Passione Gourmet Matteo Gelmini Archivi - Passione Gourmet

Pisacco

PISACCO IN 90 MINUTI (PIU’ TEMPI SUPPLEMENTARI)

Parte prima: l’intenso prepartita.

ore 14.45:
– Pisacco buongiorno, sono P.
-buongiorno, vorrei prenotare un tavolo per due, forse tre. E’ possibile?
-sì, è fortunato, hanno appena disdetto un tavolo. Per che ora?
-per le 20.30, a nome R. il mio numero è 328blablabla. Apro una parente: anche se le probabilità di venir schedato immediatamente sono minime quanto la mia popolarità tendo a prenotare con nomi di fantasia o, come in questo caso, con il cognome del mio commensale. Il numero naturalmente è invece autentico.
-perfetto, a stasera!
-a stasera.
Ore 19.15, squilla il telefono, numero privato:
-buonasera, parlo con il signor R.?
-(pausa di riflessione…. pensieri che si accavallano: il solito idiota che sbaglia numero, però che strano, conosco un R. ah già il ristorante) eeehm sssì sono io.

-buonasera, sono A. volevo dirle che il tavolo che aveva chiesto è disponibile!

-perché, c’era qualche dubbio?
-ah no, perché mentre lei telefonava in realtà stavamo anche prendendo un’altra chiamata. Comunque le confermo che il tavolo c’è. A stasera.
-a stasera. A proposito, saremo in 2.
Corro allo specchio. Sì, è un gigantesco punto di domanda quello che campeggia sulla mia faccia.

Parte seconda: il match.

Minuto 1: veniamo fatti accomodare a un tavolo apparecchiato per tre. Ci vengono presentate immediatamente la carta delle vivande e quella dei vini. La prima è breve come si dovrebbe in un locale che vuole abbinare prezzi abbordabili e qualità; sono quattro le proposte per ciascuna voce e prendendo la combinazione più cara si sforano di pochissimo i 40 euro. Benissimo, questo è il low cost che ci piace. La lista enoica gioca a fare la ribelle, e da brava riot girl si dimostra affascinante alla prima occhiata, salvo rivelare tutto l’eccesso di gioventù ad uno sguardo più approfondito.
Il locale, va detto, tende a diventare facilmente rumoroso oltre l’accettabile per una conversazione di tono civile. La sensazione di brusio costante è molto simile a quella che si ha in un moderno bistrot parigino. Che brusio rimarrebbe, a Parigi, ma qui non siamo nella Ville Lumière e dopo pochi minuti, con la collaborazione di una gaia tavolata alle nostre spalle che forse vittima della crisi ha anticipato i festeggiamenti discotecari alla cena, inizio a sentirmi come un bovaro del bernese in balia degli ultrasuoni.

Minuto 25: vengono raccolte, dopo non breve indugio ed una finta degna del miglior Cassius Clay, le nostre ordinazioni.
Minuto 35: la sommelier giunge con la camminata del dottor Tomas a comunicarci che il vino scelto, uno dei pochi con più di 5 anni sulle spalle, non è disponibile. Tento un piano B, ma anche questo si scontra con l’annoso problema della siccità. Dopo estenuante trattativa troviamo l’accordo sulla base di un prestito con diritto di riscatto per un giovane Brunello, che si rivelerà d’eleganza del tutto inaspettata.

Minuto 36: giunge in tavola l’antipasto. Calamaro alla plancia con cipollotto e crema di avocado e lime, ottimo punto di partenza: si temeva il cipollotto in versione fuhreresca contro la Polonia, invece no. La materia prima c’è, la mano nel gestire gli accostamenti pure. Un piatto non banale e di alta scuola. Ad otto euro, qui ci scappa la lacrimuccia. Ma è il cipollotto.

Minuto 45: i giocatori in panchina iniziano il riscaldamento. Arriva una cameriera con tre piatti: la guancia per chi è? No, guardi, dobbiamo ancora avere i primi. Lascia gli altri due piatti e riporta indietro il terzo (o secondo, fate voi) incomodo. Il risotto alla milanese con ragù di vitello denota una non dichiarata nota limonosa e non è affatto lasciato “all’onda”, ma se la mantecatura è sospetta il risultato si fa invece apprezzare per la cottura e per l’ ottimo ragù in accompagnamento. Gli spaghetti al pomodoro e basilico con crema di mozzarella di bufala ci lasciano invece parzialmente interdetti non tanto per il condimento quanto per una cottura della pasta eccessivamente generosa che rende il tutto un po’ monocorde.

Minuto 46: mentre siamo ancora all’approccio con i primi, ci viene domandato quanti hamburger abbiamo ordinato. Uno solo, è la nostra risposta.

Minuto 50: appena finita l’ultima forchettata (letteralmente: l’amico R., tipo posato, non ha ancora posato le posate) i piatti vengono ritirati e sulla tavola stovagliata compaiono all’istante la guancia di vitello brasata con purè di patate al limone (limone?ma no!) e l’hamburger à la Berton. Lo chef Matteo Gelmini vanta trascorsi al Food Art che fu di Matteo Torretta, dove già ebbi modo di provare la guancia nella versione al bicchiere. Quella proposta qui manca un po’ della scioglievolezza dell’originale, effetto della lunghissima cottura a bassa temperatura, ma acquista un tocco di freschezza in più grazie la variante citrica, ripetitiva ma non certo fuori luogo.

Minuto 70: c’è spazio per l’ingresso del Waffle con gelato alla vaniglia e salsa ai fichi d’india, quest’ultima sciropposa e un po’coprente, a dirla tutta. L’insieme però funziona e da vita ad un dessert facile e goloso.

Minuto 90: si chiede il conto e si va via. La sommelier si scusa per il casino, si premura che il vino scelto sia piaciuto, striscia la carta dell’amico R. e ci saluta.

I commenti a caldo.

Ore 23.45, Tangenziale est di Milano. Squilla il telefono:
-Carlo, ma la prenotazione era a nome mio o a nome tuo?
-a nome tuo, perché?
-ah allora l’ho fatta io la figura del co-ione.
-perché, che è successo?
-abbiamo pagato 3 hamburger.

Il Processo di Biscardi.

Il giorno dopo, ore 12, Bibibì bii bii bibibì (messaggio di R.):
mi hanno appena risposto alla mail, ci rimborsano i due hamburger e inoltre ci invitano a cena.

Incidenti di percorso a parte, Pisacco è certamente un’esperienza di livello ad un prezzo a cui spesso un qualsiasi livello non riusciamo neppure a trovarlo, oltretutto a Milano e in una delle zone maggiormente preda dei semplici cacciatori di coperti. Realtà come questa danno realmente la misura del concetto di grande qualità (che include tutto, un ottimo pane, un caffè importante) ad un prezzo accessibile. Dobbiamo fare il tifo per questo locale, sperare che non si snaturi, come è già capitato ad altri nel passato dopo pochi mesi di successo, e che il suo successo faccia da traino per la trasformazione di un’eccezione in uno standard per i ristoranti moderni di fascia di prezzo medio-bassa.
La consulenza di Andrea Berton è palpabile non solo nelll’eccellente hamburger, peraltro ora uniformato al prezzo di una qualsiasi hamburgeria gourmet della città, ma anche nell’efficienza della brigata di cucina, assai più avanti di quella di sala.
L’invito a cena (che per inciso abbiamo cortesemente declinato, accettando ovviamente il rimborso) a due perfetti sconosciuti denota inoltre un savoir faire ed una cortesia che rendono ben tangibile l’idea della volontà di far bene che qui si riscontra.

Spaghetti con pomodoro, basilico e crema di mozzarella di bufala.

Risotto alla milanese con medaglione di ragù di vitello.

L’hamburger Berton.

Guancia di manzo brasata, puré di patate al limone.

L’eccellente fagiolina del Trasimeno.

Waffle, gelato alla vaniglia, salsa ai fichi d’India.

Di ottima fattura tanto il pane quanto il caffè.