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Le Calandre

Il favoloso mondo di Massimiliano Alajmo 

Entri in sala e c’è “profumo di memoria”. È un profumo di quelli che a poco a poco non senti più ma che appunto si fissa nella memoria, e che difatti si ritrova in ciascuno dei poli della costellazione Alajmo dove rappresenta non solo la declinazione olfattiva di quella che, in marketing, chiamano “immagine coordinata” ma anche l’inoculazione di un ricordo e non è un caso che, tutto, rimandi qui all’infanzia. 

Accomodandoci carpiamo i frammenti di una conversazione: seduta al tavolo accanto al nostro c’è una coppia che a Le Calandre ci viene tutte le settimane… Il locale, già gremito, è saturo di un’energia tangibile, collettiva, contagiosa.

Su ciascun tavolo, poi, c’è un gomitolo di lana: il nostro, di colore azzurro, viene prelevato dal maître Andrea Coppetta Calzavara e, dopo l’ordine, attaccato al muro. È il gioco il filo conduttore di questa storia nonché dell’identità più intima di Massimiliano Alajmo che, non a caso, permette a tutti di pizzicare tra i piatti dei tre menu generando quello che, a guardarci bene, è uno degli aspetti più divertenti, più intelligenti e finanche più misteriosi de Le Calandre: perché è un mistero come siffatta complessità (41 piatti, in tutto) venga amministrata tanto semplicemente e tanto più che non ci sono chef’s table, qui: il biglietto è uguale per tutti, ci sono tre menu che, come tre storie, possono intrecciarsi in qualunque momento facendo di ogni tavolo un potenziale chef’s table.

Un posto dove tornare bambini

E così, seduti al nostro, ci ritroviamo bambini al mare. Mar Mediterraneo e Cappuccino murrina sono due piatti coloratissimi: iridato e naïf il primo, quasi un test di Rorschach il secondo, a tratteggiare due tipi di mare completamente differenti, un fondale di coralli, colori, profumi e dolcezze, quasi una tropicalizzazione del Mar Mediterraneo il primo, lagunare, anche nel rimando alla murrina, il secondo, golosissimo nella componente amidacea della patata che tutto avviluppa, anche gli spigoli della spirulina e quelli, più dolci, del nero di seppia. 

Quindi, altri due giochi: la reminiscenza, nei giorni di festa, del brodo donde da bambino andavi a pescare, oltre al raviolo, la crosta del Parmigiano ormai gommosa con le dita delle mani e il deliquio del cannellone, invece, da inzuppare, sempre con le mani, in una salsa di pomodoro che è quasi un sugo, tanto è denso e coeso.

Le mani sono, a Le Calandre, un elemento ricorrente: sia la cucina che la sala di questo 3 stelle Michelin esortano all’uso delle mani sia nella fruizione che nella realizzazione del piatto. E ciò è lapalissiano nel risotto che,  difatti, arriva a tavola coi nostri nomi scritti sul piatto: è un risotto goloso ma anche delicatissimo, mantecato all’olio d’oliva e rinfrescato dal rush balsamico di un gelato di carciofo realizzato ad acqua, senza latte. 

Giochi d’acqua e reminiscenze

Ecco dunque l’altro elemento ricorrente di questa storia. Tutto si serve, e si risolve, rigorosamente e giocosamente nell’acqua. Perfino il rognone, che devi andare a cercartelo tra gli umori della senape e quelli dell’estragone, è nascosto in un anfratto boschivo, balsamico e clorofilliano al punto che tutto profuma, irrora e irretisce. Ma a ben vedere l’acqua è presente in ciascuna delle preparazioni di Massimiliano Alajmo: la componente lipidica, se c’è, proviene sempre dal mondo vegetale, olio extravergine d’oliva o olii essenziali estratti dai semi.

Come accade, oltretutto, anche nei dolci. È qui che alberga, crediamo, tutta la felicità espressiva dello chef e, soprattutto, nella mozzarella di mandorle, un piatto storico dove il guscio spezzato deflagra in un soffio, una nuvola, un sospiro di vapore di latte di mandola a contenere, a veicolare tutti i profumi più archetipici del Mediterraneo: basilico, origano, olio extravergine d’oliva e oliva nera.

Un sapore indimenticabile che fa sorridere, peraltro, come un ricordo ritrovato. 

La Galleria Fotografica:

Uno dei templi della gastronomia

Sulla statale fuori Padova, in un’anonima zona industriale, non ci si aspetterebbe di trovare una delle tavole più celebrate d’Italia. Le Calandre di Massimiliano e Raffaele Alajmo sono un’enclave di gusto e di silenzio, dove studi appositi sull’ambiente interno ed esterno hanno restituito quest’acustica estemporanea, quasi da caveau. Ed effettivamente il comfort è massimo. La sala è buia, ogni tavolo è illuminato centralmente, senza ombre, il servizio giovane e agile è scevro da ogni sussiego. Così, mossi dalla volontà di penetrare nel vivo di ciò che ha fatto grande questa tavola, siamo tornati ai suoi Classici e vi abbiamo trovato tecnicismo ed eleganza di altissima scuola, ma anche golosità e rotondità.

La capacità di coniugare sapori antichi con gusto moderno

Una cucina goduriosa, decifrabile a differenti livelli di comprensione, seducente sia per l’ospite occasionale che per il navigato gourmet. I piatti avvolgenti simulano semplicità, ma dissimulano un equilibrio unico tra ingredienti all’apparenza dissonati  – vedi liquirizia, zafferano, incenso e rosmarino nel risotto – che solo un palato sopraffino e una mano soave possono bilanciare. Gli esempi? Il Cappuccino murina, la nuova versione del celeberrimo antipasto, arricchito di ostrica, alga spirulina e rapa rossa; il risotto citato, tra i migliori mai assaggiati, che si sviluppa verticalmente col persuasivo brodo al rosmarino e orizzontalmente grazie allo zafferano che funge da volano per la liquirizia, di rara persistenza. Ancora, il goloso Pane, olio, funghi, tartufo, assoluto d’autunno, con alla base un intenso olio di semi di zucca, e una delicata crema di girasole a chiosa, non solo visiva ma anche gustativa. Materie prime da capogiro per lo scenografico e profumato Osso alle erbe e per la Battuta di carne cruda al tartufo bianco, cottura millimetrica per il Maialino croccante accompagnato dalla dolcezza della zucca in pureaDue dolci classici a coronamento del menu: la Mozzarella di mandorle, ludica all’aspetto, denota classe e tecnica da manuale, e il Gioco al cioccolato 2018, emozionante per il coinvolgimento dell’udito – il cliente viene invitato a utilizzare degli auricolari per ascoltare i rumori del dessert – e celante complesse declinazioni sul tema cioccolato e sulle consistenze relative.

Varcata la soglia d’uscita del ristorante, il primo pensiero che ci ha assalito è stato quando tornare, per provare i piatti più recenti.

La galleria fotografica:

 

Si puo’ cominciare il racconto di una cena in mille modi. Dal viaggio necessario, ad esempio, dalla difficoltà di parcheggio o dall’architettura della sala. Dalle osservazioni sulle sedute piu’ o meno comode, dalle luci, dalla carta delle vivande o addirittura dal finale, da quella addizione sulla carta come ultima portata. Ma qui a Rubano, nella periferia senza storia di Padova, dopo una cena ai tavoli delle Calandre dei fratelli Alajmo, puo’ capitare di essere innanzitutto folgorati dalla perfezione del servizio, dalla mirabolante squadra di sala capitanata da Andrea Coppetta Calzavara, da quella sensazione che quei piatti, tutti, senza il loro lavoro non sarebbero conclusi. Allora si puo’ cominciare a raccontare una cena anche da qui.

Del locale si è parlato già tanto. Forse troppo. Di come sia perfetta la luce che illumina il tavolo e null’altro al punto che puoi pensare di essere solo anche con la sala piena. E anche di come ogni orpello sia bandito al punto che si è osato eliminare la tovaglia. I tavoli poi. Già, i tavoli. Il legno naturale, nudo, con le vene come rughe, eppure lavorato dal tempo e poi dall’artigiano con maestria e tecnica impensabili. Non è lasciato a vista per caso, è filosofia, la semplicità come frutto della complicazione. A pensarci bene è proprio come un suo piatto. Uguale.

I tre menù degustazione sono come lunghe interviste, lo svolgimento di quel gomitolo di lana sul tavolo in una successione di piatti -precisa- che prima sollevano domande poi puntualmente ne contengono la risposta, anticipando le parole dello chef quando alla fine della cena si appoggia alla parete vicino l’ingresso e ricalca a voce ogni passaggio, affinchè sia luce sui dettagli e nulla si possa ritenere casuale. E’ la perfezione la sua cifra, una foga integralista inseguita senza paura, con una tecnica attenta a non rubare l’anima degli elementi anzi a restituirla integra, paradossalmente primitiva.
Così gli antipasti, quelli del menu Max, sono assoluti nella giustezza delle consistenze e delle temperature, con l’immensità degli spaghettini freddi con i gamberi crudi e quel fondo di salsa al pistacchio a rincorrere o ancora con la impudica passata di datterini crudi protagonista della scarpetta verde nell’orto. Così i dettagli, perché quelle chips, che compaiono qua e là nelle loro variabili, non sono ornamento, ma il croccante reso arte, da insegnare nelle scuole, inarrivabile. Così, infine, il filetto di pesce, quel dotto come laccato nel fumetto di scorfano, sembra fissare le regole della cottura e contemporaneamente rappresentare in maniera definitiva il mare, i suoi umori. C’e’ davvero tanto in una cena qui, certezza e divertimento, applicazione e ricerca, solo che ad un certo punto hai -improvvisa- come la paura di dimenticare, perchè alla memoria occorre il brivido, il fuoripista, lo spiazzamento, ecco, qualcosa che somigli ad una scena finale di un film che lasci qualcosa sospeso, sul quale tornare, discutere, litigare.

Qui forse questo si sta perdendo lentamente.

L’ingresso. Il logo sulla lastra di cor-ten. Introduzione alle complessità risolte di Alajmo. Apparente semplicità, ricerca e modernità.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Gli oramai famosi tavoli in frassino olivato ultracentenario.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
La seconda sala con il tavolo conviviale.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Si comincia. Gondola di mais con baccalà, polpo e schia. Oltre alla tartelletta di pane carasau con crema alla bottarga e il cuscinetto di rapa rossa con crema alle mandorle. Ma è solo un riscaldamento…
benvenuto, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Il cornetto al parmigiano. Un classico per chi frequenta questa tavola. Già si comincia ad avere il sospetto che con le cialde, le chips, il croccante in generale, Alajmo è di un altro pianeta.
cornetto di parmigiano, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Carpaccio di zucchine e frutta. Un prologo alla cena ma già con gli indizi da cominciare a raccogliere… Consistenze e temperature sono oggetto di precisione impressionante e contribuiscono in maniera determinante al ritmo del piatto. La zucchina è solo marinata, la melenzana in crema, il sorbetto -salato- di kiwi e menta introduce la frutta. Contrappunti come solo la musica si pensava potesse esprimere.
Carpaccio, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Carpaccio, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Scarpetta verde nell’orto. Altro indizio: la perfetta sequenza dei piatti nella degustazione. Un vero racconto dove questo sembra concluderne la prefazione. Le incursioni del crescendo di amaro dei fagiolini, delle fave e delle olive nere come pungoli alla dolce rotondità di una straordinaria passata di datterini.
scarpetta verde, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Il pane, unico ma sufficiente. Una scelta di essenzialità per un menù già molto complesso.
pane, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Nudo e crudo di carne e pesce. Intanto il compendio necessario al tavolo nudo. Scompare anche il piatto per rimarcarne l’essenzialità. Stratosferici gli spaghettini freddi, notevole il carpaccio di ombrina dove rivaleggiano le estremità di zenzero e pesca, buono l’astice con una maionese (altro must dello chef) di mandorle, bottarga con un’acqua di pomodoro in gelatina. Chiude la braciola cruda di vacchetta piemontese con il segreto del crudo di pesce e un’altra maionese questa volta al curry.
nudo e crudo, carne di pesce, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Lisca fritta. Esercizio di stile in modalità giapponese. La lisca è prima cotta sapientemente per domarne la consistenza, poi fritta. Cucina con gli scarti per dimostrare che può esistere il paradosso: fritto di pesce senza pesce.
lisca, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Grissini.
Grissini, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Linguine integralmente integrali. Un cimentarsi estremo con materie minime. Salsa di semi di papavero, foglie, polvere e briciole secche di capperi, semi per una pasta di grano duro integrale lasciata più che al dente per limitarne il rilascio di amido.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Ravioli a colori. Piatto della memoria e forse per questo virato sul dolce. Ravioli ottenuti senza farina, solo patate e caratterizzazione con diversi ortaggi e verdure. Cottura in due tempi, a vapore prima poi grigliati. Il brodo vegetale speziato a base di rapa rossa diluisce l’impasto, di consistenza importante, il sorbetto di cipollotto sgrassa e fredda il boccone rendendolo fluido. Chips da fantascienza.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Risotto bianco con polvere di alloro e caprino fresco. Con lo storico risotto alla zafferano e polvere di liquirizia ha fissato uno standard. Qui si propone in una variante dall’approccio sicuramente più semplice e riconoscibile. Una piccola pausa. Solo un ottimo risotto.
risotto, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Dotto scottato con zuppetta di scorfano. Il pescato secondo Alajmo.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Cuore di costata con crema di tartufi di mare e caviale. Piatto poco convincente. Sebbene la crema di tartufi è come abitudine dello chef molto magra, l’impatto gustativo del caviale e della foglia d’ostrica sembra essere già imponente, conclusivo. La carne non si limita al solo supporto, non ne rappresenta la continuità e nel contempo neanche l’elemento di contrasto.
crostata, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Frutta marinata. Il piacevole intermezzo. La frutta è caratterizzata con le essenze artigiane di agrumi e spezie spruzzate in un gioco di contrasti e profumi molto potente.
frutta, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Bellini margarita. Indulge alla piacioneria, fusion-cocktail di gradevole impatto e calibro preciso.
bellini, Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Dolce far niente. Epico e didascalico. A metà strada tra esperimento e divertissement. Un percorso di 16 tappe -troppo impegnativo a fine pasto- che potrebbe essere snellito con qualche eliminazione di ridondanza.
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Le Calandre, Chef Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano

ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia

Non è detto che per fare un pasto di qualità in Piazza San Marco a Venezia sia necessario chiedere un mutuo. E il Gran Caffè Quadri ne è la prova.
Da tre anni a questa parte, Massimiliano e Raffaele Alajmo hanno messo il loro zampino tra le magiche calli della città lagunare, pensando ad una offerta poliedrica, che va dal lusso senza compromessi a proposte meno impegnative ma pur sempre qualitativamente certificate.
In questo caso non si parla del ristorante stellato ubicato al primo piano, ma della formula “bistrot” pensata per la sala inferiore di questo storico luogo (aperto dal 1775) rinato grazie alla nuova linfa donatagli dalla corazzata di Rubano, con la complicità dell’altrettanto imponente Ligabue S.p.A., società di catering che opera su scala internazionale, già proprietaria delle licenze del pluricentenario caffè.
C’è poco da dire, si tratta di un progetto che ha assunto uno sviluppo degno di nota ma che, probabilmente, viene offuscato dalla più rinomata proposta “upstairs”.
Il bistrot del Quadri, operativo dalle 12 alle 15 e dalle 19 alle 22.30, permette di mangiare piatti autentici e degni della nostra cultura, con il primario intento di salvaguardare il turista straniero da usi o tradizioni taroccate. Nessuna complessità, ma solo piatti semplici. Certo, semplici, ma concepiti dalla mente di un grande cuoco.
L’Alajmo pensiero si è materializzato anche su questo fronte e la filosofia del “ciò che diventa era” si rispecchia nella elegante e sfarzosa sala da pranzo arricchita da specchi, stucchi e vetrate su una delle piazze più fascinose e famose al mondo, crocevia di popoli e cultura in cui, un tempo, solitamente, sostavano personaggi come Lord Byron e Honoré De Balzac, ed in cui oggi è possibile assaggiare una degna interpretazione dei classici della cucina veneta ed italiana in generale.
Considerando il pedigree, le aspettative sono assolutamente soddisfatte.
La base di partenza è, appunto, quella della storia gastronomica del Bel Paese.
Nel menu si spazia da Nord a Sud, dai più locali “cicchetti” tra cui spiccano le classiche sarde in saor o il baccalà mantecato con polenta, ai piatti della tradizione locale come lo “scartosso de pesse”.
C’è spazio ovviamente anche per gli stereotipi di casa nostra, come lo spaghetto al pomodoro o l’insalata caprese o altri piatti-simbolo come la lasagna alla bolognese o lo spaghetto alle vongole. C’è un concentrato dell’abbecedario della cucina italiana, ma, dato che siamo a Venezia, c’è anche un occhio di riguardo intelligente verso lo straniero più conservativo e meno colto che viene messo a proprio agio concedendosi un pasto extra-tradizionale come la versione “Big Max” dell’hamburger o il club sandwich.
E i prezzi? Assolutamente nella media cittadina con il merito (straordinario vista la location) di non ritrovare la voce “coperto” nel conto finale.

Il design Alajmo è ormai un cult mondiale e coniuga eccellenze locali (vetri di Murano) e stile personale.
design, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
Pane (unica tipologia lievito madre, ottimo) e grissini, altrettanto buoni.
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La nostra degustazione di “cicchetti”.
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In dettaglio: semplici ma perfette e ingentilite le Sarde in saor
sarde in saor, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
e il Baccalà mantecato con polenta fritta
baccalà mantecato, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
Mentre decisamente più modesta ci è sembrata la Insalata di polpo.
insalata di polpo, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
Apparentemente grasso il Cappuccino primaverile (asparagi, fagiolini, piselli, carote
e rapa rossa), rivelatosi, in verità, in perfetto stile Alajmo, molto leggero.
Cappuccino primaverile, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
Tagliolini con astice alla busara. Piatto semplice e ricco.
tagliolini con astice alla busara, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
L’imponente Fritto di sarde, schie e cozze, nello “scartosso” con salsa “Quadri” a base di senape. Frittura asciutta e croccantissima, eseguita con grandi tecnicismi (il pesce viene bagnato nella pastella e fritto, a metà cottura viene asciugato, passato nella farina di mais e nuovamente fritto).
schie fritte, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
Dettaglio
schie fritte, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
La cassata di albicocche è una una reinterpretazione non scontata e chiude piacevolmente il pranzo.
cassata di albicocche, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
Berkel griffata Alajmo.
Berkel, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
Dipinti carnevaleschi.
dipinti, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
Tavolini eleganti, essenziali ma anche molto ravvicinati.
tavoli, ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia
Ingresso al Gran Caffè.
ABC Quadri, Famiglia Alajmo, Venezia

Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino

Sono passate quasi due ore. Ogni tavolo presente in sala si trova esattamente allo stesso punto della cena. L’essenziale brigata abbandona in sincronia il banco di lavoro centrale per spostarsi nella postazione dedicata a panificazione e dolci. Non c’è il pasticcere. I quattro cuochi si adoperano come se fossero tutti pasticceri. L’ennesimo scambio di occhiate e la macchina (perfetta) in cucina riparte, seguita dalla sala che le tiene il passo.
È la descrizione di una scena alla quale assisterete se varcherete la soglia di Aqua Crua, moderna struttura nata sotto il fascino quieto dei monti Berici, nell’operosa provincia vicentina.
È in questo luogo, apparentemente spaesante, che hanno trovato la dimensione ideale Giuliano Baldessari, ormai maturo chef trentino, il suo fido collaboratore Simone Poser e la giovane Gloria Dianin che cura la bellissima sala e l’intelligente cantina.
La filosofia è chiara, ed il concetto viene trasmesso in un’unica parola: trasparenza.
Trasparenza come lo spazio – praticamente inesistente – che separa la cucina dal commensale; trasparenza come l’acqua, protagonista assoluta e onnipresente in ogni preparazione, sinonimo di leggerezza, profondità e fluidità. Tre concetti per un unico stile che Baldessari porta avanti riprendendo la filosofia di un amico e maestro al quale deve tanto e che omaggia con un sentito e sincero ringraziamento sin dalla prima pagina del menu: parliamo ovviamente di Massimiliano Alajmo del quale, per un decennio, Baldessari è stato il braccio destro in quel di Rubano e dal quale ha appreso al meglio l’arte di saper gestire la cucina di un grande ristorante.
È l’ennesima conferma che la fucina delle Calandre è capace di sfornare grandi talenti che sanno leggere e reinterpretare con grande personalità un pensiero fondato sullo studio dell’ingrediente e sulla trasformazione dello stesso in maniera del tutto naturale.
Per il debutto da protagonista nel mondo dell’alta ristorazione, Baldessari ha scelto un vecchio edificio nel centro cittadino, trasformato, con l’aiuto di Francesco Del Toso, imprenditore ed agricoltore locale, in una elegante struttura dai lineamenti e dallo stile minimali, che funge anche da locanda con piccole ma confortevoli camere per prolungare la sosta. Dopo una gestazione durata due anni, questo ambizioso progetto ha preso forma partendo dal personalissimo gusto dello chef che ha proferito parola su tutto, dagli interni alla scelta di ogni materiale, fino al design di piatti e bicchieri che vanno a completare una mise en place ricercata ed originale. In un ambiente raccolto che richiama lo stile nordico va in scena una cucina intelligente, fresca e appagante, fatta di pochi ingredienti, preparata da una brigata ridotta all’osso, per un contenuto numero di coperti (al massimo 35).
Aqua Crua è un esempio di come potrebbe essere il ristorante del futuro, in cui i costi vengono abbattuti senza intaccare stile ed efficienza che contraddistinguono una grande tavola. Quattro cuochi e due persone in sala. È tutto quello che serve a Baldessari e collaboratori per regalare grande soddisfazione a costi contenuti, caratteristiche sicuramente non comuni alle grandi tavole italiche.
Certamente il cordone ombelicale con il genio di Rubano è difficile da recidere completamente, ma come altri giovani talenti del panorama gastronomico nazionale che hanno avuto il privilegio di collaborare con Alajmo (vedi Bartolini e Parini su tutti) anche Giuliano Baldessari fa il possibile per “scremare” la matrice stilistica del suo maestro per proporre una cucina immediata che stimoli contemporaneamente testa e gola. Una cucina in cui ci si trova al cospetto principalmente di elementi vegetali e che, di fatto, potrebbe trovare collocazione ideale a metà strada tra le cucine di altri grandi con i quali Baldessari ha avuto importanti esperienze: l’utilizzo di carni e crostacei crudi, o semplicemente di verdure leggermente condite, ad esempio, a denotare una sapiente capacità di selezionare un prodotto di primissima scelta, ci fa riaffiorare alla mente la cucina materica di Aimo Moroni, mentre la rielaborazione di una minestra tradizionale di verza e ragù di vitello in un “apparente” piatto di pasta, ci ricorda le scorribande creative e ludiche di Marc Veyrat.
Alcuni ingredienti impiegati in maniera reiterata, già usatissimi alle Calandre, come la crema di mandorla o di pistacchio, servono a smorzare, piuttosto che arricchire sapori primari, ma il gusto della materia prima resta sempre intatto.
Si percepisce, pertanto, che uno stile più personale verrà fuori col tempo, e già adesso, a pochi mesi dall’apertura, può regalare un’esperienza, come la nostra, di notevole piacevolezza. Che dire, poi, se per fare tutto ciò basta mettere da parte una sessantina di euro?

Cuochi all’opera nella bellissima cucina a vista.
Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Il benvenuto: dal basso verso l’alto troviamo una polpetta di verza fermentata con miso, purea di ceci avvolti in un disco di rapa marinata con finto caviale di lenticchie croccanti e baccalà mantecato con riso soffiato. Sapori concentrati.
benvenuto, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Per i vini ci affidiamo all’abbinamento proposto (a 20 euro): iniziamo con un discreto metodo classico.
trento doc, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Cesto di pane, grissini e cialde.
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Essenziale.
essenziale, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
La vera partenza è un omaggio ad un classico delle Calandre, rivisto e perfezionato: “sembra pasta”, in cui la verza croccante ricorda la consistenza di un rigatone e con il ragù di vitello richiama il comfort food. Un gioco intelligente e riuscitissimo, a cominciare dalla testura della verdura.
calandre, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Un calice di soave accompagna
soave, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
il raffinatissimo Carpaccio di piemontese, gambero crudo, rucola, riduzione di birra e mandorla all’acqua. Una ragguardevole alternanza di sapori.
carpaccio piemontese, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Altro passaggio ludico: “Acqua cotta”, ravioli trasparenti di alga con crema di garusoli, gamberi, fagiolini, erba ostrica e cialda di polenta croccante. L’utilizzo di consistenze cremose supporta alla perfezione i sapori iodati del piatto, così come il concentratissimo brodo marino caldo fa da contraltare all’elemento più grasso del ripieno. È una preparazione studiata al millimetro che ha soltanto il difetto di riproporre il medesimo ingrediente opulento appena incontrato nella precedente preparazione.
ravioli di alga, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Gruner Veltiner austriaco in accompagnamento
gruner veltliner, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
alle fresche ed eleganti mezze maniche allo zafferano con burrata, coulis di pomodoro, capperi e profumo di rosa e basilico, con gli ingredienti che escono ad uno ad uno fino all’allungo finale dello zafferano, fino a qualche istante prima non pervenuto.
mezzemaniche allo zafferano con burrata, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Ci viene proposto subito un nuovo abbinamento (sauvignon e chardonnay) con il secondo primo.
vino, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Si toccano vette alte con il risotto con sgombro arrostito (e tenerissimo), argilla e fava di cacao. La consistenza e mantecatura del riso sono di alta scuola. Tra l’affumicato e l’acido. Cremoso, compatto, perfetto.
risotto con sgombro, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
La prova del nove – e di forza – di una materia prima al top la ritroviamo nel calamaro che, apparentemente sovrastato da piselli, guanciale, crema di mandorla e pistacchio, tiene testa anche all’affumicatura del salume. Provare per credere.
calamaro piselli e guanciale, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Un bel nebbiolo per
nebbiolo, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
un piccione con salsa di acciuga e patata collosa. Dall’impiattamento sembra già visto, ma fondo bruno (che leggerezza!) e cottura del volatile sono comunque un godimento.
piccione con salsa d'acciuga, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Piacevolissimo il sorbetto: albicocca, rosmarino e zenzero. Più che un rinfrescante, un purificante.
srobetto, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Un grande abbinamento è dietro l’angolo..
vino, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
e una delle sorprese migliori la riserva il finale. C’è l’ennesima reinterpretazione di un classico abusato come il cannolo. La croccante ed eterea cialda viene riempita con una crema di ricotta molto fluida, aromatizzata con menta e fiori di sambuco, ingolosita con una concentratissima purea di fragola. Neanche in questo caso, alcuna traccia di banalità.
cannolo, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Non domi chiediamo il bis con un altro dessert: minestra di verdura, carote, finocchi, sedano e mele in un succo di arancia.
minestra di verdura, carote e finocchi, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Si chiude con il knockout della piccola pasticceria: cioccolato bianco e prezzemolo, un morbido tartufo alla nocciola e pane alla crema di gianduia, semi di finocchio e sale. Piccoli grandi bocconi.
piccola pasticceria, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Uno dei bei tavoli.
tavolo, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
La cantina
cantina, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Dettagli
dettagli, Aqua Crua, chef Baldessari, Barbarano Vicentino
Insegna
insegna