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Pierino Penati

Era ancora in corso la Seconda Guerra Mondiale quando, nel cuore della Brianza lecchese, apriva i battenti il Pierino. Più di settant’anni dopo, il mondo della ristorazione è completamente cambiato, ma la famiglia Penati continua a portare avanti la propria missione golosa in un territorio che, storicamente, non è terreno fertile per i grandi ristoranti. Il passaggio generazionale, che ha visto l’oggi poco più che quarantenne Theo prendere le redini della cucina del locale di famiglia, è ormai completato e dobbiamo dire che, dopo alcune esperienze interlocutorie vissute in passato, abbiamo recentemente e in questa occasione trovato nei piatti dello storico ristorante brianzolo un nuovo smalto che fa sperare che il periodo meno felice sia ormai definitivamente superato.

Quella di Theo Penati è, oggi, una cucina assai solida, che coniuga con efficacia la leggerezza cui aveva sempre teso finora con una pienezza di gusto e una precisione tecnica assai superiori che in passato. La cesellatura e le cotture degli elementi vegetali, l’attenzione verso l’alleggerimento di alcune preparazioni (esemplare in questo senso la quasi eterea torta al cioccolato, per quanto possa sembrare un ossimoro) e un sensibile miglioramento sul fronte dell’estetica dei piatti, danno la misura di quanto in quest’ultimo lustro la cucina di questo locale abbia progredito e si sia messa in discussione.
La clientela di riferimento per Pierino Penati resta non tanto quella strettamente gourmet (la quale, comunque, a questi livelli non può certamente uscire scontenta) quanto quella dei molti benestanti che qui accorrono per il bel servizio, formale ma piacevolmente decontratto, e la pregevole e panoramica location: cotture lievemente più prolungate della norma ma tecnicamente inappuntabili, come quella dell’ombrina, assumono così un significato quasi sociologico.
L’arrotondamento del voto verso il basso, e non verso l’alto come sarebbe stato possibile alla luce di portate principali e dolci, è determinato principalmente da un’attenzione migliorabile agli elementi di contorno. A parte la pregevole piccola pasticceria, infatti, le preparazioni offerte in apertura e il pane sono sembrati quasi passaggi obbligati e senza alcun particolare interesse gastronomico.
Se è vero che nulla è dovuto e che un ristorante non è certo un panificio, lo è anche e altrettanto il fatto che da un locale di questo livello ci si attende in apertura qualcosa di più significativo di un flan vegetale caldo e un pane, anche di una sola tipologia, ma di livello più che semplicemente dignitoso.
Siamo certi che Theo Penati, che ha saputo trovare la quadratura del cerchio per elementi ancor più basilari del proprio ristorante, saprà trovare la soluzione per innalzare anche il livello di questi particolari, e riportare la storica insegna al livello al quale merita sicuramente di stare.

Snack di benvenuto: meringa salata…
benvenuto, Pierino Penati, Chef Theo Penati, Viganò, Lecco
…e sformato di verdure invernali (a temperatura fantozziana).
sformato di verdure, Pierino Penati, Chef Theo Penati, Viganò, Lecco
Capesante e carciofi spadellati al profumo di liquirizia: qui si inizia a fare sul serio.
Capesante e carciofi, Pierino Penati, Chef Theo Penati, Viganò, Lecco
Spaghetti turanici cacio, pepe e manzo affumicato: l’esecuzione della cacio e pepe manca un po’ di cremosità rispetto all’originale, ma il risultato gustativo del piatto è di notevole impatto.
Spaghetti, Pierino Penati, Chef Theo Penati, Viganò, Lecco
Il mare e l’orto: ombrina cotta sul mattone di sale ed erbe con verdure: bellissimo il lavoro di selezione e cesellatura dei vegetali; perfetta la cottura del pesce. Davvero buono.
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Buona anche la costoletta di vitello (disponibile sia alta, come da nostra preferenza, che battuta).
Costoletta di vitello, Pierino Penati, Chef Theo Penati, Viganò, Lecco
Accanto alla costoletta, chips a un livello che non credevamo fosse possibile raggiungere.
Chips, Pierino Penati, Chef Theo Penati, Viganò, Lecco
Torta al cioccolato morbida, marmellata di lamponi, in una ricetta “evolution” di incredibile leggerezza.
Torta al cioccolato, Pierino Penati, Chef Theo Penati, Viganò, Lecco
Zabaione della tradizione e savoiardi: qui di leggero non c’è davvero nulla… molto buono, però.
Zabaione, Pierino Penati, Chef Theo Penati, Viganò, Lecco
Piccola pasticceria, varia e di qualità.
piccola pasticceria, Pierino Penati, Chef Theo Penati, Viganò, Lecco

La mappa delle località in cui proporre una cucina ambiziosa è un’impresa eroica non contempla solo luoghi impervi o lontani dalle grandi città: ci sono infatti zone in cui, tradizionalmente, la clientela è quasi per nulla incline a confrontarsi con una ristorazione che esca dagli schemi dell’usuale. Come le vicine province di Monza e Como, anche quella di Lecco non si sottrae al cliché del cliente brianzolo, dotato certo di ottima disponibilità economica ma poco disposto a uscire dalla trimurti del gusto risotto-cotoletta-branzino al sale, e già per il fatto di volersi imporre con la forza del proprio pensiero culinario Fabrizio Ferrari, chef di Al Porticciolo 84, merita tutta la nostra ammirazione.

Siamo a Lecco, ma l’insegna non inganni: non è infatti sulle rive del Lario che sorge il locale, bensì quasi all’imbocco della Valsassina, verso le cime che resero celebri i Ragni cittadini. Non mente invece il numero, quell’84 che per coincidenza ritorna sulle sponde del Lago di Garda e che, in questo caso, va a ricordare l’anno di fondazione del locale. Più di trent’anni di attività per il Porticciolo, quasi dieci dei quali ornati da una stella Michelin che Fabrizio Ferrari sta dimostrando, non solo con la tenacia ma anche grazie a una cucina in netta crescita, di meritare fino in fondo.

La continuità col passato e con la gestione materna è assicurata dalla permanenza, all’interno di una carta interamente dedicata al pesce marino, di un piatto intramontabile come la grigliata di pesci e crostacei.

Quanto questa continuità sia una necessità imprenditoriale e quanto un’esigenza espressiva non ci è dato saperlo, ma è un dato di fatto come, dal nostro tavolo, abbiamo potuto osservare come fossimo noi gli unici clienti ad aver optato per il menu degustazione proposto mentre le (assai invitanti!) grigliate marciavano verso tutti gli altri tavoli vicini. È un peccato, perché Fabrizio Ferrari ha dimostrato, durante il nostro pranzo, di sapersi esprimere con piatti molto convincenti, figli di un approccio che guarda tanto alle esperienze fatte dallo chef in Nord Europa quanto e soprattutto all’Est del Giappone e della Corea, il tutto filtrato da un’immaginazione fervida ed estroversa.

Ecco perciò una sequenza di piatti in cui la regola dei tre ingredienti viene costantemente messa da parte, per dar luogo a costruzioni più impervie ma sempre bilanciate sotto il profilo dell’equilibrio gustativo. A volte, non suoni così paradossale l’affermazione, persino troppo centrate: in un paio di passaggi l’impressione di non voler spingere oltre l’universalmente comprensibile sembra una zavorra per piatti che, diversamente, volerebbero lontano sulle ali di felici intuizioni e la domanda torna anche qui: quanto ciò è libera espressione e quanto necessità di non spaventare una clientela tanto timorosa quanto preziosa?

Non sta a noi rispondere a tali domande. Ci limitiamo invece a premiare con una valutazione in crescita gli evidenti progressi di una cuoco molto interessante, che meriterebbe di avere più occasioni per esprimere il proprio talento.

Le entrate, fra cui spicca un “quasi sciàtt” di pesce di grande concentrazione.
Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco
Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco

Sgombro, purea di zucca, finocchio, mozzarella di bufala, pancetta croccante. Di tutti i piatti provati, il meno convincente. Solo l’intensità di uno sgombro eccellente e ben lavorato spicca in un insieme che, pur non stucchevole quanto la lettura suggerirebbe, sembra girare a vuoto.
sgombro, Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco

Code di gambero, crema di sesamo, mandorle, olive verdi, insalate confit e limone salato: un piatto strepitoso per potenza di concezione. Qui, di fronte a simili contrasti, la capacità di tenere coeso l’insieme si dimostra invece la risorsa decisiva.
code di Gambero, Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco

Malfatti con cozze Bouchot, brodo di verdure al siero di yogurt, salvia fritta, corallo di capasanta. Altro piatto assolutamente pregevole, gourmand e sottile allo stesso tempo.
malfatti, Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco

Costoletta di rombo, olandese bianca, croccante di arachidi, funghi Portobello, scalogno in carpione, timo e salsa di vitello. Qui il coefficiente di difficoltà raggiunge valori insoliti. Il risultato è ancora una volta equilibratissimo e indubbiamente molto buono, ma una sovrabbondanza di elementi in così poco spazio non concede il tempo per afferrare tutte le tensioni interne.
Costoletta di Rombo, Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco

Di ottimo livello i dolci, a partire dal predessert…
predessert, Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco

…per continuare con l’eccellente meringa con chantilly, maionese di mela verde, pastinaca e barbabietola…
meringa, Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco

…e con una barretta cioccolato e caramello con gelato di mais (dalle sorprendenti sfumature di tartufo bianco), crema alle nocciole e caffè, di insospettabile eleganza.
barretta al cioccolato, Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco
Mise en place.
mise en place, Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco
Il lago.
lago, Al Porticciolo 84, Chef Fabrizio Ferrari, Lecco

Du pass, letteralmente “due passi” nel dialetto locale, è il nuovo bistrot aperto, da poco più di un anno, da Luca Dell’Orto, situato proprio… du pass oltre il prospiciente San Gerolamo, l’hotel/ristorante casa madre, con una sola stretta stradina a dividere le due insegne.

“Gastropizza&Braceria” il sottotitolo, che in due parole racconta quello che troverete in carta: una stringata selezione di sfiziosi piattini, i cicchetti, proposti come piattini iniziali, come aperitivo per aprire le danze. Poi ancora una manciata di piatti alla brace, sia di carne che pesce, tra cui spicca un buon hamburger.

Ma il ruolo da protagonista principale lo gioca soprattutto l’eccellente pizza, proposta in 7/8 versioni a rotazione periodica. L’impasto è stato studiato in collaborazione con i ragazzi del Paradiso della Pizza -ora Rise Live Bistrot- ed è composto da farina 0, lievito madre ed una lunga lievitazione, volutamente basilare per un gusto tendenzialmente “neutro”. Intelligentemente, Luca è conscio d’essere prima di tutto uno chef e non un lievitista, e quindi anziché dannarsi con innumerevoli varianti dalla difficile gestione, ha preferito ottimizzare un’unica e versatile tipologia di impasto, utilizzandolo come base, per poi andare a caratterizzare le sue pizze esclusivamente attraverso la cura nei topping, nella qualità dei prodotti e nel loro abbinamento, realizzando all’atto pratico una vera e propria “pizza da chef”, che funziona in ognuna delle varianti.
Nessuna esagerazione, nessun colpo di testa né rincorsa alla moda, bensì “semplicemente” -nella miglior accezione possibile del termine- un’ottima ed equilibrata pizza gourmet, proposta ad un prezzo da pizza comune.

Da segnalare infine il bel locale, composto da alcune intime salette più o meno grandi, e non ultima la possibilità di richiedere la carta dei vini dal fratello San Gerolamo, un bel concentrato di vini “etici”: Luca fa parte dell’associazione Io Bevo così, che raccoglie e promuove eccellenze vinicole naturali del territorio e non.

Stuzzichini, per iniziare.
stuzzichini, Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
stuzzichini, Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
stuzzichini, Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
stuzzichini, Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
Uno tra i vini proposti da Luca.
vino, casa belfi, Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
Si inizia con le pizze. La prima, “pizza del Mercato”, con quello che propone il mercato. La fortuna oggi è stata dalla nostra.
pizza,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
“Verace”: Pomodoro Miracolo di San Gennaro, mozzarella di bufala, basilico, pomodoro confit. pizza, verace,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
“Da Nord a Sud”: Burolà di Pinuccio, taggiasche, fiordilatte campano, scarola, caciocavallo podolico.
Da nord a sud,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
“Bitto Storico della Val Gerola e radicchio brasato al balsamico”: Fiordilatte campano, Bitto storico, radicchio brasato all’aceto balsamico.
Bitto e Radicchio,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
L’hamburger: l’ottimo “McLuca”, 200g di piemontese, cheddar, insalata, cipolle brasate al porto. Nota di merito per l’eccellente bun, preparato in casa.
hamburger,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
I dessert, semplici e molto buoni.
Tiramisù al bicchiere.
dessert,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
Ananas marinato con il suo sorbetto.
ananas marinato,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
Soufflè al cioccolato con cuore nero.
soufflé,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
L’ambiente.
ambiente,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
ambiente,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco
sala,  Du Pass, Chef Luca Dell'Orto, Vercurago, Lecco

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Stefano Masanti è tornato.
In realtà non se n’è mai andato, sempre impegnato nel suo Cantinone a Madesimo, una tra le cucine di montagna più frizzanti, punta di diamante della Valtellina gastronomica, nonostante l’infelice localizzazione (geograficamente, tra l’altro, al di fuori dalla Valtellina) al culmine di 20km tutti curve e stradine che scoraggerebbero anche il più appassionato dei motociclisti.
Il vulcanico Chef, in tempi recenti, avrebbe voluto imprimere un diverso passo alla storica cucina del Cantinone, rendendola più agile e fruibile ma, visti anche i sopracitati problemi “logistici”, una consistente fetta della sua clientela è locale e poco incline a cambiamenti di qualsiasi tipo.
Quindi se Maometto non va alla montagna il Masanti che fa? Quasi a dire “…provate ad ignorarmi ora!” apre un secondo ristorante a Colico, in una strategica posizione proprio in cima al lago di Como, a un paio di chilometri dall’arteria che collega Milano con Lecco e la Valtellina.
E non lo fa in sordina, magari attraverso una collaborazione che non lo esponga troppo, ma attraverso un ristorante chiamato “Masanti’s restaurant”, all’interno del Seven Park Hotel, nuovo ed avveniristico polo bio-attivo affacciato sul lago.
Il risultato? Notevolissimo, fin da subito.
La struttura è realmente imponente ma sviluppata in orizzontale, quindi praticamente a impatto estetico-ambientale quasi zero, nonostante la presenza delle 36 camere dell’hotel, della SPA, di una piscina all’aperto, del lido sul lago, di una sala congressi… e ovviamente del ristorante.
Al comando dei fornelli troviamo, oltre allo stesso Masanti che deve però dividersi tra le due cucine, il giovane chef/uomo di fiducia Marco Mori: lo stile rispecchia totalmente la filosofia nata a Madesimo, ovvero quella dell’utilizzo di prodotti locali, possibilmente poveri, maneggiati il meno possibile. Tutto in favore dell’ingrediente e del gusto, in una maniera però dinamica e non legata ad alcun tipo di tradizione né tantomeno a mode, semplicemente in un puro “Masanti style”.
In questo caso i prodotti locali non sono quelli della montagna ma, sebbene le influenze alpine restino ben presenti, entra in gioco il lago: trota, bottatrice, persico, luccio perca, lavarello, salmerino, un patrimonio proveniente dal vicinissimo storico specchio d’acqua in funzione della pesca. Tutto nel piatto assurge a protagonista, coadiuvato da quanto di meglio i produttori locali e le stagioni riescano a fornire. Il risultato è una cucina originale e mai fine a se stessa, sostenuta da prodotti semplici che, colti al loro apice qualitativo, restituiscono performance di primario livello. L’unica pecca del nostro menù, che d’altra parte è lo scotto da pagare per una linea di cucina volutamente legata al lago, è una certa monotematicità sull’argomento “filetto di pesce”, visto che in 3 piatti su 7 ne è protagonista. Certo che, per un ristorante aperto da nemmeno un anno, il livello è già notevole.
Carta dei vini forse meno ampia di quella del Cantinone in termini di referenze ma altrettanto interessante, soprattutto per quanto concerne gli emergenti produttori della Valtellina che Stefano e Raffaella da sempre scoprono, aiutano e promuovono.
In sintesi non una succursale del Cantinone, ma un vero e proprio fratello che, anziché seguire le “orme di famiglia” dirette verso la montagna, ha deciso di virare in direzione del lago, con ottimi risultati.

Pane e grissini, live from Madesimo.
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Entrée a tema: crudi di lago, oltre alla famosa (nonché pazzesca) brisaola prodotta dallo stesso Masanti.
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Roastbeef affumicato, gelato di tonno, germogli di cavolo rosso, bruschetta.
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Crema di patate, trippa di trota, salsa di prezzemolo.
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Il carpaccio di piedino di maiale, insalatina acidula all’acetosella e zenzero, gnocchi di pane croccanti.
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Il toast di trota alla mozzarella di bufala, olive verdi e succo di pomodoro fresco.
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I tonnarelli fiori di zucca, bitto e pepe.
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Raviolo di polenta (impasto senza uova), ripieno di capretto, funghi porcini, salvia.
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Il luccio perca su fondo verde di zucchine grigliate e zucchine essiccate.
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Persico impanato al melonz (farina gialla tostata in padella con il burro), brunoise di verdure, salsa allo yogurt e menta.
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Predessert, pallina di gelato alla vaniglia del Madagascar.
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Il finto pan di spagna ai pinoli, mousse di cioccolato fondente e salsa al latte di cocco e zucchero di palma.
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Il semifreddo alla panna con la sua “macedonia”.
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Piccola (ma ingombrante) pasticceria.
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Una Sassella di assoluto valore: il Grisone di Mozzi.
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Il ristorante, visto dal tavolo.
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La cantina, curiosamente ottenuta in sala ma comunque rinfrescata, attraverso le bocche di climatizzazione della sala che vanno a far da barriera al calore mantenendo in temperatura le bottiglie.
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La sala interamente vetrata, affacciata sul verde e con il lago a far da sfondo.
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Che il mondo della gastronomia, e ancor più nel dettaglio della ristorazione, siano attualmente sotto i riflettori non è che un banale dato di fatto. Come sempre accade, però, il fenomeno presenta oscillazioni notevoli, per cui un ristretto nugolo di chef giovani e meno giovani catalizza su di sé la quasi totalità dell’attenzione mediatica mentre in molti, spesso altrettanto meritevoli, si ritrovano ad annaspare in un immeritato semi-anonimato.
Negli anni passati avevamo avuto modo di parlare, e assai bene, del San Gerolamo di Vercurago quando in questo ristorante d’albergo, a due passi dal manzoniano castello dell’Innominato, operava il duo formato dal giovane ma veterano Stefano Binda e dal figlio dei proprietari dell’hotel, Luca Dell’Orto. Dopo una breve chiusura, con conseguente rimescolamento di carte, Binda si è sistemato nei paraggi al Dac a Trà e le porte del ristorante San Gerolamo si sono da un po’ di tempo riaperte agli ospiti esterni. Dell’Orto, che oltre ad esperienze fresche nelle cucine del St. Hubertus e dell’Antica Osteria del Ponte vanta un passaggio anche in quelle della trattoria Giorgio Bianco di Vonnas, è ora da solo alla guida dell’ammiraglia di famiglia.
Il locale è entrato da pochissimo a far parte dell’associazione Slow Cooking, una piccola realtà con centro in Valtellina e che riunisce un ristretto gruppo di ristoratori accomunati da un’estrema attenzione ai prodotti locali e al recupero di alcune tradizioni quasi dimenticate. Il perfetto riassunto dell’esperienza francese e dell’appartenenza all’associazione per Dell’Orto è un pollo ruspante, di provenienza locale (Galbiate, a pochissimi chilometri), cucinato con patate e funghi all’interno di una sorta di archetipico girarrosto. Il “come una volta” della cottura si completa con una sauce à la crème con una nota di fegato grasso ad impreziosire le carni.
A fare da contrappeso ad una preparazione tanto classica e opulenta c’è praticamente tutto il resto di una carta che si muove fra pesce di lago, carni e ortaggi parlando l’idioma corrente con dimestichezza e proprietà di linguaggio, anche se talvolta i risultati rimangono inferiori alle aspettative per colpa dei dettagli.
L’animella d’agnello con nero di seppia, salsa alle ostriche e lamelle di funghi è un piatto apprezzabile ma penalizzato da una salsa scarsamente concentrata e di consistenza grossolana, nonché da una panatura lievemente troppo spessa.
La crema di broccoli con calamarata, missoltino e burrata rimane un tentativo velleitario di scambiare il mare e l’acciuga con il Lario e i suoi famosi agoni essiccati, assai più intensi e decisamente prevaricanti nel piatto.
Eccellente il salmerino marinato, di mirabile consistenza, accostato a rape e lingua di vitello, e notevole il risotto “fai da te” con mele cotogne, cavolfiore e burro nocciola.
Lo chef ha ancora meno di trent’anni ed è perciò a pieno titolo ancora un giovane: speriamo che il momento difficile non vada a mortificare la buona volontà che questo ragazzo sta mettendo sul campo e gli sforzi economici profusi per mantenere viva una realtà di questo tipo in una piazza difficile come quella lecchese.

Salmerino marinato, rape e lingua di vitello.
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Crema di broccoli, missoltini, burrata ed eliche di pasta (in realtà ci pare calamarata).
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Asparagi, limone, Schweppes, carciofi e acciuga.
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Animelle d’agnello, ostriche, nero di seppia e lamelle di funghi (evidente omaggio alla recente esperienza a Cassinetta di Lugagnano).
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Risotto, cotogne, cavolfiore e burro nocciola.
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Convincenti i Tortelli liquidi d’ortica, latte di capra e rapanello, malgrado la temperatura a nostro modo di vedere eccessiva del latte, che avremmo visto meglio tiepido che caldo.
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Asparagi, blu di bufala (bergamasco!), lardo e liquirizia. Esperimento sulle persistenze, non in carta. Da ribilanciare. Elementi eleganti e grevi per un effetto montagne russe più eccentrico che carico di effetto.
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Guarda, papà, un pollo!
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Petto o coscia?
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Facciamo tutti e due!
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Caffè e camomilla, praticamente il dilemma dell’insonne: azzardato ma centrato.
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Terrina di mele ed ananas, gelato al cardamomo, salsa al corbezzolo. Ottimo.
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Un francese con la puzza sotto al naso. Se siete curiosi rispetto al vino lasciatevi condurre fuoricarta e troverete molti sfizi come questo.
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