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Assinatura

La crescita del Portogallo, ed in particolare di Lisbona, post Expo ’98, è evidente.
Avamposto estremo dell’Europa, ai margini, non solo geograficamente, del vecchio continente, da sempre patria di naviganti e baccalà, sta vivendo un rinascimento, anche gastronomico.
Influenzata, senza ombra di dubbio, dal confinante movimento spagnolo, anche la cucina portoghese cerca di muovere i primi passi in direzione di uno sdoganamento socio-culturale, che la vede senza alcun dubbio ancorata fortemente al territorio.
La tradizione, con i suoi riti, la fa da padrona, ma non si può negare che alcuni lampi di modernità si scorgano nei millanta locali della capitale.
Assinatura ne è chiaro esempio.
Lo chef, dopo aver fatto gavetta nei migliori ristoranti del Paese, ha deciso di apporre la propria firma (assinatura) su questo locale, facendolo, in breve tempo, assurgere agli onori della cronaca come uno degli indirizzi più ambiti dai gourmet portoghesi.
Il suo è uno stile di cucina piuttosto personale, c’è uno studio dietro le sue preparazioni, che non hanno i tratti dell’istintività, del genio, sono razionali, ma non per questo sono poco buone.
L’utilizzo di prodotti sia del territorio che “internazionali” consente un approccio più aperto, ma si scorge, a tratti, la volontà di uscire dagli schemi.
Né è esempio la composizione di gamberi, zampe di vitello e tartufo nero, dove il collagene amalgama le diverse consistenze senza confonderle.
Non tutte le portate sono centrate, però. Non comprendiamo la necessità di affogare l’ostrica nel formaggio, così come di presentare un dolce composito dove i tre elementi non dialogano in alcun modo tra loro.
Mirabile, invece, il tentativo di proporre un menù tutta caccia, che denota attenzione verso un settore sempre più bistrattato nell’alta ristorazione.
La nostra esperienza ci ha dato l’idea di una cucina tutto sommato discreta, lontana dall’eccellenza, ma che può regalare una piacevole serata, soprattutto se si considera che l’ambiente è accogliente ed il servizio professionale e, il che non guasta, ferrato con la lingua italiana.
La luce soffusa favorisce la frequentazione alle coppie più che alle famiglie, anche per la privacy, garantita da tavoli ben distanziati.
Per coloro che amano vedere la brigata all’opera da non perdere il tavolo dello chef, al piano inferiore, praticamente in cucina.
Non aspettatevi, quindi, la cena della vostra vita, ma consigliamo la visita come una delle tappe di un vostro tour gastronomico della città.

Consommé di fagiano, uovo di quaglia. Note vegetali, non solo animali. Brodo ben sgrassato, l’ovetto di quaglia impreziosisce.

Ostrica gratinata con formaggio. Com’era facilmente prevedibile il formaggio da comprimario è divenuto elemento preponderante. Abbinamento migliorabile.

Caldo verde rivisitato (patate, cavolo portoghese, chorizo, sgombro affumicato). Un classico della cucina portoghese con un tocco personale.

Gamberi, zampe di vitello, tartufo nero. Forse il migliore della serata.

Riso, zucca, guance di baccalà. Una zuppetta brodosa, leggermente slegata.

Pescespada, topinambur, caviale. Ben fatto, con il caviale che ha un ruolo importante, spinta sapida a bilanciare il topinambur.

Pernice flambata al cognac, con vellutata di castagne, erbe di campo. Buono, anche se l’impiattamento è decisamente da rivedere.

Cervo, patate, funghi, mirtilli. Ottima la cottura, abbinamento che più classico non si può.

Coulis di lamponi e sorbetto d’ananas. Rinfrescante, prepara le papille al dolce.

Macaron rum e cioccolato, bavarese alla banana, sorbetto al mango. Non abbiamo compreso il senso di presentarli nello stesso piatto.

Sala vista dal separé all’ingresso

Stramberia: tavolo capovolto ed incollato al soffitto

Ingresso visto dalla strada

Lisbona è una città di raro fascino, a tratti decadente, ma vitale, ricca di cultura e di storia, con alcuni scorci di struggente bellezza.
È gradevole la capitale, trasmette allegria, gioia di vivere, piena di ragazzi che invadono i quartieri del centro storico, per bere le birre più economiche del continente.
E noi, tra azulejos (fantastiche ceramiche che adornano gli edifici, e non solo) e pasteis de Belem (piccoli scrigni, molto simili come fattura alle sfogliatelle ricce napoletane, ripieni di deliziosa crema), indefessi girovaghi gourmet, non potevamo esimerci dal verificare quale fosse lo stato della ristorazione portoghese, in grande fermento e foriera di novità, come si legge un po’ ovunque.
Luci e ombre, a dire il vero, hanno posto in chiaroscuro gli astri nascenti della cucina locale, probabilmente esaltati più per demeriti della concorrenza che per meriti propri.
Una delle migliori esperienze l’ha regalata (anche nel prezzo, più a buon mercato dei suoi colleghi) il 100 Maneiras di Ljubomir Stanisic, assurto agli onori della cronaca per essere stato uno dei giurati nella prima edizione di “Masterchef Portugal”.
Nativo di Sarajevo, si è fatto le ossa nelle cucine di mezza Europa prima di approdare in Portogallo, dove ha affondato le sue radici.
L’esperienza nel Relais & Châteaux Fortaleza do Guincho di Cascais ha segnato il suo percorso ed ha influenzato la sua cucina che, a piccoli passi, si è avvicinata alla nuova tendenza di matrice parigina, il neo bistrot.
Qualità e contenimento dei costi la cifra del 100 Manieras. Quindi pochi fronzoli, mise en place ridotta al minimo, così come la cantina. Il menù è fisso e cambia quotidianamente (eliminata qualsiasi possibilità di variazione, se non per allergie da comunicare all’atto della prenotazione), il servizio professionale e prodigo di consigli e minuscola la cucina a vista, dove i numerosi cuochi si fanno apprezzare per la solerzia e la disciplina con cui coordinano i loro movimenti.
Una proposta tutto sommato interessante quella di Stanisic, piacevole commistione di più stili, ma con un comune denominatore: l’equilibrio.
È una cucina che a noi piace, diretta, immediata, certo non entusiasmante, ma perfettamente comprensibile.
Gli ingredienti difficilmente si confondono, mantengono una propria identità, e, spesso, si combinano egregiamente.
Manifesto del pensiero gastronomico del serbo ai fornelli è il carpaccio di capesante, con erbette di campo, tartufo, purea di cavolfiore, spinaci e nocciole, così come la razza scottata, su crema di patate al nero di seppia e cipolla caramellata.
È difficile trovare un difetto alla nostra cena, che ha ripagato le attese.
Preparazioni mai banali e dotate di carattere, cotture ben dosate e materie prime curate ci fanno propendere per una valutazione pari, che ben potrebbe elevarsi qualora il reparto dolce avesse in futuro la medesima cura e profondità delle portate salate.

Mise en place

Bar e cucina a vista

Chips di baccalà con triplice salsa: maionese, patate aglio e coriandolo, peperone rosso. Divertente appetizer, di forma e sostanza.

Finger food: polpo arrostito con pane tostato e aceto balsamico, raviolo ripieno di coniglio, ovetto di quaglia salsiccia e porro, mini bloody mary.

Carpaccio di capesante con erbette di campo, tartufo, purea di cavolfiore, spinaci e nocciole.

Piccione ripieno di foie gras, funghi, castagne in brodo di piccione. Concentrato e sapido.

Razza scottata, crema di patate al nero di seppia e cipolla caramellata

Lemongrass, gelatina di zenzero, peperoncino. Convincente intermezzo giocato su note acide e leggermente piccanti.

Millefoglie di maialino da latte, zucca, verdure, agrumi. Piatto di non semplice costruzione, ben equilibrato, con l’agrume a sgrassare.

Spuma di foie gras, mela e fichi. Dolce-non dolce.

Guava, gelato al mascarpone, crumble di mandorle. Buono, ma piuttosto elementare. Ci saremmo aspettati un colpo d’ala, che non è arrivato.

Lisbona, vista del Castelo de Sao Jorge

Pasteis de Belem

Azulejos