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Koya

Londra è probabilmente la città europea in cui la cucina asiatica si esprime ai livelli migliori.
Quella Giapponese si è ritagliata uno spazio importante: locali costosi dove gustare sushi di altissimo livello (su tutti Araki e Sushi Tetsu) ma anche spazi più popolari, più accessibili economicamente, dove trovare la cucina giapponese di tutti i giorni.
Tra questi, Koya è senza dubbio l’indirizzo da segnare in agenda: specialità Udon, varietà Sanuki, i famosi noodle di farina di frumento da mangiare freddi o caldi, in brodi di varia natura.
Ma ancora più interessanti sono i piccoli piatti da scegliere da una striminzita carta che cambia giornalmente: piccole perle di cucina giapponese, più o meno contaminate dall’estro europeo.
Koya nasce nel 2010 dalla passione sfrenata per gli Udon da parte di un irlandese, John Devitt.
Gli Udon non erano certo una novità a Londra, ma Koya ha portato la qualità e l’attenzione per i dettagli tipiche dei migliori indirizzi giapponesi. Quindi udon fatti a mano giornalmente, brodi freschi e ricchi di umami, ingredienti di primissima qualità.
In cucina Junya Yamasaki, un passato importante da Kunitoraya a Parigi prima di mettere radici in questo locale di Soho.
Il successo è stato travolgente.
Il locale è piccolo e molto semplice, non sarà raro mangiare gomito a gomito con perfetti sconosciuti. Non si accettano prenotazioni, perciò cercate di scegliere gli orari meno inflazionati oppure armatevi di pazienza perché spesso si trovano persone in attesa fuori dalla porta. Il servizio è comunque rapido, quindi non ci sarà mai molto da attendere.
In alternativa, sulla stessa strada, c’è anche il Koya Bar, stessa proprietà e filosofia, aperto in orario continuato da colazione a cena.
Il concetto è quello di applicare la filosofia giapponese al contesto: quindi ricette e idee della tradizione giapponese ma con ingredienti locali, come il pesce delle coste del Galles o i vegetali coltivati da agricoltori autoctoni.
Risultato di ottimo livello, sia per quanto riguarda gli udon, sia per i piccoli piatti del giorno, nel nostro caso una sogliola fritta nella sua interezza di grandissima fattura. Una esperienza che certamente non ha moltissimo da invidiare a quelle fatte a Tokyo.
Fortunati questi londinesi…

Insalata di spring greens, erbe selvatiche & ponzu.
insalata di spring greens, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
Sogliola al limone fritta croccante con daikon al peperoncino.
sogliola al limone fritta, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
daikon al peperoncino, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
Gyushabu udon (con manzo shabu shabu).
Gyushabu udon, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
Té verde giapponese (della casa).
tè verde, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
I menù alle pareti
menù, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
menù, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
locale, Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr
Koya, Chef Junya Yamasaki, Londr

La cucina cinese, al di fuori dei suoi confini geografici, è stata per lungo tempo vittima dei luoghi comuni, della superficialità e, certamente, dei tanti cinesi che in decenni di storia hanno esportato nei più disparati luoghi del mondo una proposta mediocre, fatta di ingredienti, a essere buoni, modesti. E’ senza dubbio questa la situazione in Italia, ancora oggi con pochissime eccezioni, affogati da involtini primavera e gelato fritto, da finti spaghetti di soia e improbabili nuvole di drago. E comunque, anche nel migliore dei casi, è solo la cucina cantonese che ci hanno abituato a conoscere: nulla sappiamo della incredibile varietà della cucina cinese. Sarebbe come identificare la cucina italiana solo con la proposta dell’Emilia Romagna, con tagliatelle al ragù o tortellini in brodo. Ed invece la Cina ha una storia millenaria, è terra di cultura ed arte, un territorio vastissimo che si esprime in una gastronomia estremamente complessa e multiforme. Provare l’HKK per credere. Proviamo allora a fare un rapido approfondimento di questo enorme patrimonio.

Sono quattro le grandi scuole della cucina cinese secondo la classificazione tradizionale: Lu, Chuan, Yang e Yue. Sulla base di queste, si sono sviluppate le “otto scuole”: la cantonese, quella di Sichuan, Shandong, HuaiYang, Zhejiang, Fujian, Hunan e Anhui. Quella cantonese (detta anche Yue, e che proviene dalla provincia Guangdong) è una cucina meridionale che ha il riso come elemento base ed è caratterizzata da aromi piuttosto delicati. E’ appunto quella più conosciuta in occidente. La cucina del Sichuan (cucina chuan) è quella del Sud-Ovest, conosciuta per l’uso del famoso pepe. Due gli stili di cucina dello Shandong (cucina Lu), la provincia costiera orientale: sono lo stile Jiaodong, che si esprime con piatti di pesce dai sapori leggeri, e lo stile Jinan, famoso soprattutto per brodi e zuppe. La cucina Lu è tipicamente caratterizzata da un uso deciso di aglio e cipolla. La cucina della provincia Huaiyang viene anche detta cucina del Jiangsu (cucina Su); questa provincia si trova nel sud-est della Cina ed è caratterizzata da un clima subtropicale. E’ tendenzialmente più dolce delle altre e ricca di condimenti. La provincia Zhejiang (cucina Zhe) ingloba almeno quattro stili diversi: Hangzhou, Ningbo, Shaoxing e Shangai. E’ tipicamente una cucina fresca, leggera, dal gusto dolce. Fujian, nel Sud-Est della Cina, (cucina Min) è una provincia caratterizzata sia da zone costiere che da tratti montuosi: può quindi proporre sia frutti di mare sia alimenti tipicamente montani. Particolarmente enfatizzato l’umami. Nella Provincia Hunan (cucina Xiang) sono rappresentate tre cucine locali. Ricchezza e cremosità sono le sue note salienti, oltre all’ampio utilizzo di elementi piccanti. Questa provincia non ha sbocchi sul mare, sono prevalenti quindi le preparazioni a base di carne Infine la cucina della provincia Anhui (cucina Hui) è diffusa nella regione della “Montagna Gialla”, Huangshan, nella parte orientale della Cina. Erbe selvatiche, funghi, germogli di bambù caratterizzano spesso questi piatti.

Risulta quindi davvero riduttivo focalizzarsi solo sulla cucina di una provincia. Il pasto cinese poi è una successione studiata di sapori, consistenze e temperature: è necessario trovare un equilibrio tra caldo e freddo, tra alimenti yin e alimenti yang. Alimentazione sempre strettamente correlata alla medicina e alla cura del corpo. Di tutto questo, non solo in Italia ma in tutta Europa, abbiamo ben poca esperienza diretta, proprio per la scarsa numerosità di indirizzi di elevata qualità. Londra, sotto questo aspetto, ha da sempre rappresentato una eccezione: la sua prorompente multiculturalità, abbinata a una tradizione culinaria che solo ultimamente ha saputo riproporsi ad alto livello, ha favorito il fiorire di numerose tavole di cucina “etnica”, termine forse improprio ma che ben le identifica. Ha avuto quindi terreno fertile l’attività dell’Hakkasan group, una società attiva a livello mondiale nel settore della ristorazione, divertimento e ospitalità. E’ datata 2012 l’apertura dell’HKK, uno dei ristoranti di punta del gruppo, gestito dallo chef Tong Chee Hwee. L’obiettivo dell’HKK è quello di riproporre in chiave moderna i piatti tradizionali cinesi, mescolando prodotti asiatici con prodotti europei e tecniche di cottura classiche cinesi come l’uso del wok ad altre moderne, come il sotto vuoto. Il risultato è un bellissimo viaggio attraverso la Cina, filtrato da testa e mani di un occidentale di adozione. Non c’è nessuno spazio per il folclore, nemmeno nell’arredamento della sala, decisamente moderna e minimale. Ma la sostanza è sconvolgente. Piatti di alta cucina che fanno venire solo una voglia: prendere il primo biglietto aereo per la Cina e partire alla scoperta di questo meraviglioso paese.

Maiale marinato Duke of Bershire con gelatina di vino Osmanthus e caviale. Piatto rappresentativo della cucina JangSu. Piatto fresco, una leggera nota dolce, poi la sapidità del caviale.
maiale marinato, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Capasanta canadese con basilico e mousse di te al gelsomino.
Capasanta Canadese, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Zuppa suprema di mare HKK. Zuppa molto densa, sapore intenso, leggermente piccante. A parte viene portato un cucchiaio con del pesce e crostacei al vapore, da immergere a piacere nella zuppa. Semplicemente buonissima.
zuppa, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
crostacei al vapore, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Anatra alla pechinese arrostita nel legno di ciliegio. Ecco il classico piatto che vale il viaggio. Una preparazione che è diventata un mito, un piatto della cucina Lu. La porzionatura viene effettuata in sala, rendendo il tutto estremamente scenografico. La pelle croccante va mangiata abbinandola allo zucchero, poi la carne da mangiare insieme all’insalata, infine la crepe ripiena di anatra e verdure, da intingere nella salsa oyster. Perfetta, nella sua luccicante laccatura. Un piatto imperioso.
anatra alla pechinese, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
anatra alla pechinese, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
anatra alla pechinese, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Trilogia Dim Sum. Ecco un piatto tipico della cucina cantonese, qui portato al massimo livello possibile. Dim sum rosa: gambero e becche di Goji Dim sum verde: pollo e tartufo Dim sum giallo: fritto con ripieno di granchio reale.
trilogia dim sum, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Il pennello in dotazione, per spennellare a piacere di soia.
pennello in dotazione, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Granchio reale dell’Alaska ed erba cipollina cinese.
granchio reale, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Germoglio di aglio (talli), radice di loto e castagna d’acqua cinese (eleocharis dulcis, pianta semi-acquatica) in salsa di XO (salsa di frutti di mare con peperoncino, cipolla e aglio). Un piatto vegetariano incredibile, pieno di gusto e dalle mille sfumature.
Germoglio di aglio, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Palla di riso glutinoso e torta di crema pasticcera servita con il tè white peony (te bianco cinese). L’intermezzo, per pulire il palato prima delle portate principali. Tè di incredibile profondità.
palla di riso e torta, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
tè, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Abalone australiano in salsa reale. Intensità di sapori in rapida ascesa.
abalone, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Branzino in salsa al tartufo nero. Cotto all’interno del cartoccio, una volta aperto il contenitore si sprigiona un forte profumo di tartufo. Perfetta la consistenza del pesce.
branzino in salsa, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
branzino in salsa al tartufo nero, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Manzo Wagyu scottato con salsa barbecue al caffè. Wagyu australiano, ottimo ma penalizzato da una cottura eccessiva. Fantastica invece la salsa barbecue che chiude con un ottimo gusto di caffè.
manzo wagyu, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Agnello biologico Rugh Farm al cumino speziato. Non perfetta la frittura del fiore.
agnello, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Gelatina al frutto della passione con tapioca al litchi. Fresco e intenso.
gelatina al frutto, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Cioccolato sesamo e lime. Ecco come uscire dalla monotonia di molti dessert al cioccolato.
gelato lime, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
Petits fours.
petit fours, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
In abbinamento: tè High Mountain Oolong. Tè semi-fermentato, perfetto a tutto pasto per la sua freschezza e l’aromaticità non invasiva. Ottimo tra una portata e l’altra per la sua sottile astringenza che pulisce perfettamente il palato.
tè, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
mise en place, HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra
HKK, Chef Tong Chee Hwee, Londra

La scena mondana londinese cambia tanto rapidamente quanto il clima della stessa città. Ecco quindi che da qualche tempo a questa parte il quartiere, non proprio centralissimo, di Clapham sta vivendo un periodo piuttosto felice sotto questo punto di vista.
Dopo anni passati a girovagare tra le migliori cucine del globo, lo chef Robin Gill, assieme alla moglie Sarah, nel marzo del 2013 ha rilevato una vecchia latteria e vi ha creato il suo quartier generale.
L’impatto è decisamente forte.
Musica jazz, ad un livello acustico più da disco pub che da ristorante, accompagna i clienti lungo l’angusto corridoio che funge da sala del The Dairy. Tutto in trenta metri quadri: cocktail bar, cucina a vista e lo spazio necessario per far desinare una quarantina di clienti.
Ma le stravaganze non finiscono qui. Il The Dairy infatti è un ibrido tra un tapas bar e un ristorante in stile bistrot modaiolo. Il ritmo incalzante del locale è a dir poco contagioso e ci si sente quasi in imbarazzo quando si è indecisi se seguire un menù degustazione di sette portate da 45 sterline o se invece ordinare qualche mini porzione alla carta, ognuna al prezzo di 10 pound circa. Una carta dei vini non particolarmente intrigante chiarisce gli ultimi dubbi rimasti: il The Dairy non è un locale fatto per pensare, ci si siede, si mangia e si esce.
L’arrivo delle entrée e degli antipasti è un’onda violenta che sommerge il ricordo di gioie e dolori della vita reale. Se l’obiettivo di Robin Gill è quello di far entrare, chiunque varchi la soglia del suo locale, in una realtà parallela, beh ci sta riuscendo in pieno. E con che classe!
L’orto sul tetto del locale offre la possibilità allo chef di lavorare con verdure ed erbe aromatiche freschissime, oltre che di autoprodursi il miele. Ecco quindi che “cetrioli, zucchine, basilico e miele” è un omaggio all’orto stesso e ai suoi prodotti, lasciati crudi, in purezza, e legati dalla dolcezza del miele. Piatto da K.O.
Ma manca letteralmente il tempo per pensare a quanto appena mangiato, per ragionare su quello che si sta vivendo. Le portate vengono servite alla velocità della luce, ci si sente quasi come in apnea, con la musica che pare aumentare di volume col passare dei minuti.
Lo chef dimostra di aver imparato tecniche e segreti del mestiere dai suoi celebri maestri e riesce a coniugare lo stile nordico avanguardistico del Noma, con la classe eccezionale di Marco Pierre White, e perchè no, con il cuore e la passione di Ernesto Iaccarino.
La coda di rospo, con mais e cipollotti, è probabilmente l’apice del pranzo, con una rana pescatrice di livello extraterrestre, cotta in burro e limone, accompagnata da cipollotti tuffati in acqua e aceto, e mais alla piastra, con qualche chicco tostato per dare croccantezza al piatto. Complimenti.
Per quanto riguarda il servizio di sala, con i camerieri vestiti in t-shirt bianca e grembiule di stoffa, a ricordare i vecchi lattai, non possiamo spendere troppe parole proprio per la velocità del pasto.
In un’ora ci si accomoda, si ordina, si mangia, piccola pasticceria compresa, e si paga. Usciti dal locale, completamente frastornati dall’accaduto, sembra quasi di poter ricominciare a respirare, ma una volta tornati sul pianeta terra, il ricordo del The Dairy, come di tutte le esperienze forti, rimarrà impresso nella memoria a lungo.

Mise en place
mise en place, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Il primo stuzzichino. Velo di sedano rapa ripieno di formaggio caprino ed erba cipollina.
velo di sedano rapa ripieno di formaggio, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Olive di Nocellara del Belice. Uno dei ricordi che lo chef si è portato dal Belpaese.
olive di nocellara, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Acciuga fritta con foglie di acetosella. Frittura perfetta, molto buono.
acciuga fritta con foglie di acetosella, The Dairy, Chef Robin Gill, London
L’acqua arriva al tavolo con servito a parte un bicchiere pieno di ghiaccio. Un dettaglio piacevole.
acqua, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Il miele prodotto dallo chef in persona sul tetto del locale.
miele, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Cetrioli, zucchine, basilico e miele (vedi foto sopra). Piatto freschissimo, dolce e croccante allo stesso tempo. Davvero molto buono.
cetrioli, zucchine, basilico, miele, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Piselli, menta e sedano. Altro bel piatto composto da vegetali essenzialmente crudi proposti in versione nature e sottoforma di “sifonata”. Elementi uguali in due consistenze diverse.
piselli, menta e sedano, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Burro mantecato con midollo osseo affumicato, mousse di fegato di pollo, salame. Piatto gustoso anche se un po’ decontestualizzato dal resto del percorso.
Burro mantecato con midollo osseo, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Il pane, ottimo. Temperatura di servizio però da rivedere, si rischia l’ustione!
pane, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Pollo croccante, sedano fermentato e “kale” bruciato. Piatto dalla forte ispirazione nordica, decisamente riuscito. Il kale è una verdura simile al cavolo le cui foglie hanno forti proprietà salutari. In questo momento è molto di moda nel Regno Unito in tutti i movimenti vegetariani e vegani.
pollo croccante, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Coda di rospo, mais e cipollotto. Il piatto migliore dell’intero menù. Una coda di rospo da antologia.
coda di rospo, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Lavarello alla brace, pomodori, pane fritto ed erbe aromatiche. Altro omaggio all’orto che però in questo caso sovrasta troppo il lavarello, peraltro molto buono. Piatto concettualmente interessante ma da rivedere.
lavarello alla brace, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Agnello, fagioli, salsa alle olive e melanzane. Piatto dalla materia prima ottima e dal grande equilibrio, giocato tra la dolcezza dei piselli e le note amare delle olive e delle melanzane.
agnello e fagioli, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Mirtilli e gelato alla patata. Buon predessert, reso molto acido dalla presenza del latte di capra nel gelato.
mirtilli e gelato alla patata, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Caramello salato, cacao e gelato al malto d’orzo. Grande dessert, goloso ma non scontato. Molto bene.
caramello salato e cacao, The Dairy, Chef Robin Gill, London
La piccola pasticceria anch’essa di ottima fattura composta di un frollino, una gelatina al limone e di un fagottino agli agrumi.
piccola pasticceria, The Dairy, Chef Robin Gill, London
La cucina
cucina, The Dairy, Chef Robin Gill, London
Buona parte del locale
locale, The Dairy, Chef Robin Gill, London
L’orto sul tetto
orti sul tetto, The Dairy, Chef Robin Gill, London

Fulham, splendido quartiere londinese sulle sponde del Tamigi, per una ragione o per l’altra è sempre passato in secondo piano a causa della vicinanza con Chelsea. Da qualche anno però le cose sono cambiate, e Fulham può portare come fiore all’occhiello un locale che tutta Londra gli invidia, Chelsea compresa. Stiamo parlando di Harwood Arms, unico pub della capitale premiato con una stella Michelin.
Adam Graham, chef bistellato del ristorante The Ledbury di Notting Hill, Mike Robinson, proprietario di un celebre pub nel Berkshire e Edwin Vaux, famoso produttore di birra, hanno deciso di rilevare questo vecchio pub, di rimodernarlo e di metterci a capo uno chef di prim’ordine: Anthony Hill. Esperimento a dir poco riuscito.
La filosofia del locale è chiarissima: riproporre un’esperienza classica come quella di mangiare in un pub, rendendola però più moderna e sofisticata. I quadri raffiguranti uscite di caccia di fine ‘700 sono stati sostituiti con fotografie di bossoli e di cacciatori “moderni”, il parquet originale è stato alleggerito dalla presenza di tavoli di legno consunto e sedie spaiate, mentre la cucina, con grande maestria, spazia dalla rivisitazione di classici ormai introvabili come il “faggot”, primordiale salsiccia ripiena di interiora di maiale, che era il cibo più comune per la working class fino ad una cinquantina di anni fa, alla lavorazione di selvaggina e volatili, tra cui il gallo cedrone.
Non c’è nemmeno bisogno di dire che il personale di sala si presenti allegro e spigliato e che la selezione di birre sia ovviamente all’altezza delle aspettative, con qualche chicca proveniente da piccoli birrifici artigianali. Quello che salta all’occhio però è una lista dei vini davvero completa, con rincari, sempre nella prospettiva economica londinese, piuttosto adeguati.
Una lavagna indica i piatti del giorno con la possibilità di creare, per pranzo, un piccolo menù degustazione a 20 o 25 sterline a seconda del numero di portate che si scelgono. L’alternativa è un menù degustazione più completo o la possibilità di ordinare alla carta. Ma è proprio quando si crede di aver capito in che genere di locale ci si trovi a pranzare, quando si è certi di sentirsi a proprio agio, quando si abbassano le difese, che la cucina sferra il suo attacco più letale facendoci letteralmente sobbalzare dalla sedia.
Ecco quindi che la seppia della Cornovaglia, finocchio alla brace e cipolla fondente trova il suo perfetto equilibrio nel pomodorino affumicato al forno, proveniente dall’orto posto sopra il tetto del pub. Concentrazione di gusto, succosità e consistenza degna, e per molti casi superiore, alla media qualitativa mediterranea. Pazzesco.
Ma lo chef, non si fa irretire solo dal suo pollice verde, e guarda oltre i confini della capitale inglese, prestando attenzione alla stagionalità dei prodotti, cosa tutt’altro che scontata oltre manica. La caccia al gallo cedrone, aperta solo 24 ore prima della nostra visita, porta già i suoi primi frutti. Un trionfo di odori (fieno, incenso e timo) invade la sala al momento della presentazione del piatto forte della giornata. La combinazione del petto con le more, i funghi, la salsa al pane e il cavolo con bacon, rendono giustizia al valore della materia prima, mentre le cosce arrostite trovano la loro massima espressione accompagnate da un consommé decisamente aromatico da bere quasi fosse un thè.
In un’atmosfera rilassata, dove una battuta in più è concessa e quasi consigliata, Grahaam, Robinson e Vaux hanno saputo mettere insieme un team affiatato e capace, in grado di proporre sapori antichi con tatto, gusto e leggerezza.

Mise en place
mise en place, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Pane ai cereali con burro salato. Burro buonissimo ma il vero protagonista è il pane, croccante, lievitato perfettamente e in definitiva molto confortevole.
pane burro salato, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Seppia della Cornovaglia, finocchio, pomodorini affumicati e cipolle fondenti. Ottimo il piatto nel suo complesso ma i pomodorini affumicati meriterebbero una scheda a parte…
Seppia alla cornavaglia, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Faggot di selvaggina, ciliege, rape rosse, pera e finferli. Rivisitazione di un piatto, il faggot, caduto nel dimenticatoio collettivo. Ottimo l’abbinamento con il dolce della rapa e l’acidulo della ciliegia.
Faggot, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Salmone scozzese, pomodorini, fondo di vitello e il suo midollo su letto di colcannon. Il colcannon è un piatto della tradizione popolare irlandese composto di patate, molto burro e, in questo caso, aromatizzato con il cipollotto. Piatto grasso, gustoso e riuscitissimo. Ancora una volta i pomodorini apparentemente inutili, apportano quel grado di acidità necessario.
Salmone, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Il gallo cedrone arrosto, mostrato in sala.
gallo cedrone, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Il petto dello stesso volatile con more, funghi, salsa di pane, cavolo con bacon e mandorle tostate. Carne simile a quella del piccione per consistenza ma con meno intensità gustativa (forse anche perchè la stagione di caccia era appena cominciata). Abbinamento con more, pane e funghi molto riuscito.
petto di piccione, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Le cosce del gallo cedrone con il suo consommé da bere.
cosce di gallo cedrone, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Buttermilk pudding con gelato alla fragola, fragole e mandorle tostate. Il Buttermilk pudding è una specie di pannacotta inglese. Dolce gradevole e ben presentato.
Buttermilk, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Semifreddo al latte di capra, salsa di albicocche, pesche sciroppate ed estratto di limone. Dolce molto equilibrato.
Semifreddo al latte, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Un dettaglio della sala.
sala, Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Il classico banco del pub.
Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
Uno dei quadri raffiguranti scene di caccia “moderna”.
Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London
L’orto posto sul tetto del locale.
Harwood Arms, Chef Anthony Hill, London

Passeggiare per Londra, dal punto di vista olfattivo, è come essere all’interno di un museo degli odori.
Curry, coriandolo, lievito cotto, birra stantia nelle moquettes, olio saturo e profumo di erba umida e di fiori caratterizzano ogni via della capitale inglese.
Chef Elliott Lidstone è a capo della cucina del The Empress nella zona di Hackney, ad est della capitale, dal gennaio 2012 e dopo aver concluso la sua gavetta decennale in giro per i migliori ristoranti stellati della nazione. Il cuoco deve senz’altro possedere una mente fina, perché tutto quello che si può annusare in giro per la città, al The Empress si può anche mangiare. La tipologia di cucina è spiazzante e completamente priva di coerenza. I piatti proposti da Lidstone, che peraltro è un cuciniere di ottima fattura dalla pregevole tecnica, spaziano dal classico English food, passando per i sapori del Nord Africa, senza dimenticarsi di quelli orientali, e perché no, facendo capolino anche sulle nostre coste mediterranee. Il risultato di questa filosofia fa sì che alla fine di ogni portata, in attesa della successiva, si venga a creare uno stato di curiosità mista ad inquietudine, del tutto positiva si intenda, difficilmente riscontrabile su altre tavole.
La cosa comunque sembra funzionare, e non poco. L’eterogeneità dei clienti lo conferma: famiglie di stranieri, italiani compresi, giovani hipsters con la propria bici a scatto fisso lasciata sulla porta del locale, amici, habitué e anche qualche anziano inglese vecchia scuola seduto comodamente a sorseggiare una pinta, affollano l’unica grande stanza di questo Gastropub.
Il locale, moderno e di buon gusto, è ben contestualizzato con lo stile dei camerieri, privi di divisa, sorridenti e professionali. Una bella selezione di birre ruba un po’ la scena ad una lista di vini forse non profondissima ma comunque rispettabile. Fishmonger e butcher, i fornitori di pesci e carni, sono esattamente dalla parte opposta della caratteristica piazzetta in cui sorge The Empress.
Tutta questa stravaganza comunque svanisce nel momento in cui si comincia la degustazione dei piatti. Cotture millimetriche, gusti decisi, grande equilibrio e una pulizia finale davvero encomiabile. L’uovo di anatra al forno con fave, piselli e tartufo è un piatto molto goloso, dalla chiara influenza francese, ma bilanciato e reso intrigante dalla presenza delle fave semi crude e dei baccelli di piselli che regalano al tutto una nota verde molto gradevole, nonché un sentore terroso che fa letteralmente volare il piatto.
Altra grande prova di tecnica ed intelligenza è “Lumache e Midollo Osseo”, in cui il midollo lasciato semicrudo acquista una consistenza del tutto simile a quella delle lumache, al contrario tenerissime, mentre il fondo di vitello con le sue note agrumate riesce nel paradossale compito di sgrassare il tutto. Chapeau.
Per quanto riguarda la pasticceria, considerate le pietanze assaggiate in precedenza, ci saremmo aspettati qualcosa di più. La mousse al cioccolato, decisamente troppo legata, e la panna cotta, dolce peraltro adorato oltre manica, non hanno espresso la carica dai cugini salati. Peccato.
Detto ciò, una visita a The Empress è caldamente consigliata per tutti coloro che passassero per Londra, per provare una esperienza gastronomica decisamente nuova ad un costo del tutto abbordabile, cosa non scontata da queste parti.

Concluso il pranzo, confusi e intrigati, una passeggiata nello splendido Victoria Park aiuterà a riflettere su quanto assaggiato, e una volta tornati nel caos e nella multietnicità che caratterizzano la capitale inglese, la filosofia del The Empress sarà di certo un po’ più chiara.

Pane e burro. Ottimi.
Pane e burro, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
Manzo crudo, ginepro, rafano e crescione. Carne dalla texture favolosa ma leggermente sotto tono dal punto di vista gustativo. Il rafano in crema e grattuggiato si sposa benissimo con il sentore di ginepro che conferisce al piatto una nota leggermente terrosa, quasi boschiva. Il crescione pulisce la bocca ad ogni boccone. Ottimo nel complesso.
Manzo Crudo, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
Uovo di anatra al forno, fave piselli e tartufo. Piatto notevole anche per la presenza di un tartufo davvero superbo.
Uovo di anatra, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
Sardine alla griglia, lime essiccato, cavolo piccante in salamoia e coriandolo. Materia prima (sardine) strepitosa e cotta con tutto il rispetto dovuto. Il cavolo marinato conferisce una nota piccante e dolce allo stesso tempo, il lime essiccato regala acidità al piatto mentre il coriandolo bilancia gli aromi. Cinque minuti di oriente seduti al pub!
Sardine alla griglia, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
Lumache e midollo osseo. Di gran lunga il piatto della giornata, e sicuramente uno dei migliori assaggiati ultimamente. Complimenti.
Lumache, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
Pancia di agnello croccante, ceci, harissa e yogurt. Ancora una volta una materia prima (agnello) da sballo. Croccantissimo all’esterno, tenero e succoso al suo interno. Il finocchio e i semi di lavanda sembrano gradire la convivenza con l’harissa, una salsa nord africana a basa di peperoncino, e con lo yogurt. I ceci, in purea e nature, sono il dettaglio che rende il piatto veramente godibile.
Pancia, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
Pannacotta alla vaniglia, fragole e fiori di sambuco. Dessert eseguito correttamente senza però lasciare il segno. Peccato per i fiori di sambuco, non pervenuti.
Pannacotta, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
Mousse al cioccolato, fragole e honeycomb. Altro dolce senza infamia e senza lode.
mousse, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
La sala con qualche dettaglio stravagante.
sala, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
I divani, classici di ogni pub che si rispetti, moderno o classico che sia.
divani, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
The Fishmonger. Il pescivendolo che ha fornito quelle magnifiche sardine.
Fishmonger, The Empress, Chef Elliott Lidstone, Londra
The Buthcer. Grazie per l’agnello.
The Butcher, Londra