Gaston Acurio è la storia della cucina peruviana. Prima ancora che Ferran Adrià ne rimanesse ammaliato, diffondendolo in mezza Europa, Acurio era già una star nazionale e aveva imbastito un impero gastronomico in patria.
Oggi, al servizio della sua tavola ammiraglia di Lima, c’è la splendida cornice di Casa Moreyra, una tenuta trecentenaria nel quartiere finanziario di San Isidro. Imponente struttura che include un bar, il ristorante che serve un numero impressionante di coperti ogni giorno, e ancora un orto, una cappella, un patio, tre cucine dislocate e diverse sale per eventi privati.
Un posto mastodontico, affascinante e funzionale, rigorosamente di qualità. Come la cucina di Acurio, non certo d’avanguardia, né concettualmente paragonabile a quella del suo allievo Virgilio Martinez, ma sicuramente esaustiva per ben comprendere le culture gastronomiche che hanno influenzato, nel corso degli anni, la tradizione culinaria peruviana consolidatasi in quella che è oggi una delle cucine più in voga in tutto il mondo. Concetto reso chiaro già nell’incipit del menu che recita “La cocina peruana es fruto de un largo abrazo entre todas las sangres del mundo. El abrazo debe continuar”; c’è un po’ di tutto, dall’Italia al Giappone, dalla Cina alla Spagna.
Abilità tra i fornelli, consistenze interessanti e ingredienti favolosi sono la summa di questa tavola, abbondante, comprensibilissima, a tratti molto stimolante, alla quale, però, manca, e ci duole dirlo, quel costante livello di eleganza e finezza che ci si aspetta in santuari blasonati del cibo.
L’esperienza può risultare altalenante, a seconda della scelta. Alla carta c’è infatti il rischio di imbattersi, sebbene in rari casi, in preparazioni deludenti e sproporzionate: come gli udon con ricci di mare, amalgamati in una salsa eccessiva e coprente dal sapore fin troppo amaro al palato, o gli gnocchi di lucuma, in cui l’eccesso di salse finisce per sfocare il gusto degli ingredienti principali. Un peccato visto e considerato i picchi di eccellenza che si raggiungono, in termini di equilibrio e concezione, in piatti come il “Tiradito del amor” o lo splendido “Cuy pekinés” (il porcellino d’india, amatissimo dai peruviani) o, ancora, il ceviche di tuberi, fresco e appetitoso. Consigliamo, pertanto, di orientarsi alla volta di uno dei percorsi degustazione in cui tutto sembra più studiato (dalle proporzioni, e di conseguenza gli equilibri, alla sequenza di assaggi, più chiara e coinvolgente).
L’iperglicemico reparto dolciario è curato da Astrid Gutschene, dolce metà di Acurio che si occupa anche dell’accoglienza, ma anche su questo fronte non molte emozioni da registrare.
La carta dei vini è ben fornita e i cocktail sono di ottimo livello, così come il servizio.
Dopo anni di esperienza ancora oggi, dopo aver ripreso in mano coltelli e padelle, Acurio -che conosce bene la legge del mercato- ha trovato una formula perfetta per appagare tutte le fasce di clientela che, non a caso, imperversano ogni giorno in questo stupendo ristorante.
L’alta cucina peruviana può essere classificata in due macro categorie: la cucina cosiddetta “fusion”, intesa come quella in cui importanti influenze di altre culture gastronomiche si combinano ai sapori ed agli ingredienti locali (è il caso della cucina di Gaston Acurio, che rievoca piatti importati dagli immigrati cinesi, giapponesi, spagnoli e finanche italiani, o di Maido, che si focalizza esclusivamente sullo stile nikkei), e la cucina per così dire di territorio, intesa squisitamente quale scoperta o riscoperta di ingredienti peruviani e, più nello specifico, andini e amazzonici presentati (e già questa è la grande novità) in una chiave totalmente inedita. In questa seconda categoria si colloca il Central, per la terza volta consecutiva nominato miglior ristorante dell’America Latina dalla tanto influente quanto discussa classifica della 50 Best.
E siamo d’accordo: questa è la più interessante e innovativa tavola che abbiamo trovato a queste latitudini, e siamo certi che sia una delle più peculiari del mondo.
Il fautore di questa che, prima di tutto, è una filosofia, è Virgilio Martinez, uno degli chef più influenti del momento, tanto talentuoso quanto scaltro a sfruttare al meglio l’eco mediatica che in questi ultimi anni innalza trionfalmente la “nuova” cucina sudamericana verso l’empireo della gastronomia mondiale.
Al Central si trovano due percorsi principali, ordinabili anche in versione ridotta (in termini di numero di portate).
L’esperienza culinaria più completa può piacere o meno, ma è senza alcun dubbio, prima di qualsiasi altro aggettivo, educativa. Si chiama “Alturas Mater” e per comprenderne a pieno il significato crediamo che sia necessario tenere in debita considerazione alcuni dati.
Sulla terra esistono 32 tipi di clima. 28 sono presenti nel Perù. Così come 84 ecosistemi su 117 totali.
Venti e più assaggi tessono la trama di un’esperienza narrativa, visiva, gustativa e perforante, incentrata sul dualismo tra biodiversità climatiche e ingredienti reperiti tra i diversi ecosistemi, e le diverse altitudini del Perù. Apparentemente non c’è un ordine. Proprio perché l’essere vivente nell’esplorare una terra come questa è soggetto a repentini sbalzi di clima e temperature.
Il filo conduttore, in verità, è appunto l’altitudine, elemento generatore di una scala di prodotti che parte dal mare fino alle vette più alte delle Ande, dove si assiste alla miracolosa crescita di tuberi di cui si ignorava l’esistenza, senza tralasciare le insenature amazzoniche e la misteriosa bellezza di quella flora e di quella fauna.
Praticamente un viaggio in Perù attraverso i suoi sapori più autentici e sconosciuti.
Un impressionante lavoro che parte dall’abnegazione per la ricerca del nuovo da riscoprire e valorizzare.
Tutto ciò è stato reso possibile grazie all’ambizione di Virgilio Martinez e alla sua “Mater Iniciativa”, una squadra di ricercatori e avventurieri itineranti che gira in lungo e in largo per il Perù cercando di comporre i pezzi di una gastronomia ancora tutta da scoprire. Un lavoro di ricerca biologica e culturale atta ad infondere il nobile concetto secondo cui prima ancora della tradizione di un qualsiasi piatto tipico è importante conoscere la tradizione di un ingrediente.
Qui non un ingrediente, né un sapore -eccetto le immancabili uova, farina e acqua- ritorna familiare in mente, e provate a chiedere ad un peruviano che ha avuto la possibilità di sedere a questa tavola se sia più informato di voi. Difficile, perché davanti a sé troverà un immenso patrimonio, da sempre sotto i propri occhi ma che nessuno è stato in grado di valorizzare e far conoscere quanto ha fatto Martinez. Basta questo per meritare tutta la stima del “pianeta cibo”.
Tra sapori e cibi inediti al comune palato (si va dalle foglie di coca ai pesci amazzonici, finanche ai batteri andini), l’unico limite della sua cucina, al momento, è la carenza, per gran parte della cena, delle alte temperature di servizio. A memoria, ricordiamo in tutto quattro portate “calde”. Al Noma, giusto per trovare una cucina con una simile affinità, ne ricordavamo qualcuna in più. Un limite che, probabilmente, Martinez e la sua brigata colmeranno con il passare del tempo.
Ad ogni modo, Central è oggi un luogo importante che può fungere da propulsore, nel suo piccolo, per un’intera economia. Prevaricando l’avanguardia culinaria e le tecniche più innovative di cucina -qui ci si imbatte in sopraffine preparazioni, curatissime presentazioni, marketing arguto, consistenze interessanti, ma tutto trae origine dall’ingrediente ritrovato, vero protagonista di questa innovazione- l’esperienza di oggi del Central è fondamentale e, senza alcun dubbio, unica.
L’essenziale segnaposto.
“Arañas de roca”. Sargasso (un tipo di alga), patella vulgate e granchio. Si parte da 5 metri sotto il livello del mare. Ed in effetti le tonalità al contempo dolci e salmastre sono molto concentrate e persistenti.
“Plantas del desierto”. Huarango (una specie di albero di carrubo), lucuma e radici. Due assaggi con ingredienti raccolti a 160 metri dal livello del mare.
L’assaggio successivo è fatto con ingredienti provenienti da 3500 metri di altezza.
“Lago de cordillera”: maswa (una patata delle Ande), anatra e zucca. I toni sono ancora dolciastri ma decisamente più montani.
“Diversidad de maiz”: mais, miele e tumbo (un frutto esotico simile al maracuja).
Accompagnata da un intenso e profumato leche de tigre al mais. Una portata mangia e bevi (120 metri di altezza).
“Selva alta”: Yacon (un tubero della Cordigliera delle Ande), baston e corteccia (860 metri). Un boccone materico. Molto particolare la consistenza del tubero. Una via di mezzo tra il calloso e il croccante.
“Escama de Rio” (180 metri): lumache di fiume, Gamitana (che wikipedia descrive come Colossoma macropomum, unico rappresentante del genere Colossoma, è un pesce d’acqua dolce appartenente alla famiglia Characidae), sangre de Arbol (una resina rossa ricavata da alcune tipologie di alberi, utilizzata come antinfiammatorio). Un assaggio eccezionale. Ricco di contrasti e consistenze. In pochi centimetri quadrati.
Una posata che precede il servizio del pane. O meglio, i servizi del pane.
“Altipiano y Ceja” (3900 metri, con prodotti reperiti ad altezza massima). Composto da tunta (un patata disidratata)…
…annato (una pianta amazzonica contenente betacarotene), preparato come una sorta di muffin…
…due diversi tipi di burro (di cacao e di ungurahui, un frutto di una palma amazzonica) che accompagnano…
…l’affascinante pane aromatizzato con foglie di coca bruciate. E’ il caso di dire, un sapore stupefacente.
“Suelo de mar” (20 metri sotto il livello del mare) ovvero molluschi, melone Pepino, lime. Ritornano i sapori marini, molto pronunciati ma con un bilanciamento acido/grasso da manuale, ma il protagonista, ancora una volta, è la consistenza dai tanti risvolti.
“Pieles de Arbol” (si risale a quota 2300): palta, loche, kiwi cha, ovvero, avocado, zucca e amaranto.
Ci vengono mostrati gli ingredienti del prossimo piatto.
“Tallo extremo” (2875 metri): Oca (ossalide tuberosa), mashwa (una patata gialla), sambuco. Una delle preparazioni più golose. Un piccolo viaggio intorno alla patata. Il sambuco dona misurata eleganza.
“Colores de Amazonia”(400 metri dal livello del mare): Paiche (pesce amazzonico), nocciolina di Bahaja, pijusyo, huito (due frutti tropicali dolci). Il piatto più ruvido. Il sapore del pesce è molto pronunciato. Un po’ faticoso a livello olfattivo. Il piatto meno convincente e bilanciato del percorso.
“Cosecha y Recoleccion”, in italiano “vendemmia e raccolto”. Uno dei piatti migliori. Si tratta di lattuga grigliata, capesante e granadilla. Le capesante (il sapore è magnifico) sono adagiate sulla lattuga, in perfetto contrasto tra caldo e freddo, morbido e calloso. Meravigliosa la salsa a specchio in accompagnamento, una riduzione di succo di granadilla, una via di mezzo tra la pesca e il frutto della passione, secondo molti il frutto con il più equilibrato sapore tra le cd. passifloraceae. Gli ingredienti di questo piatto si trovano allo stesso livello del mare.
“Pesca de Cercanìa” (10 metri sotto il livello del mare): polpo, corallo, Barquillo. Altro sapore eccellente. Grande qualità del polpo, appena colpito dal calore, ed eccezionale consistenza del corallo (in sfoglia).
Chiude il piatto una infusione di corallo. Dal profondo sentore marino.
Un cuore di manzo disidratato sul quale è adagiata una cialda al latte di manzo. Sono il preludio all’ultimo piatto salato.
“Cordillera baja” (più 1800 metri). È il piatto principale. Un gustoso filetto di manzo è ricoperto da una coltre di varietà di quinoa e semi di airampo (un cactus delle Ande), bagnati da un latte di quinoa (meraviglioso sapore).
Profumatissimo il primo dessert: “Bosque amazonico” (650 metri sopra il livello del mare) con melarosa, pitahaya, verbena e pepe dolce. Rinfrescante ed aromatico. Eccellente il sorbetto alla melarosa.
“Alturar verdes” (più 1050) Cacao e chaco (Green Highlands: Lucuma, Cacao) per gli amanti del cioccolato. Un piccolo viaggio intorno al cacao (di diversi tipi, in diverse consistenze).
Servizio che si chiude con un bicchiere di “cushuro”, un batterio che cresce ad alte latitudini. Per chi volesse approfondire (poco).
“Valle entre Andes” (2190 metri): radici, cirimoia, sacha inchi.
“Mucilago solar” (200 metri): piccola pasticceria fatta con cioccolato theobroma.
Chiude il tutto “Agua O.I.”, infuso straordinariamente aromatico di cedron (verbena odorosa).
Anzi, il Perù è terra di caffè. Buonissimo.
Cucina affollata.
L’ingresso del ristorante. Privo di insegna. Sebbene il quartiere di ubicazione “Miraflores” sia uno dei più esclusivi della città, a Lima di notte c’è sempre da tenere gli occhi aperti.
Gaston Acurio è il più famoso cuoco sudamericano nel mondo.
Più che un cuoco è un vero e proprio imprenditore, con quasi cinquanta tra ristoranti, bar et similia. A memoria, non ricordiamo altri chef, direttamente coinvolti in attività d’impresa, con questi numeri.
Basta fare un giro in alcuni dei suoi ristoranti in Perù, che sia in un bistrot o nel ristorante di punta, per capire che siamo di fronte ad un fenomeno della ristorazione. Locali pieni in qualsiasi giorno della settimana, doppi o tripli turni. Brigate numerose e preparazioni, alcune volte anche complesse, eseguite a ritmo incessante. Una macchina da soldi, prima ancora che un impero gastronomico. Questo è Acurio.
Il perfetto esempio del suo successo è la cebicheria La Mar, aperto da mezzogiorno in punto fino alle 17:00 tutti i giorni, in cui vengono consumati chili e chili di pesce e crostacei di giornata (ed ecosostenibili). Un concetto di eclatante successo, a cui diversi imprenditori e catene alberghiere di lusso hanno fatto la corte, per replicarlo nelle loro città.
Al La Mar non si accettano prenotazioni, ma se si vuole evitare la fila si può arrivare verso le 14:30, come abbiamo fatto noi un tranquillo martedì di agosto. Ciononostante, il locale straripava letteralmente di clienti.
Tre postazioni differenti (crudi, fritti o cucinati, forno a legna per le padellate ed altro) e dislocate per tutto il locale, una sorta di grande dehors coperto. Il pescato del giorno, che, come detto, arriva da una apprezzabile e certificata pesca locale sostenibile, viene preparato in tutte le declinazioni possibili e immaginabili, a cominciare dal crudo, vero fiore all’occhiello di questa -non a caso si chiama così- cevicheria. Ma la carta rimanda anche ad altre cucine che hanno influenzato questa terra (dal riso alla pasta) nonché allo street food locale; il famoso “sanguchito” qui viene preparato con pesce e crostacei.
Il cliente viene anche accontentato qualora avesse particolari richieste per preparazioni e cotture non presenti in carta. L’encomiabile flessibilità va di pari passo con l’efficienza e la cortesia del servizio che, salvo rare eccezioni -come nei locali targati Acurio o in pochissimi ristoranti di fama mondiale-, in questa nazione è ancora molto indietro rispetto all’Europa, all’Asia e all’America del Nord.
L’assaggio della degustazione de “los 3 cebiches clásicos” è imperdibile: pesca del día, mixto, nikkei, la cui freschezza del pescato è disarmante.
Meno entusiasmante ma comunque gustose sono le preparazioni cucinate come El Pan con chimbombo (con calamari fritti in pastella) e la Empanadas Cangrejo y langostinos.
Altro piatto imperdibile è la “chalana”: degustazione di “causas”, ovvero patate condite con diverse salse e pesci, una delle icone dei piatti oceanici peruviani.
Se si vuole esagerare, infine, potete apprezzare l’abbondanza del contenuto della “Plancha”, con uno sfrigolante quantitativo, tra tonno, polpo, vongole e altro. Tutto ad un prezzo parecchio conveniente, anche grazie al piacevole cambio soles/euro.
Insomma, abbondanza, qualità e spensieratezza: questi, a nostro avviso, sono i dettami di La Mar, un luogo in cui ogni giorno va in scena una vera e propria festa. Un posto imperdibile anche solo se siete di passaggio da Lima.
Lo snack: mais croccante salato.
Pelle cangiante, occhio vivo ancora gonfio. Chissà se è fresco…
Platano fritto con salsine.
In azione dietro la postazione crudi/ceviche/tiradito/causa.
Los 3 cebiches clásicos.
Pescato del giorno.
Misto.
Nikkei.
La “chalana”: degustazione di causas.
Empanadas Cangrejo y langostinos.
L’impegnativo Pan con chimbombo (con calamari fritti in pastella) servito con patate dolci fritte.
Gustato con una buonissima IPA locale.
L’imponente e sfrigolante padellata di pesce e crostacei.
E per gli impavidi: chocolate fudge cake! Bomba calorica inaudita.
Con un timido gelato alla vaniglia.
Il pescato esposto.
La sala.
L’ingresso.
Lima, dieci milioni di abitanti. 43 quartieri, altrettante amministrazioni comunali. Città architettonicamente eclettica e tangibilmente pericolosa.
In un posto così, il fascino di spostarsi da un quartiere residenziale, benestante e relativamente tranquillo, in una delle zone poco raccomandabili della città è grande, soprattutto se ci si reca appositamente per provare un piatto di pesce crudo marinato, cucinato da un emigrato cinese ultra settantenne, in casa sua (perché di una casa -blindata- si tratta).
Forse in pochi conoscono Javier Wong, una leggenda a Lima, una sorta di -fatte le dovute proporzioni- Jiro Ono peruviano.
Considerato il genio del ceviche, preparato esclusivamente con polpo, un pesce bianco di grossa pezzatura (spesso un rombo), cipolla rossa, lime e pepe nero. Questa è la semplicissima ricetta cult che dieci clienti al giorno possono apprezzare da “Chez Wong”.
Un luogo che è tutto un programma: aperto solo a pranzo, situato nel quartiere La Victoria (distante una quarantina di minuti dai quartieri trendy di Miraflores e Barranco e dal centro storico), nessuna insegna ma soltanto una porta di una casa con un usciere che fa un cenno ai tassisti spaesati mostrando al cliente l’ingresso di questo luogo.
Appunto una cucina di casa con pochi tavolini, tanti riconoscimenti appesi sui muri, un banco e un micro fornello adiacente a due bagni. Tralasciando volentieri le dubbie misure sulle norme igieniche, l’esperienza in un posto così peculiare è unica e irripetibile. Qui vi accolgono con un certo distacco, quasi con menefreghismo, non vi chiedono cosa volete mangiare ma soltanto se volete acqua, Coca Cola, birra o una stucchevole Inka Cola.
Non ci sono prezzi nè menù. Non c’è nient’altro che un “one man show” che prepara il miglior ceviche di sempre. Dosato ed equilibrato in tutte le componenti. Un rombo di incredibile sapore, un polpo dalla consistenza fantastica, una cipolla dolcissima ed una marinatura tutt’altro che aggressiva. La pulizia, la sfilettatura del pesce, il taglio a memoria della cipolla e delle verdure come se fossero usciti da una mandolina. Preparazioni di pochi minuti, davanti al commensale, ed immediato servizio.
Dopo il ceviche seguono altri due piatti “calienti”, cucinati in un wok incandescente, con il medesimo rombo da 8 chili, poi basta.
Tre piatti, stessi ingredienti, tre sapori totalmente diversi. Sapori dal raro equilibrio, a tratti sorprendentemente raffinati.
Il tutto per una trentina di euro per persona.
Bisogna solo telefonare e prenotare prima di arrivare. Altrimenti non troverete nessuno a farvi accedere alla casa-cucina di Wong.
Noi ci proviamo, ma crediamo che non siano abbastanza le poche parole e le foto per descrivere una esperienza così. Bisogna andarci per capire.
Il tavolino e la basica mise en place, da modestissima trattoria.
L’imponente pesce del giorno che sfamerà i dieci commensali.
Ecco l’intera sequenza fotografica della preparazione del ceviche.
L’insieme riposa per qualche minuto.
Ed ecco il risultato. Polpo, rombo, cipolla rossa, pepe nero e lime. Semplicemente fantastico.
Si ricomincia con una nuova portata. Vi chiederanno soltanto se gradite il piatto caldo e il sapore, dolce o salato.
Questa volta abbiamo melone cantalupo, champignon, funghi trombetta dei morti e biete.
Lo chef passa dal tagliere al wok incandescente.
Pochi secondi a fuoco alto ed ecco il secondo piatto. Sapore completamente diverso ma medesima intensità della materia prima. Tanto di cappello.
Infine vi chiedono se c’è ancora spazio per l’ultima portata, piccante. E lo chef si rimette al lavoro.
Ancora pochi secondi di wok ed ecco un altro eccezionale assaggio in perfetto stile cinese: ananas, salsa piccante, cipollotti e quinoa croccante.
La casa (blindata) di Wong.
(In foto di apertura: Da Muzzicone – Castiglion Fiorentino (AR) )
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Da Muzzicone
Il ristorante è addossato alla medievale chiesa di San Francesco. La sala è ampia, gli arredi fermi agli anni ‘50-’60, alle pareti tanti “Piatti del Buon Ricordo” e foto d’antan con vedute del paese o di attori intenti a passeggiare per i borghi della zona. Il menù non è degno di nota. Trattasi di cucina classica toscana troppo salata e un pochino imbastardita (perché usare la baguette come supporto del tipico patè di fegato invece del buon pane toscano? Mistero!). Notevole è la braceria, posta in un angolo del ristorante, e la carne, sempre ben frollata e preparata con sapienza. Su tutte le proposte troneggia la fiorentina di chianina. La bisteccona è tagliata al momento, pesata e mostrata al cliente in tutta la sua possenza prima di finire sulle brace. La mia era un chilo e due di sublime bontà.
(Miryam De Rubeis)
P.zza San Francesco, 7, Castiglion Fiorentino (AR)
Tel: +39.0575.658403
L’ottava nota
Finalmente la città di Palermo può vantare un ristorante adeguato, una bella risposta (in prospettiva) ai “campioni siciliani” concentrati soprattutto nel sud-est dell’isola.
Un ristorante di circa 30 coperti che abbina location, qualità delle materie prime (km 0), creatività e tecnica di esecuzione, servizio attento e cordiale.
A due passi dalla Cala, antico porto della città, immerso nel centro storico, L’Ottava Nota ci ha colpito per l’ambiente minimal ma molto coinvolgente, con un gioco di luci che focalizza da subito l’attenzione sui veri protagonisti della serata: i piatti. Il Menù si presenta curato ed incredibilmente ricco di portate, mai banali, sia a base di carne che di pesce: un invito a ripetere l’esperienza. Segnaliamo, tra gli altri, il “Tortino Ottava Nota”: un tortino di riso pilaf speziato su cui svetta uno strato di guacamole e ricci di mare; piatto ben presentato, mix di ingredienti davvero ben integrati da cui deriva una sensazione al palato pulita e netta, insomma un vero e proprio “signature dish”.
Il pescato del giorno presentava, fuori menu, una tartare di “neonata” (novellame di pesce azzurro, tipico della zona): l’essenza del mare, da non perdere. Fra i primi, proposte degne di menzione le tagliatelle con calamari, “tenerumi” (foglie tenere della pianta della zucchina) e ricci nonché i gigli neri con tonno, melanzane, pomodoro fresco e menta.
Lo chef-patron Vladimiro Farina, grazie all’esperienza maturata in Spagna, è riuscito a rivisitare la cucina siciliana in maniera davvero armonica, con uno spartito che va oltre le consuete sette note musicali: e noi l’ “Ottava Nota” l’abbiamo distintamente sentita.
(Marcello Stasi)
Via Butera, 55 – Palermo
Tel: +39.091.6168601
Il Centro
Ricevere tante raccomandazioni per lo stesso locale da tante persone diverse, come prima opzione, data un’area geografica decisamente estesa, non è cosa comune. Evidentemente “espressione della tradizione” ovvero “epistemologia dell’alta langa” è sinonimo de “Ristorante il centro” a Priocca in provincia di Cuneo. L’amore della signora Elide per il suo territorio produce antipasti dal potere evocativo unico, primi da estasi culinaria, secondi da manuale di cucina tradizionale. I fritti un capitolo a parte da non prescindere, mai. La cantina è un annuario della viticoltura piemontese degli ultimi 50 anni, a ben cercare i veri amanti possono trovare un vero tesoro. Un ristorante onesto, sincero e vero, la cui storia, come la racconta il sig. Enrico, non ha eguali.
(Emma De Danieli)
via Umberto I, 5 Priocca d’Alba (CN)
Tel. +39.0173.616112
www.ristoranteilcentro.com/it
Osteria Vini D’Italia
Questo posto esiste ormai da sessant’anni. Prima bar, poi vineria e osteria. Le redini della cucina sono da tempo in mano a Irina Steccanella, giovane cuoca dalla mano felice che dopo tanta gavetta inizia a godere delle sue meritate soddisfazioni. Girava voce che le sue tagliatelle fossero le migliori di Bologna e noi, dopo averle assaggiate, non possiamo che confermare. Non mancano però piatti altrettanto succulenti, come i soavi passatelli in brodo di gallina. Costine di Mora Romagnola da sbocconcellare con cura o una bella cotoletta alla Petroniana tra i secondi. I dolci sono buoni, rigorosamente fatti in casa e meravigliosamente ipercalorici. Tra tutti una zuppa inglese da manuale e la tenerina al cioccolato. Carta dei vini discreta e, ci assicurano, in evoluzione. Si spendono, volentieri, tra i 30 e i 35 euro.
(Marco Colognese)
Via Emilia Levante 142, Bologna
Tel.: +39.051.541509
www.osteriaviniditaliabologna.it
Restaurante Central
La recente esperienza all’acclamato Central di Virgilio Martinez ci ha regalato qualche spunto interessante e molte contraddizioni. A una cucina a tratti efficace, ma senza molti picchi di eccellenza, si contrappone un servizio a dir poco catastrofico. Al punto da chiederci se la San Pellegrino che bevono in Sud America abbia un’alta gradazione alcolica. Dopo aver sollecitato più volte la lista dei vini, ne siamo venuti in possesso soltanto ad antipasto terminato. Nessuna spiegazione dei piatti e, al momento dei dessert, si è materializzata al tavolo una coppa di azoto liquido (supponiamo) all’eucalipto per la quale nessuno ci ha fornito istruzioni.
Circa la cucina, tra gli starters, qualche segnale rassicurante ci è giunto con il polpo e lenticchie, una piacevolissima combinazione di consistenze, sapori e colori, grazie al singolare gusto del patè di olive Botija. Tra i piatti principali, la grande esecuzione del Black Corvina con cenere di cipolla e risotto (perfetto!) alle capesante è stata susseguita dallo sconcertante Amazonian Arapaima, dal gusto tragicamente appeso tra il blando e lo stucchevole.
Senza alcun pre-dessert arriviamo ai dolci. Tocchi di formaggio di capra con una granita (un po’ annacquata e dolcissima) di carota e, per finire, una foresta di cacao composta da gelato fondente da abbinare a degli interessanti crumble (ottimo il fiore andino Yuvo). Piccola pasticceria senza infamia e senza lode, tra cui ricordiamo solo la gelatina al Pisco Sour, cocktail-bandiera nazionale.
Considerati i prezzi, decisamente più alti della media cittadina, rimaniamo con un dubbio e il rimpianto che il Central non possa essere tutto qua. Purtroppo per Virgilio Martinez, ma soprattutto per noi, però, non è da tutti i giorni percorrere 10.000 km per prendere una tale cantonata.
(Azzurra Schicchi)
Ca. Santa Isabel 376, Miraflores, Lima – Perú
Tel: +39.[511]242-8515 / [511] 242-8575
www.centralrestaurante.com.pe/en
(Amazonian Arapaima, un piatto di Virgilio Martinez – Restaurente Central – Lima)