Sfarzo. Delicatezza che è allo stesso tempo morbida voluttà. Leggerezza ed eleganza senza tempo. Memoria ancestrale di traiettorie orientali. Seta.
A ormai più di un anno dall’apertura, la corazzata capitanata da Antonio Guida rivive totalmente nei pregi del nobile tessuto e lo chef salentino, chiamato con gli inseparabili Federico Dellomarino e Nicola Di Lena a portare immediatamente ai vertici nazionali il locale gourmet del primo Mandarin Oriental italiano, ha dimostrato di essere l’uomo giusto al posto giusto.
Forte della tecnica appresa Oltralpe durante il proprio apprendistato e di capacità organizzative fuori dalla norma, Guida ha portato a Milano, in un’edizione se possibile ancora più radicale, l’idea di cucina che gli appassionati avevano già ammirato negli anni del Pellicano. Uno stile imperniato su una classicità fuori dal tempo negli elementi principali ed impreziosito da fregi salentini e orientali, frutto della propria memoria gustativa e delle esperienze di viaggio compiute negli anni.
Fulcro della cucina di Guida sono le salse. Tirate alla perfezione, leggiadre al palato senza nascondere l’opulenza che nasce dal sapiente utilizzo dei grassi, esse fungono non da ingrediente o semplice contrasto ma da elemento di sintesi, sia quando a chieder spazio è la sferzante acidità dello Champagne (in abbinamento a ostriche, patate e friggitelli) sia quando sono chiamate a sostenere la struttura di un piatto con un ingrediente dello spessore della lepre.
Restando in tema di lepre, è inevitabile che uno chef che domina il repertorio classico ceda alla tentazione di proporre uno dei piatti-simbolo della cucina borghese d’Oltralpe: ecco perciò una lièvre à la royale da manuale, dalla salsa densa e cioccolatosa e di deflagrante impatto olfattivo.
Se la cucina viaggia a pieno ritmo, non le è da meno una sala che raduna professionisti giovani ma già di grande esperienza come Alberto Tasinato o il sommelier Ilario Perrot e che, senza isterie e manierismi, gestisce con disinvoltura le richieste degli avventori gourmet così come quelle, spesso più curiose, degli ospiti dell’hotel.
Per queste e tante altre ragioni come la splendida location, l’offerta del bar, i dettagli di una mise en place perfetta e, non da ultimi, gli straordinari dessert creati da Nicola Di Lena, Seta è un locale da non mancare per ogni appassionato. Faro di un movimento gastronomico meneghino senza eguali nella storia, che noi di Passione Gourmet siamo fieri ed orgogliosi di poter raccontare, aspettando fiduciosi che qualche riconoscimento arrivi anche da parte di altri.
L’offerta in accompagnamento all’aperitivo.
Il pane e il burro.
Ostriche con patate, peperoni friggitelli e salsa Champagne. Una sferzata acida a sostenere un equilibrio tanto pericoloso quanto perfettamente risolto.
Astice Blu arrosto con zabaione ai funghi, cardi e polvere di trombette. Qui la salsa arricchisce il crostaceo di sfumature complesse senza caricarlo di grassezza eccessiva.
Terrina tiepida di piccione al Vadouvan con crema di cavolo nero e rigaglie di pollo. Qui siamo sul gourmand spinto.
Riso in cagnone con verdure, Maccagno e polvere di lampone. Sublime.
Tortelli farciti con polenta e pan brioche, zuppa di lepre, con i tortelli leggermente in affanno nel confronto con l’intensità della salsa di lepre.
Rombo arrosto con asparagi, caviale, mimosa e salsa miso e rosmarino.
Triglia avvolta in foglie di bieta, salsa di granciporro e conchiglie di mare. Materia prima strepitosa per una preparazione di lunga persistenza.
Germano reale farcito, crema di cipolle al sedano e zucca.
Lepre à la royale, ruote pazze e cavoletti di Bruxelles. Hors catégorie.
Tre meravigliosi dessert: Mela fondente, gelato al pan brioche e cognac, litchees e melagrana…
…zucca e cioccolato bianco…
…e Campari, pompelmo, ciliegia e cioccolato bianco.
Piccola pasticceria.
Hide Matsumoto, lo chef de Le Api, si definisce “giappolitano“. Un neologismo interessante, e nel suo caso quantomai azzeccato. Anche se noi aggiungeremmo, perdonateci, un pizzico di profumo francese in questa crasi, se non altro per la favolosa tecnica e maestria mostrata sulle salse, davvero fenomenali.
Ma non solo. Rigore, precisione, determinazione… tutte qualità figlie del lato nipponico di Hide. Ma la sua esperienza italiana, come braccio destro di Davide Oldani, e certamente anche la scuola francese praticata qualche anno addietro, hanno infuso in lui raffinatezza, eleganza, senso della misura e delle proporzioni. Oltre alla capacità di saper dosare gli ingredienti, e rendere equilibrato un piatto.
Una bellissima scoperta questo bistrot, che si pone già ora ai vertici della ristorazione milanese nella sua tipologia, proponendo una cucina classica, molto bene eseguita, accattivante, con interessanti spunti di raffinatezza ed un prezzo veramente da encomio. Non si lesina sulla materia prima, non si arretra su tecnica e qualità delle preparazioni.
Augurandoci che il cammino sia sempre così, in continua ascesa, non possiamo che applaudire quel “giappolitanesimo” anzi, quel “francogiappolitanesimo” stupendo come il rognone di vitello, bisque al profumo di caffè e scampi, con la nota d’aglio elegantemente in evidenza a condurre il gusto, assieme alla polvere di caffè nella salsa e, crediamo, un piccolo tocco di fondo bruno nella bisque.
O, ancor di più, quei paradisiaci cappelletti di brasato di coda di bue con una salsa da maestro, fondente, grassa, persistente ma leggera, con il tocco geniale dei lamponi appena intiepiditi e del profumo di rosmarino elegantemente adagiato sulla preparazione.
Di grande scuola anche tutti i dolci, passaggio affatto scontato in una cucina di un ristorante. E di buon livello anche il servizio, giovane e professionale. Non male la possibilità di una pausa pranzo non necessariamente d’autore, ma con prodotti di ottima qualità preparati da mani tanto esperte.
Difetti? Per ora non pervenuti. Andateci!
Gamberi rossi, pesca e germogli di soia alla curcuma e zenzero. Piatto notevole, una materia prima di grande qualità, anche se leggermente virato su note dolci.
Sgombro marinato alle spezie Colombo con caponata. Piatto di grande tecnica, gusto e precisione.
Rognone di vitello e scampi, bisque, aglio e profumo di caffè. La salsa, da manuale, infonde una eleganza ed un rigore alla preparazione davvero molto importante.
Cappelletti di brasato di coda di bue, sugo di arrosto, lamponi, dolce profumo di rosmarino. Piatto perfetto, con il tocco del lampone davvero appropriato.
Agnello roti, fichi al cartoccio, salsa jus di fichi e foie gras. Un piatto classico eseguito alla perfezione, con una salsa da manuale.
La sequenza dei dessert, davvero di alta scuola.
E per chi volesse fare una pausa pranzo, economica ma tutt’altro che semplice…
Varcare la soglia del ristorante Berton è un atto che necessita riflessione, coscienza e attenzione. Non c’è gourmet, appassionato o semplice avventore infatti che possa permettersi il lusso di dare per scontato questo chef e la sua cucina.
Non è un elogio fine a se stesso. Non una adulazione smielata ed evitabile. È la naturale e caustica considerazione che si ha quando ci si trova al cospetto di un cuoco che non sovverte le regole della cucina in alcun modo, ma invece le interpreta in maniera personalissima, facendo apparire straordinario ciò che a molti altri colleghi risulterebbe ordinario.
Va dato atto a Berton di essere un uomo colto, intelligente, sofisticato ed elegante, certo, come già scritto più e più volte. Ciò che non viene mai scomodata è la figura del fuoriclasse. Rimane il fatto però che non trovare nel menù “Tutto Brodo” e “Insalate” tratti distintivi sia davvero impresa ardua. Se poi, come è successo a noi, i piatti vanno oltre l’idea di marketing, allora il bersaglio si può considerare assolutamente centrato.
Certo invece è che Berton, seppur con tratti sottili e quasi impercettibili, si presenti agli ospiti con una cucina scandita da coraggio e irriverenza, con una manovra eversiva mirata ad abbattere, riuscendoci sempre, tutti gli elementi pleonastici all’interno del piatto, ambendo a obiettivi di pulizia e nettezza quasi sempre raggiunti. Il tutto veicolando il gusto, con un moto morbido e piacevolissimo, attraverso l’unico ausilio di un liquido, nella fattispecie del brodo. Dieci passaggi scanditi e caratterizzati dalla presenza di dieci brodi diversi, impiegati come elemento principale, decorativo, di accompagnamento. Uno studio seguito ad una riflessione che realizza la fantasia di qualsiasi gourmet, facendolo approdare sull’isola che non c’è, o che non c’era, dalla quale sarà difficile volersene andare.
Il percorso di degustazione non si discosta da una linea solo in apparenza algida, studiata minuziosamente nelle retrovie delle cucine. Si rivela invece un tessuto tramato di lino e seta, che strizza l’occhio alla bella stagione, snellendosi e spogliandosi delle pesantezze invernali, andando incontro ad un gioco di leggerezze strettamente connesso all’alternarsi di consistenze dei vari passaggi. I contrasti cromatici, con esemplare coerenza, accompagnano cullando la vista lungo tutto il percorso, scostandosi dai toni della propria scala solo e soltanto con l’avvento di piatti ordinati alla carta. È questo il caso delle insalate, fantastica reinterpretazione della classica pausa pranzo italiana.
Ci auguriamo che quanto abbiamo riscontrato in questa visita, e con questo menù, si ripeta con costanza. Non sempre questo è accaduto in passato, speriamo quindi in un futuro continuativo.
Berton, con questo suo modus operandi, si aggiudica di diritto un posto sul podio delle unicità, rendendosi artefice di una cucina neoclassica decorata da straordinaria avanguardia, fluttuante, apparentemente sussiegosa e inespressiva ma in realtà estrema e temeraria.
All’interno della scatola dorata di finissima eleganza, tra la leggera asimmetria studiata dei tavoli circolari, i rumori impercettibili dettati dalla maestria della sala evocano un parallelismo tra l’arte filosofica e quella culinaria, dando vita ad una cucina francesizzante ma contestualizzata a Milano, asettica ma di grande carattere, comprensibile ma di estrema complessità. Tutto questo sommato si traduce con la cucina di Andrea Berton, che noi siamo contenti e orgogliosi di poter avere a Milano.
La mise en place.
Chips allo zafferano, al nero di seppia e cialda di parmigiano croccante.
Brodo di granciporro alle erbe e lemon grass, granciporro, indivia belga e verdure. Basta guardare la brunoise di verdure sotto l’indivia per capire la cucina di Berton. Il resto del piatto è un omaggio alle consistenze con la croccantezza dell’indivia, la morbidezza grassa del granciporro e la lemon grass che verticalizza e allunga al palato il piatto. Il brodo accompagna con garbo.
Il pane.
Grissini e schiacciatine.
Insalata di gamberetti e salsa rosa. Il piatto della giornata. Un cocktail di gamberi 2.0. Le schie fritte raccontano le origini friulane dello chef, l’insalata croccante leggermente scottata dona un tocco orientale e la salsa di teste di gamberetti è una chiara citazione francese. Piatto che urla a squarciagola “Andrea Berton!”.
Brodo di cicale di mare, ravioli aglio, olio e pepperoncino. Da mangiare in tre step: raviolo, cicala di mare e sorso di brodo. Divertente e incisivo. Qualità della cicala quasi inarrivabile.
I ravioli nel dettaglio.
E la cicala.
Brodo di grana padano, spaghetti al pepe e patata, scalogno e scorzone.
Risotto alla pizzaiola e mozzarella. Niente brodo questa volta ma piatto che non si discosta dall’amore perverso dello chef per i liquidi. Il risotto è cotto con l’acqua di governo della mozzarella. Risultato notevole, con una piacevole nota lattica-acida che accompagna l’incontro di una tapenade di olive con effetto sorpresa sul fondo del piatto.
Insalata di cozze con zucchini liguri e zafferano. Una delle insalate proposte da Berton per le pause pranzo estive. Molto bene.
Brodo di gallina, seppia cotta e cruda, riso selvatico e caviale Calvisius Oscietra Royal. Passaggio che gioca su un grande impatto platale dato dal caviale e dal geniale brodo di gallina, armonizzato e trasportato dal gioco di consistenze della seppia cotta e cruda e del riso selvatico soffiato. Piatto straordinario.
Spalla d’agnello da latte arrosto, porro e aglio nero. Tanto classic quanto impeccabile.
Brodo di vitello e verbena, animella di vitello, ciliege, crema di mandorle e lattuga romana. Molto più complesso di quanto ci saremmo immaginati. La crema di mandorla è l’ago della bilancia del piatto, da dosare accuratamente ad ogni boccone. Ancora una volta il brodo omaggia un’animella di cuore cotta in maniera esemplare, donadole un pizzico di leggerezza grazie all’apporto della verbena. Berton non lascia niente, ma proprio niente al caso.
Il predessert. Gelato all’olio, coulis di lamponi, pane sabbiato.
Brodo di cioccolato, sandwich al latte, kumquat e sesamo nero. Torna il brodo anche in pasticceria. Dissetante e freschissimo. Interessante l’inversione di consistenze canoniche con il latte reso solido e il cioccolato liquido.
Piselli e gelato alla mozzarella di bufala. Dolce notevole che vira sui toni acidi e minerali.
Cioccolato menta e liquirizia. Anche la pasticceria da Berton è notevole.
Girella di mango, gelato al tè affumicato, crumble ai frutti rossi e tè verde. Grande dessert. Fresco e sofisticato.
Insalata di spaghetti al pomodoro, basilico e olive. Finale a sorpresa (riuscita) attinto dal menu insalate.
La piccola pasticceria.
I vini in abbinamento.
La consacrazione imprenditoriale di Niko Romito è ormai fuori discussione. C’era scetticismo sul progetto Casadonna, e invece si sono susseguiti apprezzamenti e importanti riconoscimenti che hanno aperto la strada ad altri fortunati progetti di ristorazione, che possiamo definire intelligenti e di successo.
Tra la prima avventura extra Reale, a Rivisondoli (con la quale è stata data una grande opportunità ai primi ragazzi uscenti dalla Scuola di Formazione di Castel di Sangro), e l’ultima -“Bomba” a Napoli, dove vengono serviti soltanto bomboloni fritti, dolci o salati- abbiamo assistito al progetto romano di Spazio all’interno di Eataly, ad una piccola parentesi al Capofaro Resort di Salina, e infine all’apertura di Spazio Milano dove, a nostro avviso, è stata messa in piedi la squadra più affiatata, in sala e in cucina.
Proprio il ristorante di Milano, che affaccia su Piazza Duomo, a poco più di un anno dall’apertura ha dimostrato un’importante continuità in termini di qualità ed affidabilità.
Ma oltre alla formidabile ubicazione (in quante altre grandi città d’Europa si mangia così bene, a questi prezzi, in pienissimo centro città?) c’è un servizio di sala tra i migliori che si possano trovare a queste latitudini, sempre cortese, preciso e tutt’altro che distaccato con il cliente. Ma soprattutto c’è la cucina, affidata alla brava Gaia Giordano: una cucina encomiabile nei prezzi, il cui costrutto poggia su rigorose basi tecniche, in perfetto equilibrio tra il conforto gustativo della tradizione (in primis abruzzese, ma non solo) e la sperimentazione caratterizzante il Romito pensiero.
L’ennesimo omaggio al Reale è come sempre interessantissimo. In questa occasione rombo con maionese alle erbe e lattuga marinata, giocato sulla piacevolezza di note grasse e sulla capacità di non saturare le papille gustative grazie a sapienti tocchi vegetali. Una creazione degna del Reale, come i tortelli di ricotta, distillato di pomodoro, capperi e cucunci o la frolla integrale con mandorla e limone, tutti piatti che raggiungono l’armonia gustativa grazie a tre ingredienti principali. Ma è davvero tutto buono, a partire dal pane (di farina semi integrale). Capirete che è eccezionale già solo al rumore della crosta. Siamo certi che questa cucina possa avere ancora importanti margini di crescita e, visto che ci ha abituati bene, da questo momento ci aspettiamo sempre di più. E siamo fiduciosi.
Peccato che per andare in bagno bisogna percorrere qualche metro e sperare di non imbattersi nella coda di avventori del Mercato del Duomo. Ma è una quisquilia rispetto a tutto il resto.
Scorci affascinanti.
Cetriolo marinato.
Il pane, senza se e senza ma, eccellente.
Zuppa di Parmigiano e pane con pomodoro, basilico e limone.
Manzo marinato alle erbe con salsa tonnata.
Sauté di verdure con estratto di sedano e mela: un piatto che dà sempre grandi soddisfazioni.
Burrata, acciughe, arancia e misticanza di campo.
Fiori di zucca in pastella ripieni di ricotta, salsa di acciughe.
Il Rombo con maionese alle erbe e lattuga marinata (omaggio al “Reale”) è un piatto notevolissimo, degno del tristellato abruzzese.
Gnocchi di patate con pomodoro arrosto, basilico e ricotta Scorza Nera.
Le ottime pappardelle al ragù bianco di coniglio, arancia e pecorino.
Interessante la pasta fredda con tonno.
Il piatto imperdibile di questo ristorante: tortelli di ricotta, distillato di pomodoro, capperi e cucunci. Equilibrato, goloso, elegantissimo e persistente.
Semplice ma con una grande materia prima: alalunga, patate e pomodoro.
Mimosa agli agrumi, lamponi e gin.
Meringa, fragole e panna.
Un altro pezzo da novanta di questa tavola: cremoso di mandorle, gel di limone e frolla integrale salata.
In chiusura, l’ottima sfoglia, frutti di bosco e yogurt di bufala.
Gelatine finali.
Uno dei tavoli della sala che affaccia su Piazza Duomo.
Piazza Duomo…
L’insegna all’ingresso.
Entrare da Iyo significa inoltrarsi in una realtà parallela, o un “mondo fluttuante” come suggerisce il nome usato nella sua completezza: UKIYO.
L’atmosfera, i toni sussurrati, i colori invitano al relax mentre Milano fuori scorre. Fusion è la musica, un mix tra chill out e atmosfere orientali. Adeguata nel volume, accompagna il pasto permettendo piacevoli conversazioni.
Fusion sono l’oro e la pietra che si fondono nell’arredamento e nella mise en place giungendo a un risultato caldo, semplice ed elegante.
Fusion è l’offerta gastronomica: nella tecnica di Haruo Ichikawa che coordina il banco sushi e in quella di Michele Biassoni che dona mediterraneità alla cucina.
Il tentativo della carta è quello di creare un punto di incontro tra Oriente e Occidente, rileggendo i grandi classici della cucina giapponese con prodotti provenienti dal nostro mare: via libera a temaki, uramaki o nigiri rivisitati con triglie, ricciola e gamberi di Mazara del Vallo. Optando per il menù degustazione verranno selezionate otto portate a discrezione dello chef.
Il risultato, affidandosi al maestro, pur mantenendosi coerente dalla prima all’ultima portata, non sempre si rivela soddisfacente: dopo una partenza incalzante, l’andatura emozionale si assesta su un ritmo da piccolo trotto, alternando qualche sferzata interessante a percorsi da ridefinire.
Piatti centrati ed energici come l’alice “temaki” o lo Ito Yori cedono il passo, più simile a uno sgambetto, al Sushi Iyo per il quale la mano dello chef sarebbe dovuta essere la bacchetta magica della fata turchina, intenta a rifare il look a un tonno in versione “Cenerentola prima del ballo”.
Uno sviluppo del menù di certo propedeutico per chi si vuole avvicinare a questo genere di cucina, che rischia però alla lunga di giocare su note monocordi, andando a disegnare una sfumatura dai toni pastello attorno a preparazioni tecnicamente ineccepibili che trovano una certa asimmetria in relazione alla qualità dei prodotti utilizzati.
La valida carta dei vini affianca alle etichette più conosciute nomi interessanti sia del panorama italiano che estero. Un bonus da sottolineare è la carta dei tè che propone differenti opzioni. Vale la pena lasciarsi prendere per mano e abbinare alle pietanze una bevanda calda che possa esaltarne il sapore e sostituire il solito calice
La performance, giunti al caffè, perplime per un istante. La strada che lo chef ha deciso di percorrere è indubbiamente nelle sue corde. Le proposte sono valide da un punto di vista tecnico ed estetico.
Il paradossale rischio però, decidendo di non rischiare, è che la perfezione assomigli troppo a un bacio non dato.
All’uscita dal ristorante la mente continua a domandarsi cosa sarebbe successo se il gioco di assonanze volutamente ricercato dallo chef si fosse incontrato e guardato con maggiore complicità con una selezione di materie prime di livello superiore.
Speriamo di scoprirlo presto.
La mise en place.
Alice “temaki”: alice marinata nello yuzu e aceto di riso, ricotta di bufala al wasabi fresco e spinacino novello. Un inizio ben riuscito con il giusto bilanciamento tra parte grassa, croccante e iodata.
Kakisu: ostrica bretone, gelè d’ostrica all’acqua di kombu, granita di daikon e Oyster leaf. Piatto fresco ed elegante.
Selezione Ichi: Scampo marinato con emulsione al passion fruit e tobiko allo yuzu; millefoglie di gambero scottato, gambero rosso di Mazara del Vallo, maionese allo yuzu, calamaro e pomodoro; carpaccio di tonno scottato e marinato nella salsa di soia e wasabi. Passaggio ordinato.
Nel dettaglio:
Ika: calamaro mediterraneo sfrangiato, uovo di quaglia, caviale kaluga Amur, olio e salsa soba dashi. Un mix da emulsionare che strizza l’occhio alla classica tartara. Un gioco divertente dal sapore vellutato.
Sushi IYO: un mix di crudi selezionati dal maestro Ichigawa.
Soba: spaghetti di grano saraceno saltati, piselli freschi e calamaretti spillo. Uno dei classici comfort zone. I piselli leggermente troppo cotti non aiutano la masticazione che rende così il piatto, dopo qualche boccone, un po’ “faticoso”.
Ito Yori: Triglia dell’Adriatico scottata con olio caldo, cipollotto al sesamo, gelatina di limone e zenzero, salsa dal jalapeno. Un piatto divertente, saporito e con carattere. La croccantezza delle squame accompagna la delicatezza della triglia verticalizzando il piatto e creando una fruizione dinamica davvero stimolante.
Black angus: Controfiletto di black angus italiano, cilindro di cavolo cinese, cavolo di Bruxelles, salsa di miso rossa, oliva taggiasca e cappero di Pantelleria disidratato.
Sorbetto predessert.
Exotic sphere: Semisfera al cioccolato bianco, spuma al frutto della passione, finto crumble al cioccolato bianco, mango fresco e coulis di mango.
Il tè in abbinamento alle portate.
Un dettaglio della sala.