ineccepibili, dai quali traspare uno studio al dettaglio di componenti e fattori.
Dei nuovi assaggi qualcuno ci ha letteralmente rapito.
E’ il caso del risotto Arlecchino, tanto semplice quanto geniale. Una sorta di sfida/ammiccamento al sommo Marchesi secondo il quale, oggigiorno, anche nelle grandi tavole, i risotti hanno principalmente il sapore di formaggio e un’eccessiva acidità. Ed è proprio partendo da questo concetto che Bartolini trova l’espediente: alla base del piatto c’è un arcobaleno di sapori sul quale viene, solo in un secondo momento, adagiato un “semplicissimo” risotto alla parmigiana, perfettamente bilanciato dal trittico parmigiano-burro-limone. L’esito, dopo un paio di cucchiaiate, è un equilibrio di sapori e richiami all’India, all’Asia, alla Provenza, ma anche all’Italia.
Una piatto notevole che fa il pari con quei piccoli grandi cult di cucina d’autore contemporanea come i bottoni d’olio al lime e salsa di caciucco, o la variazione del gambero rosso di Sicilia che, in due servizi, viene presentato nelle succitate sembianze ludiche di finta mandorla e in una versione tanto minimale quanto imperiosa al tamarindo, in duplice cottura, tra un richiamo ad Adrià ed uno a Roellinger.

È in gran forma Enrico, in piena maturità e non ha ancora varcato la soglia degli anta. Se solo avesse una vena creativa più prolifica sarebbe il massimo. Ma è arrivato il tempo di sfatare questo tabù. Ne siamo convinti. E siamo consci delle estreme capacità di uno chef che sarà in grado probabilmente oltre che di ripetersi anche di migliorarsi rispetto alle sue precedenti esperienze.
Il quadro è completato da un servizio consono al tenore della proposta che deve mettere a punto ancora qualche dettaglio (nei grandi ristoranti ci aspettiamo che i bicchieri vengano cambiati dopo aver mangiato l’uovo) ma, nonostante ciò, riesce ad interagire in simbiosi con la classe della cucina. Molti piatti vengono infatti completati al tavolo, consacrando il valore e l’importanza del servizio di ristorante.
La sala, di per sé, ha fascino. Apparentemente spoglia, in verità è un piccolo museo a cielo aperto in cui ci si concentra sul piatto contemplando, al contempo, le affascinanti opere ivi allocate.
I prezzi sono alti. Se si beve bene ancor di più. Ma è una di quelle cucine per cui ogni singolo centesimo è ben speso.

Chef Enrico Bartolini, MUDEC - Museo delle Culture, Milano

Gli stuzzichini iniziali. Sfoglia al mais.
sfoglie di mais, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Amuse bouche: fagiolini.

Amuse bouche, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano

Fagottino di cipolla e foie gras.
Fagotto di cipolla e foie gras, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
La melanzana alla brace.
melanzana alla brace, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
L’eccellente pane bianco fatto con lievito madre.
pane, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Il meraviglioso burro irlandese, servito con salsa al lampone.
burro irlandese, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Immancabile entrée: patata soffice, uovo e uova: ovvero crema di patate sifonata, uova di salmone, capperi disidratati, erba cipollina, zabaione.
entrée, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Illusione di mandorla. In verità una tartare di gambero rosso siciliano in una pellicola di mandorla.
illusione di mandorla, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Con un aromatico fumetto di crostacei.
illusione di mandorla, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Piatto completato.
illusione di mandorla con fumetto, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Gambero mezzo fritto aromatizzato al tamarindo.
gambero mezzo fritto, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Tutti i gourmet, una volta nella vita, dovrebbero provare i bottoni di olio e lime con polpo cotto alla brace..
polpo, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
..con sugo di caciucco. I critici gastronomici americani lo definirebbero “mind-blowing”.
polpo, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Altro pane, focaccia bianca e pane by Eugenio Pol.
focaccia, eugenio pol, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
La cromatica base del…
Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
..Risotto Arlecchino. Notevole.
risotto, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Un grande “piccolo” Brunello.
brunello, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Intorno all’agnello laziale cotto sui carboni. In questa foto la costoletta con crema di mandorla e aglio e millefoglie di patate.
agnello laziale, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Finta oliva all’ascolana, con il fegato dell’agnello.
finta oliva all'ascolana, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Il secondo servizio: la spalla e un cannolo con le interiora.
spalla,Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Chiusura con l’animella glassata, carciofo alla liquerizia e crema alla menta.
animella glassata, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Predessert ai lamponi.
predessert, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Mango, coriandolo e limeMango, coriandolo, lime, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Piccola pasticceria fatta da piccoli capolavori: macaron di mandorle e zafferano, e sfoglie al frutto della passione.
piccola pasticceria, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Chupa chups cocco e cioccolato
chupa Chups, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Alchechengi, ancora un’illusione.
Alchechengi, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
sala, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano
La dispensa.
dispensa, Chef Enrico Bartolini, MUDEC, Milano

Patissêrie des rêves: letteralmente, pasticceria dei sogni.

E’ questo il nome di questa importante apertura, una tra le prime (il primo in assoluto, in vantaggio di un paio di mesi, è stato Pascal Caffet) di un grande pasticcere francese sul suolo italico. E se per molti questo è soltanto il suadente nome di un’insegna francofona, per gli appassionati e addetti è una notizia sensazionale, in quanto dietro questo nome si cela uno dei più grandi pasticceri moderni della Ville Lumière: Philippe Conticini, insieme al suo socio Thierry Teyssier.
Quel Conticini -giusto per dare un ordine di grandezza- inventore dello studio e della presentazione dei dessert in verrines, quindi in bicchiere anziché come da sempre in piatto: il papà, insomma, della verticalizzazione del dessert.

Complice anche il tanto rumore di Expo, quest’apertura è avvenuta praticamente in sordina; e così, ancora un po’ intontiti dai cambiamenti portati dai sei mesi di esposizione universale, ecco ai primi di dicembre l’inaugurazione di questa nuova pasticceria milanese, la decima della galassia “…des rêves” dopo 6 punti vendita a Parigi, due a Londra e uno a Kyoto.

Due vetrine affacciate su corso Magenta, praticamente a ridosso di Via Meravigli, attraverso le quali è ben visibile, come fosse una teca in gioielleria, l’espositore delle torte e delle monoporzioni sotto campane in vetro refrigerate, marchio di fabbrica di Conticini: quest’isola illuminata, insieme alle tende da sole rosa sgargianti, attira non pochi dei curiosi sguardi di passaggio.

Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano

Una volta entrati, l’ambiente è molto simile ad una fiaba, non solo per la colorazione bianca/rosa degli arredi, ma anche grazie alla quantità di meraviglie in vendita. All’ingresso vi accoglierà il banco in vetro, per un caffè in piedi o l’asporto, con esposta la pasticceria (composta prettamente da choux e biscotti ai vari gusti) e la viennoiserie classica: croissant, pain au chocolat, kouign amann, madeleine, chausson, financier…

croissant, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano

Proseguendo verso l’interno, oltre agli espositori di cioccolatini, biscotti e dolcezze varie, la vetrina continua con le proposte salate: quiche, sandwiches, tartine e panini, tutto disponibile in formato “finger” da assaggio, o più grande da pranzo. Tutto il comparto salato è sviluppato e realizzato con la consulenza di Brendan Becht, chef patron di Zazà Ramen in via Solferino.

interno, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Tramezzini, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
quiches, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Quiches, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Sandwich, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano

Sul retro invece un piccolo spazio con una manciata di tavolini, per un totale di una ventina di coperti stretti, permette la degustazione in loco. E’ questo l’angolo di paradiso regno delle monoporzioni, veri e propri piccoli gioielli di pasticceria, dal livello nemmeno troppo distante da quello della casa madre parigina e, chiaramente, disponibili anche da asporto. Buona la Saint Honoré, molto buona la millefoglie, sublimi la Tarte au Citron e la Paris Brest, davvero di alto livello. Buona anche la viennoiserie, anche se più ordinaria rispetto alla pasticceria. Disponibile infine, anche servito al tavolo, qualche piatto salato.
Complice l’apertura sette su sette, da mattina a sera con orario continuato, questo spazio si rileva estremamente versatile per colazione, pranzo, uno spuntino veloce, una merenda, un aperitivo, tutto quando preferite. Prezzi mediamente corretti, vista anche l’alta qualità espressa.
Insomma, nessuna scusa: indirizzo imperdibile, a Parigi come a Londra… ora anche a Milano.

La saletta, con vista sul cortile interno e sul laboratorio.
saletta, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
sala, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Croissant, tradizionale (con intruso, un biscotto al cioccolato) e alla crema. Buoni, non fanno gridare al miracolo ma comunque si elevano e svettano nella dozzinale offerta media “da bar” italiana. Considerando poi che il croissant tradizionale è prezzato 1,30€, meno di molti prodotti malamente decongelati…
Croissant, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Croissant, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
L’interno dei croissant. Notevole la lievitazione e la farcitura.
Croissant, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Croissant, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
La Tartine petit déjeuner. Pan Brioche, burro francese e marmellata. Grandissime le marmellate, all’albicocca e all’amarena.
Le Tartine, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
pan brioche,Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Una tradizionale Quiche lorraine (piccola) con pancetta, uovo ed emmental.
quiche lorainne, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Le monoporzioni. Ottima la Tarte citron, perfettamente bilanciata…
Tarte Citron, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
…sublime la Paris Brest, una piccola meraviglia…
Paris Brest, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
…e “solo” buona la millefoglie, a cui mancano una punta di acidità e dolcezza nella crema, fin troppo neutra, per essere eccellente. Sfogliatura e caramellizzazione della sfoglia invece perfette.
Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
Molto curato anche l’asporto. Mini sandwiches…
Sandwiches, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano
…e monoporzioni, tenute ferme da una miriade di piccole linguette in plastica, che riprendono la forma del logo della pasticceria.
monoporzioni, Patissêrie des rêves, Philippe Conticini, Milano

Mai aspettarsi che la manna arrivi dal cielo.
Meglio rimboccarsi le maniche: gli aiuti, più o meno divini, giungono sempre inattesi.
E così in cerca di degno ristoro tra le millanta insegne di Milano ecco che -non tanto all’improvviso, ma con una certa, piacevole, sorpresa ed un passo avanti rispetto alla nostra scorsa visita- si arriva a Manna.

L’ambiente è raccolto e sobriamente minimal: pochi tavoli, arredi misurati e pannelli che si affacciano dal soffitto per un’acustica sostenibile, ma qualche dettaglio, come le tinte pastello delle sedie e i bicchieri dell’acqua colorati, lo rendono accogliente quanto basta.
Una boccata d’aria fresca, questo luogo della tavola che va dritta al sodo, che punta al gusto, che ama i sapori schietti e decisi, ma che sa anche il fatto suo in quanto a tecnica -sviluppatasi negli anni- e crea dunque le condizioni affinché i piatti alla fine risultino apparentemente massivi eppure assolutamente leggeri. Una cucina sostanzialmente italiana e meneghina nel cuore, giocata sulla combinazione ragionata di pochi ingredienti, che rispecchia in pieno il cuoco(ne) che la propone: Matteo Fronduti, sguardo e fisico da biker e sorriso, sotto il baffo, sornione.

Una cucina senza fronzoli ma curata, che diverte e si diverte. A cominciare dai nomi delle proposte in carta, degni di un titolista d’eccezione. Evocativi, enigmatici, ironici, allusivi (da “Uè, testina” passando per “Contro il logorio della vita moderna”), racchiudono ciascuno l’essenza di ciò che verrà presentato, anticipando alla lettura un quid di buonumore. Che non ci abbandona, ma che anzi viene rinforzato ogni volta che si è chiamati alla prova, assaggio dopo assaggio: insomma la cucina fa sul serio, e l’ospite si diverte. Il sorriso si allarga proporzionalmente alla soddisfazione delle papille e al conforto che si produce quando tra aspettativa e realtà effettiva il gap è prossimo allo zero.
E si mangia anche con gli occhi: presentazioni pulite, con volumi studiati, colori calibrati e brillanti. A tal proposito emblematici sono “Libero e privo di impedimenti” (puntarelle, sgombro marinato e datteri, con lucidissima livrea azzurro metallizzato del pesce, in evidenza tra il verde croccante della cicoria cimata e il nocciola soft dei datteri, bilanciato poker di agro-dolce-amaro-iodato) e “Merenda hardcore V.M.18” (vedere e gustare per credere! Sogno-incubo golosamente proibito post-Moretti), portate in ogni caso pensate anche quando volutamente provocatorie.

Est modus in rebus, e Manna ha trovato il proprio.

Libero e privo di impedimenti. Puntarelle, sgombro marinato e datteri.
sgombro, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Uè, testina. Bollito di testina di vitello, salsa verde e giardiniera.
Uè testina, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Grunt. “Prosciutto” di cinghiale fatto Qui, erbe amare invernali e mela verde.
Grunt, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Contro il logorio della vita moderna. Maccheroni, carciofi, gambero rosso, lardo e timo.
Maccheroni carciofi, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Autarchia. Pasta fresca all’uovo, ragù e parmigiano vecchio.
Autarchia, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Tutto fumo. Spaghetti, cime di rapa, aringa affumicata e rafano.
Spaghetti, cime di rapa, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Quasi Milano. Riso, pistilli di zafferano e midollo di bue crudo.
Riso, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Kunta Kinte. Insalata di radici arrosto, maionese di cavolfiore e senape.
Kunta Kinte, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Riassunto di cassoela. Costina, verzino, crocchetta di piedino, musetto, verza e cotenne.
Cassoela, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
De sera e de matina. Baccalà mantecato, polenta taragna e chutney di arancia e spezie.
Baccalà, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Bistecchina?!?! Reloaded. Pannicolo di manzo, radicchio affumicato e miele di castagno
bistecchina, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Vai via dottore. Tarte tatin, gelato alla vaniglia.
Tarte tatin, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Nocciola più. Nocciola soffice, nocciola croccante, sorbetto di cacao e caffè.
Nocciola più, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Virgin colada. Ananas al naturale, lime e cocco.
Virgin Colada, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Merenda hardcore V.M.18. Cioccolato fondente, tabacco cubano, whisky torbato e frollini.
merenda hardcore, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano

Nell’era del 2.0 è invitabile: chiunque tra noi, appassionato o no, prima di recarsi in un ristorante -ma non soltanto- dedica un più o meno rapido sguardo al suo sito web, in bilico tra voyeurismo, ricerca di informazioni e pura curiosità.
Ed il sito di Sushi B, proprio in termini voyeuristici, è quanto di più chiaro possibile: senza che sia dato sapere dove finisce l’ambizione e inizia il SEO, il titolo della pagina recita testualmente “Il miglior ristorante di Sushi Giapponese di Milano”.
Semplice e diretto.

Con questa premessa ci rechiamo da Sushi B sinceramente incuriositi, certi di un’esperienza gastronomica quantomeno degna di nota.
Ci accoglie un ambiente letteralmente da sballo, in una delle vie più charmant del centro di Milano, via Fiori Chiari: non nel quartiere Brera ma letteralmente in Brera, a cinquanta metri dalla Pinacoteca, proprio di fronte a quella che fu l’abitazione/studio di Piero Manzoni.
Pochi scalini e sarete avvolti in un ambiente estremamente di tendenza, all’interno di uno spazioso dehors con un ampio giardino verticale, numerosi tavoli ed un grande banco bar, per un aperitivo o un drink after dinner.
Entrando dalla porta sulla sinistra, l’aspetto da lussuosa boutique se possibile si accentua ulteriormente, tra vetri e specchi, marmi e laccature nere, luci anche troppo soffuse e impeccabili divise del personale.

In bagno, uno spettacolare Washlet di Toto ci dispone al meglio quanto a tasso di orientalità, ed invece quest’ultimo si rivelerà, purtroppo, la cosa più giapponese che troveremo tra queste mura.
Senza girarci troppo intorno, non solo non ci troviamo di fronte al miglior ristorante giapponese della città ma, a dirla tutta… in realtà non ci troviamo nemmeno in un ristorante giapponese in senso stretto.

Quella di Sushi B è un’interpretazione di cucina fusion fortemente contaminata, tanto da arrivare a offuscare completamente la sua base di partenza. Piatti -sotto l’aspetto meramente gastronomico- corretti e piacevoli, ottenuti partendo da materie prima di buona qualità, ma snaturati al punto da risultare decontestualizzati ed insensati in qualsiasi ottica, privi di mordente, di stimoli, di anima.

E anche volendola inquadrare come fusion, questa cucina mostra il fianco alla prima ripresa, non operando per valorizzare piatti e materie prime del Sol Levante, bensì limitandosi a mixare, senza profondità, ingredienti dalle origini più disparate. Esempio perfetto il sushi, nel nostro caso davvero basico: riso troppo freddo, dal punto di cottura leggermente oltrepassato, senza acidità né alcun altro contrasto, con del pesce di buona qualità ma totalmente annichilito dal topping in aggiunta, in ordine sparso tartufo, foglia d’oro, caviale e foie gras.
Un paradigma di purezza orientale, il nigiri, travolto e inghiottito dalla voglia di stupire e strafare.

E così, tra il sushi non all’altezza ed un sigaro di pasta fillo davvero banale, il migliore dei piatti del menù Omakase creativo (suggeritoci dal cameriere come scelta consigliabile, nonché fiore all’occhiello della proposta del ristorante) risulterà la pancia di maiale con verdure croccanti. Un piatto sicuramente valido, anche se non propriamente quel che ci si aspetterebbe all’interno di un Omakase… men che meno poi se le aspettative -questa volta indotte- erano da miglior Giapponese di Milano, ed il conto è comunque parametrato ai medesimi ambiziosi livelli.

Il benvenuto: Pesto di Shiso, tagliatelle di Konjac, pinoli tostati. Sfizioso, buon inizio.
benvenuto, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
I cocktail, davvero eccellenti non solo se rapportati alla media dei ristoranti, ma anche ai cocktail bar di grido.
Il Milano-Tokyo…
Cocktail, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
…e lo Shinkansen, notevole. Gin Jinzu, Junmai Ginjo, Limone, Acqua al Lemongrass, Agave, Shizo.
Shinkansen, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
La prima portata: Cappesante, gamberi di Mazara, spuma di yuzu, caviale. Buona qualità delle componenti, buona dosatura di acidità: l’inizio è convincente.
capesante, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Tonno, Salmone e Ricciola Gunkan, con maionese all’avocado. I tre sashimi, scottati all’esterno, sono riempiti delle loro uova.
tonno, salmone, ricciola, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Salsa di barbabietola, scampo scottato, carpaccio di barbabietola, sashimi di ricciola, olio al tartufo.
scampo, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Sigaro di pasta fillo con sarde, patate e basilico giapponese, polvere di pomodoro e sale Maldon.
Un briouat, tipico della cucina marocchina (?), non croccante, eccessivamente unto e dalla farcia poco incisiva.
sigaro di pasta fillo, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Il sushi creativo: Scampo (con olio al tartufo, disturbante già al naso alla presentazione del piatto), Ricciola (con caviale), Salmone (con uova di salmone), Branzino (con uova di merluzzo), Toro (con foie gras).
sushi creativo, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Ostrica cotta nel burro di Normandia.
ostrica cotta, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Pancia di maiale, verdure croccanti, salsa di topinambur, salsa teriyaki. Ottimo piatto, con annesso momento di sommessa ilarità per un lapsus del cameriere nella presentazione, testualmente “…il topinambur è una sorta di tubero giapponese…”.
pancia di maiale, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Predessert: Chantilly con spuma al caffé.
predessert, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
I dessert, in linea con il rapporto forma/sostanza del resto della cena: dall’impiatto curato, dai molteplici ingredienti, ma alquanto basilari nel gusto.
“Come un pittore”: Crumble di cacao, meringa, cioccolato bianco, sorbetto all’uva fragola, salsa alla lavanda.
dessert, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
“Terra bruciata”: mousse al cioccolato, spuma di fagioli Azuki, sorbetto al cioccolato e ganache di cioccolato affumicato.
terra b bruciata, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano