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Il Mercato Ittico di Chioggia

Tra futuro e folclore

Se si chiedesse a un turista il motivo per il quale ama trascorrere le proprie vacanze in Italia, rimuovendo dal novero delle risposte quelle che accomunano qualunque meta turistica limitrofa quali cibo, paesaggi e patrimonio storico, il responso ricadrebbe nella maggior parte dei casi su quella caratteristica che rende davvero unico il nostro paese. Un indizio? Si pensi a Chioggia e a quel microcosmo del tutto particolare che è il suo Mercato Ittico.

Come anticipato, non ci stiamo riferendo a quello che è solitamente il nostro punto focale, ossia l’aspetto gastronomico, o almeno non intendiamo in questa sede limitarci a questo sebbene sia sicuramente un altro tratto distintivo e d’eccellenza della Penisola. Ciò su cui oggi vogliamo riflettere è in effetti quell’elemento che sta alla radice del successo e della particolarità del nostro territorio, ciò che ci rende unici agli occhi del mondo: le persone. Una risposta da libro “Cuore” voi direte, ma riflettendoci con maggior attenzione, il preciso vanto di cui disponiamo è piuttosto da individuare in quel patrimonio socio-culturale che ogni italiano si porta dietro nel suo personale bagaglio esperienziale. Quel complesso di tradizioni che si sono tramandate di generazione in generazione, andando a costruire il tipico folclore che caratterizza le diverse zone del paese e che, associato alla solarità intrinseca all’animo italico, ci rendono affascinanti all’occhio esterno.

L’inestimabile ricchezza della laguna veneta

Un chiaro esempio di quanto si è detto finora lo si può trovare in quella pittoresca realtà che è il mercato del pesce di Chioggia. La cittadina che sorge dirimpetto a Venezia, condividendo con essa la laguna, è infatti un luogo che al suo interno racchiude la tradizione secolare di una zona vocata e votata alla pesca quale è il Veneto. Qui, da sempre, i tesori del mare rappresentano l’essenza stessa del territorio; un patrimonio di cui gli abitanti si sono serviti da prima per sfamarsi e poi, con l’avvento del fine-dining, per diffondere un prodotto di alta qualità e portarlo sulle migliori tavole, locali ed estere.

Il Distretto ittico “Rovigo e Chioggia” è una voce importante a livello europeo: una filiera che fattura 800 milioni di euro ogni anno e dà lavoro a 8500 addetti. Grazie alla laguna e al mare aperto si possono praticare diversi tipi di pesca, financo l’allevamento di molluschi bivalvi come la cozza Mitilla® di Pellestrina, di recente segnalata da Forbes tra le 100 eccellenze italiane. Il tutto si traduce in quella realtà che è il Mercato ittico, al dettaglio e all’ingrosso, di Chioggia; un complesso universo nel quale si intrecciano tradizione e progresso.

Antichi mestieri rivolti al futuro

Il primo ogni anno attrae i turisti e i curiosi che qui possono scoprire uno degli angoli più intriganti del paese e comprare dell’ottimo pesce al minuto. Situato in prossimità di Palazzo Granaio, non appena si valica lo splendido Portale a Prisca scolpito da Amleto Sartori, ci si immerge in un luogo senza tempo, dove il trascorrere delle ore è scandito dal riecheggiare delle voci che vanno scemando verso l’ora di pranzo.

Una trentina di postazioni ospitano i mògnoli, i pescivendoli locali e di zone limitrofe che invitano a gran voce gli avventori a visitare i loro banchi, allestiti con il migliore pescato: seppie, calamari, canocie, moeche; e ancora sarde e peoci, caparossoli e bevarasse, ingredienti immancabili nella cucina della massaia locale. Pesce d’acqua dolce o salata, molluschi e crostacei che ogni giorno vengono scaricati dai pescherecci alle prime luci del mattino e poi distribuiti all’asta del Mercato all’ingrosso che rifornisce questo e gli altri mercati locali.

Riservato agli addetti al settore, il Mercato all’ingrosso dal 1960 abita l’Isola dei Cantieri: 11.000 m² che, oltre alla zona adibita al commercio del pesce, tra le altre cose comprendono uffici veterinari, commercianti di ghiaccio e punti ristoro. Un microcosmo che con le aste che si tengono due volte al giorno, al mattino e al pomeriggio, brulica di vita e consuetudini. Come quella che per decenni ha visto sussurrare le offerte direttamente all’orecchio del battitore, oggi rimpiazzata da pizzini vergati a mano, causa Covid e distanziamento sociale.

Sorretto dalla guida illuminata di Emanuele Mazzaro, Direttore dal 2017, questo mercato è pronto ad aprirsi al futuro grazie alla collaborazione con l’Università di Padova e il Cnr-Ismar di Venezia, che sta mettendo a punto il progetto “MarGnet” per produrre carburante a partire dalla moltitudine di cassette di polistirolo che ogni giorno vengono utilizzate, o dalle plastiche rinvenute in mare dagli stessi pescatori. Non è un caso infatti che sul sito si legga: “dal 1960 custodi dell’Adriatico.” Se al livello più alto si è dato il via a questo innovativo progetto, qui ognuno fa comunque il suo per tenere pulito e riutilizzare ogni risorsa. Colpisce dunque duramente il recente attacco approntato dal documentario “Seaspiracy” di Netflix, verso il quale Emanuele Mazzaro non si è risparmiato in termini di critiche.

Il problema dell’inquinamento delle acque e del globo non può essere di certo scaricato con tanta facilità ed immediatezza su persone che fanno un mestiere durissimo, usurante e in certe situazioni addirittura pericoloso. Si pensi al sequestro dei pescatori di Mazara del Vallo in Libia. I pescatori, nella stragrande maggioranza dei casi, sono invece dei veri e propri guardiani dei mari e hanno tutto l’interesse alla salvaguardia del loro luogo di lavoro e di vita.”

La dimensione ideale

Una linea di pensiero che ci sentiamo di sposare e condividere appieno. Si aggiunga poi che i pescatori, così come piccoli produttori e artigiani, rappresentano un substrato fondamentale del Paese, che andrebbe tutelato e valorizzato. È nel piccolo che si rinviene quella capacità di controllo sulla filiera e quella passione – perlopiù sconosciuta a una dimensione maggiore e lucrativa – che garantisce un’ottima qualità del prodotto finale e i tratti netti e distinti propri di ogni mano che lo produce.

Solo così possono venire alla luce creazioni e, in questo specifico caso, piatti, come Yellow Submarine di Massimo Bottura, che si è servito proprio dei freschissimi rombi del mercato per mettere a punto la ricetta servita sulle tavole di uno dei ristoranti migliori al mondo.

Anche Paolo Caratossidis, Presidente dell’associazione ‘Cultura & Cucina‘ e organizzatore del ‘I Festival della Cucina Veneta’ è un grande ammiratore della pesca clodiense e del suo mercato: “Questo è un vero e proprio tempio della Cucina di Mare e un luogo simbolico per tutti i food lovers. Il Pesce è già e sarà sempre più in futuro un elemento dominante nell’alta cucina. La Cucina di Mare ha una marcia in più e ricordiamoci che il pesce (quello pescato, quindi una parte minoritaria) è l’equivalente della cacciagione nel Rinascimento. Un bene che inizia a diventare di lusso e fare la differenza sulle tavole che contano. La grandezza dell’offerta del Mercato Ittico di Chioggia sta nella ricchezza del pescato e nel valore del pesce azzurro che, oltre ad essere buono e versatile, è ottimo anche per la dieta essendo ricchissimo di omega 3.”

Il Mercato di Chioggia, gli uomini che ci lavorano e le consuetudini che questi stessi innescano, sono un patrimonio da custodire e salvaguardare; sono, nel loro piccolo, la grandezza di un intero paese.

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La bellezza del viaggio è legata alle sue infinite sfaccettature: non è rinchiudibile in uno spazio temporale ben preciso. Il viaggio si ramifica dentro di te.
Prima della partenza: quando leggi tutto quello che ti capita sotto gli occhi legato anche solo marginalmente alla tua meta, con una avidità di conoscenza che ha pochi uguali; quando programmi itinerari, spostamenti, tavole e locali da non perdere; quando conti i giorni che ti dividono da quell’aereo.
Alla partenza, nel momento in cui guardi negli occhi i tuoi compagni di viaggio e vedi in loro il tuo stesso entusiasmo.
Certamente prende forma nel momento della scoperta, dell’incontro di nuove culture e nuove realtà.
Ma il viaggio continua anche nel ritorno a quella che definiamo casa, qualsiasi cosa essa sia: si perpetua nei ricordi, nelle emozioni, in quei flash che si stampano nella tua mente senza nessuna intenzione di abbandonarla. Rivedere le foto è qualcosa di unico, un misto di bellezza e malinconia che ti stringe lo stomaco e ti fa rivivere sapori ed esperienze.
Quando poi la meta del viaggio è quella terra che da sempre sogni di visitare, tutto assume un carattere estremo. Questo è stato per noi il Giappone.
Per un gourmet, un viaggio in Giappone è la chiusura di un percorso iniziato, è quella pausa dopo un discorso importante, nell’attesa di riprendere a parlare. Da qui si riparte con una consapevolezza maggiore.
Abbiamo sentito più volte sussurrare timidamente che, al netto delle mode, passato e futuro della cucina siano legate alle tre sorelle Francia – Italia – Giappone.
Lasciamo al tempo delineare la storia: certo è che quanto provato nel Sol Levante ha ricalibrato i nostri parametri di valutazione.
Non esiste un modo giusto per viaggiare, ognuno troverà piacere in quello che è il “suo” modo.
Certamente un gruppo come il nostro non può che ritenere una immersione nel cibo locale una delle modalità migliore per conoscere un popolo.
Questo è ancora più vero in una città come Tokyo, che non ha niente di particolarmente bello da visitare (il paragone con le grandi capitale europee non può reggere) eppure ti entra dentro come poche altre. Una città gigantesca che, tuttavia, regala sempre la sensazione di essere a disposizione, di lasciarsi scoprire a poco a poco come in un lento corteggiamento.
Così come lo sono i suoi abitanti, apparentemente schivi eppure sempre capaci di sorprenderti con un gesto di calore, un sorriso o semplicemente una cortesia.
Tokyo è da scoprire perdendosi tra le sue mille strade, scovando i suoi angoli più nascosti e i tanti diversissimi quartieri.
Con una carrellata di foto vogliamo cercare di fare vivere anche a voi alcuni dei “nostri flash” e condividere anche solo parzialmente le nostre emozioni.
La malinconia ve la risparmiamo, quella attanaglia noi dal giorno del nostro ritorno…

Le “attrazioni gastronomiche” non si contano.
Parlando di pasticcerie possiamo aprire un capitolo immenso: in Giappone c’è una vera e propria venerazione per i dessert e sono quindi tantissime le insegne dove trovare dei dolci di grande fattura.

Tra i pasticceri giapponesi di scuola francese il numero 1 è probabilmente Hidemi Sugino: nel suo punto vendita a Kyobashi si possono provare le sue specialità in monoporzione, in particolare mousse di cui è un vero maestro. All’apertura potreste anche trovare della coda per accaparrarsi le creazioni migliori: le porzioni vengono infatti prodotte in numero limitato e quando finiscono…finiscono. Superlativo in tutto e per tutto.

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Altro pasticcere legato al modello francese è Sadaharu Aoki (ci sono più punti vendita sparsi per la città) ma anche nel campo della pasticceria tradizionale giapponese si possono trovare delle cose incredibili. Lasciarsi sfuggire l’assaggio di un baumkucken (fantastici quelli di Nenrinya) o di un dolce alla castagna sarebbe un vero peccato.

La vetrina del punto vendita di Aoki a Marounochi

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Negozi di pasticceria giapponese

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Sampuru: riproduzioni in cera di ogni genere di cibo, una tradizione secolare.

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Cosa avrà voluto dire…?

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Un minuscolo ma fornitissimo bar nel quartiere di Ginza.

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Altra modalità sempre consigliabile per approcciarsi a un nuovo paese è quella di visitare i suoi mercati. Parlando di Tokyo non si può non pensare al Tsukiji Market: il più grande mercato ittico del mondo, vi lavorano circa 65 mila persone giornalmente. Famosissima la sua asta dei tonni, anche se noi non ve la consigliamo in maniera particolare (non vale la pena recarsi al mercato alle 4 di mattina e attendere molto tempo per una asta di cui coglierete solo alcuni gesti). Meglio svegliarsi con calma e farsi un bel giro nella parte aperta al pubblico dalle 9 in poi.

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Il temibile mezzo di locomozione degli addetti del mercato: sfrecciano alla velocità della luce, occhio!

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Molto interessanti anche i negozietti posti nelle vicinanze del mercato, sia di cibo che di coltelli. L’offerta culinaria anche solo in questo settore è smisurata e si può mangiare molto bene con poco impegno economico.

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Anche i ristoratori giapponesi odiano i fotografi…

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Non solo pesce.

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I costosissimi funghi Matsutake al mercato Ameyoko.

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Tanto street food girando per Tokyo
Yakitori: spiedini di pollo

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Takoyaki: delle palline fritte dalla temperatura interna infernale. Occhio alla lingua!

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L’efficientissima metropolitana di Tokyo: puntuale e ramificata in ogni angolo della città.

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Alle volte approcciarsi a una mappa può essere complicato. Il nostro consiglio per evitare di perdervi è di procurarvi una scheda sim dati giapponese per il vostro smartphone e poi utilizzare google maps: noi abbiamo ordinato dall’Italia questa http://www.bmobile.ne.jp/english/ e ci è stata consegnata direttamente in albergo. Non si trova in Giappone, quindi prenotatela prima di partire.

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Interessante una passeggiata serale al Golden Gai, vicino alla zona di Shinjuku, un dedalo di stradine piene zeppe di minuscoli locali dove fare conversazione e bere qualcosa. In pratica pagate il diritto di occupare una sedia e poi potete fermarvi anche tutta la sera.

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Il famoso incrocio di Shibuya: l’attraversamento pedonale più frequentato del mondo.

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Il Quartiere Roppongi.

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Una insegna “amica”.

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La stravaganza è all’ordine del giorno: una ragazza-Lolita.

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Il mitico Bento Box!

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Carrellata finale…

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E’ oramai un luogo comune pensare che la cucina italiana all’estero sia intrisa di falsi ideologici, di ricette raffazzonate e spesso contaminate, di scarsa eleganza e raffinatezza.
Non si è mai mangiato così bene in Italia. Perché mai all’estero invece la nostra cucina è proposta come una fotocopia sbiadita di quella delle mamme, ricca di errori, imprecisioni e grevi digressioni che non aiutano certo la cultura culinaria del nostro belpaese?
Però qualche eccezione c’é, e per fortuna.
Non è la prima, e contiamo non sia nemmeno l’ultima, esperienza di cucina italiana al di fuori del nostro territorio che ci fa sobbalzare sulla sedia per la  felicità.
Perché trovare una così chiara, moderna, elegante, raffinata e filologicamente corretta alta cucina tricolore è stato davvero emozionante.
Luca Fantin, enfant prodige italiano, ha accettato la proposta del Bulgari a Tokyo dopo un’importante esperienza da Heinz Beck, ma anche da Andoni e Seiji Yamamoto solo per citare i nomi più altisonanti.
Dal tedesco ha certamente acquisito rigore, ordine e precisione germanica.
Il talento e la fantasia ci sentiamo di riconoscerla invece tutta a lui, italiano sino al midollo. Cuoco preparato, intelligente (si informa e legge tutto sulla nostra cucina), con una presenza elegante e distinta. Ed una cucina divertente, sofisticata, gustosa, piacevole e giustamente riconoscibile.
Solo apparentemente semplice: la sua comprensibilità, doverosa a queste latitudini, fa anche rima con ricerca, finezza e ricercatezza. Mai ci saremmo immaginati, sinceramente, di provare un’esperienza simile a Tokyo. Ed invece Luca ci ha stupito, conquistato ed ammaliato con le sue preparazioni.
Il cuoco trevigiano mixa abilmente prodotti della nostra terra, come il radicchio di Treviso o la mozzarella di bufala, con gli straordinari prodotti che offre il mercato di Tokyo, e non solo. Ci ha confessato che i pomodori qui sono fantastici. E ne abbiamo avuto la prova in una sua italica preparazione. Pomodori buoni, buonissimi, con un costo che si avvicina più ad una pietra preziosa che ad un ortaggio. Ma su questo siamo in tema con la maison ospitante.
E poi il pesce, che qui a Tokyo è semplicemente straordinario e su cui Luca ha avuto un Virgilio d’eccezione, figlio di un grande Sushi Master locale.
Siamo felici di avere un ambasciatore nel Sol Levante di questa portata. Forse l’unico rammarico è di non avere Luca qui, a casa nostra. Perché la sua bravura a dirigere una brigata importante, in un contesto ed un luogo tutt’altro che semplice, unita alla sua inventiva e ricercatezza nel pensare i piatti, ci dispiace che sia così lontana dalla nostra patria.
Peccato, ma al contempo siamo molto felici di avere rappresentanti di questa caratura che tengono alto il vessillo italico.
Bravo Luca, evviva il Bulgari di Tokyo, stella michelin stra-meritata, forse già un pochino stretta.

L’aperitivo alla Table du chef.

Chips di ricotta e peperone rosso.

Spugne al nero di seppia ripiene di seppia.

Sgombro, agrodolce d’anguria, pesto di rucola.

Milanese di tendine di vitello, lime e sale.

Fantastici grissini…

Polvere di mozzarella di bufala, gelatina di pomodoro, pomodoro e basilico.
La sublimazione della caprese, fantastico.

Piccolo Hamburger di sanguinaccio con salsa alla senape verde.

Raviolo di patate e caviale, et voilà.

L’Andoniano misto di verdure di Hokkaido, crema di parmigiano e purea di topinambur.
Freddo-caldo, cotto-crudo a rincorrersi in un apice gustativo esaltante.

Il fantastico pane…

Risotto, ricci, limone e erbe. Chapeau Luca.

Il rustico ma buonissimo piatto di maltagliati al ragù di guancia e coda, rosmarino e verza.

Un brodetto abilmente rivisitato: crema di finocchio, crudo di finocchio, salsa di vongole, astice blu, una specie di trigliona locale, tartara di scampi crudi.

Entrecote di manzo, crescione e variazione di melanzana, qui molto più dolce che da noi.

Biscotto al rosmarino, granita alla pesca, pesca marinata e il suo nocciolo finto (di nocciole).

Cioccolato, yogurt e cachi.

Divertimenti finali…


La Lounge Dom Perignon all’ultimo e undicesimo piano…


La sala ed alcuni scorci…