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Lido 84

Una fucina di tendenze gastronomiche

I fratelli Camanini non conoscono soste. Nel loro “Lido” è sempre più presente un’opera di ingegno gastronomico, rifinita con estetica e grazia, ma soprattutto concepita con passione e profonda riflessione. Una tangibile miscela di erudizione e gusto, un’espressione profondamente sentita della cucina italiana che sa diventare magicamente nuova. La tradizione, la famiglia, il passato, le esperienze e la rilettura di essi attraverso occhi arricchiti da letteratura storico-gastronomica, arte, viaggi, curiosità e dalla scoperta di nuove conoscenze. Ciò che colpisce di più, in tutto ciò, sono le idee che si materializzano in un momento specifico e si cristallizzano nella memoria del commensale per gli anni a venire. C’è una profonda esplorazione della pasta che qui assume una nuova e brillante personalità, verso una sempre audace sperimentazione. Ma andiamo con ordine.

Il momento della maturità?

La vena creativa di Riccardo Camanini è un fiume in piena. E il bello è che non sappiamo se sia oggi al culmine della maturità. La degustazione “Oscillazioni” (edizione primavera 2024) vede una partenza con predominanti e rischiose dolcezze riequilibrate da forti spinte aromatiche, in cui trova spazio, e rimane protagonista, una materia prima in purezza, appena toccata dal calore (mazzancolla e merluzzo) seguita da un saporito Fritto di rossetti (dialettalmente noti anche come “neonata”) la cui sapidità in eccesso viene ingentilita da un pesto di ananas, frutti tropicali e lemongrass in stile thailandese. Ancora aromaticità che riporta freschezza e pulizia al palato. Poi, come anticipato in premessa, c’è il lavoro filologico e tecnico sulla pasta secca che funge da veicolo di condimenti, proteine e sughi. Lo studio del carboidrato è compiuto nella scelta specifica e non casuale di paste secche, diversissime tra loro sia come formato sia come provenienza (vanno da nord a sud). Il formato “peperone” viene farcito come se fosse, appunto, un peperone ripieno con un mix di ingredienti asiatici e italiani (tra cui spicca un meraviglioso ketchup di peperone crusco); poi c’è il geniale Pennone da intingere nella salsa ai ricci di mare e maionese di prezzemolo, come se fosse una scarpetta (il contrario di cliché è originalité) e gli strepitosi Fusilli cotti 84 ore e marinati in mostarda e whisky torbato per un anno e mezzo, serviti con tartare di piccione e il suo fondo. Un piatto innovativo per tecnica, sapore e inventiva. Ultimo, ma non ultimo, il Risotto mantecato con maionese di sedano rapa e nessun grasso ulteriore, voluttuoso e saporito grazie alla nocciola, all’anguilla fritta così come la ruta. Basta arrivare al giro di boa dell’esperienza per sancire l’importanza di questa tavola. E non andiamo oltre.

Il servizio di sala è sempre informale ma si muove impeccabilmente sotto gli occhi dell’anfitrione Giancarlo e spesso lascia spazio ai giovani ed entusiasti cuochi della brigata. Lido 84 oggi è un faro nel panorama della gastronomia italiana contemporanea, un luogo che stabilisce tendenze gastronomiche creando icone commestibili e, indubbiamente, è uno dei ristoranti più rappresentativi della cucina italiana contemporanea.

IL PIATTO MIGLIORE: Fusilli cotti 84 ore e marinati in mostarda e Lagavulin, serviti con tartare di piccione e il suo fondo.

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Alta cucina in una dimora affaciata sul lago di Garda

Inoltrandosi sulla riva Veronese del Lago di Garda, dove la strada inizia ad inerpicarsi si giunge a La Casa degli Spiriti, un casolare del XVIII secolo finemente ristrutturato e gestito dalla famiglia Chignola. Due le proposte, una più semplice a caratterizzare l’offerta diurna al bistrot e una gourmet che si può assaggiare al ristorante La Veranda. Quest’ultimo, come si intuisce dal nome, è situato al piano inferiore e affaccia direttamente sul lago, precisamente sul golfo di Salò; le ampie vetrate permettono di godere in tutte le stagioni di questo bellissimo panorama.

La cucina è, da poco, nelle mani di Federico Chignola, Chef dalla solida tecnica, che propone una cucina di impronta classica in cui colpisce la sensibilità nel trattare il vegetale in tutte le sue declinazioni. Da qualche tempo, dopo una lunga gavetta nell’alta ristorazione, si è unito alla brigata il figlio Filippo. A La Veranda è assente una carta in favore di tre percorsi degustazioni che raccontano il territorio circostante, il mare oppure l’orto e sono proposti anche in versione ridotta.

Una cucina del territorio, interpretata con passione dalla famiglia Chignola

Il menù territoriale si apre con un interessante Carciofo che viene cotto a bassa temperatura e impreziosito da una spuma di parmigiano, datteri e nocciole. Ammirevole la bravura con cui Chignola affronta la Faraona, proposta in terrina, che ricorda più una samosa dai sapori mediterranei in cui il volatile si conserva morbido e saporito; a completare il piatto un gel di mela che sgrassa e resetta il palato. Non mancano passaggi più golosi come lo Gnocco ripieno di stracchino o gli Agnolotti ripieni di oca confit, che avremmo preferito dal sapore più deciso. Perfettamente eseguito il Piccione, accompagnato da un insolito ma azzeccatissimo carosello di rape e zucca. Tanta cura nella panificazione e nel reparto dolci, dove spicca un eccellente versione del Pandoro in formato ridotto. Vasta la carta dei vini con molti blasoni e una ristretta ma affatto scontata selezione di piccoli produttori; la cantina de La Veranda è gestita da Lorenzo Chignola, altro figlio dello Chef. Il servizio è professionale e disponibile. Sebbene la votazione non sia piena, crediamo, per il futuro, di poter riporre la fiducia nel nuovo Chef che ha mostrato, in diversi passaggi, una solida mano.

IL PIATTO MIGLIORE: Terrina di faraona, mela Granny Smith, aneto e castagne.

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La reinterpretazione della tradizione secondo Maurizio Bufi

Impresa non semplice quella di Maurizio Bufi. Alla guida della cucina del Grand Hotel Fasano dal 2021, subentrato a Matteo Felter, lo Chef pugliese, già ex-stellato Michelin a Villa Giulia a Gargnano, si è trovato ad affrontare una sfida duplice: rispettare gli stilemi ebbri di tradizione della meta vacanziera sul Garda; innestare alla cucina una cifra stilistica capace di garantire identità senza sacrificare riconferme e riconoscibilità preesistenti. Missione compiuta. Perché quella di Bufi è una cucina intelligente, elegante, classica nel suo senso più completo, ovvero capace di omaggiare sapori e profumi di una certa tradizione, in questo caso lacustre, aggiungendo sfumature della parte mediterranea dello Stivale atte a elevare e migliorare una struttura già di per sé assestata e collaudata. Nella nostra visita abbiamo dato seguito all’assaggio del menù “Senso”, il più preciso nel definire le caratteristiche della cucina. Sette portate che hanno spaziato tra lago, terra e mare, memori dei natali dello Chef pugliese, con un occhio attento e non ideologico sulla sostenibilità.

Una cucina classica e intelligente

Risotto, limone, burrata e liquirizia è stato sicuramente il passaggio più riuscito e rappresentativo, poiché ha incorporato tre nature e altrettanti rimandi: il territorio, col lago limitrofo, con l’uso di limoni locali sia in fase di cottura sia di mantecatura; la terra d’origine di Bufi, la Puglia, con la burrata a donare rotondità gustativa; la personalità dello Chef, col rimando all’infanzia, attraverso l’uso della liquirizia on top, dall’importante lunghezza. Ne è uscita una portata davvero interessante, giocata con su equilibri acido-dolci che hanno contraddistinto l’intero menù. Alla luce di ciò ha assunto un valore diverso anche l’utilizzo della componente vegetale, presente in quasi tutte le portate, ed elevata a portata essa stessa nell’ottima Melanzana, fichi, Parmigiano 40 mesi, altro episodio davvero riuscito, capace di valorizzare innanzitutto a livello visivo quel senso di tradizione mediterranea, e non, alla base, come abbiamo detto, di questa cucina. La solanacea ha funto poi da base dolce e amaricante sulla quale costruire un andirivieni di sapidità casearia e dolcezza fruttata, senza dimenticare ludiche spezzature di consistenze tramite le cialde di Parmigiano. Diretto e tecnicamente curato, comme il faut.

Leggermente sottotono gli antipasti, in particolare Sandwich di granchio, lattuga e panzanella, incapace di valorizzare appieno il connubio terra e mare del menù a seguito della prevalenza della componente ittica su quella vegetale. Ma è stato un dettaglio che non ha intaccato la resa complessiva dell’esperienza. In questo senso la location ha giocato un ruolo fondamentale poiché alto era il rischio che l’hotel, magniloquente e raffinato, ombreggiasse il lavoro della cucina. Pericolo sventato: nessun approccio sovrastante, anzi, compenetrazione e rilancio reciproco atto a creare un tutt’uno tra sala e piatto di primo livello ma non snob, aprendo dunque una finestra gustativa tanto per l’avventore di passaggio quanto per il turista con orizzonti vacanzieri. Bene così, dunque!

IL PIATTO MIGLIORE: Risotto, limone, burrata e liquirizia.

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Tra terra e acqua, presso la cucina di Roberto Stefani

Uno degli aspetti più affascinanti del lago è la circolarità. La cucina di Roberto Stefani fa proprio quest’assunto e lo eleva in un contesto che, al netto di una bellezza di immediato impatto del ristorante Tancredi sul Lago di Garda, potrebbe racchiudere insidie spiacevoli. Perché una cittadina come la splendida Sirmione, meta turistica di prima qualità nella stagione estiva, nonché scrigno di splendide meraviglie archeologiche di epoca romana, tanto soddisfa in termini di estatica rilassatezza quanto potrebbe suggerire un certo immobilismo gustativo nella proposta per il cliente di stampo vacanziero. Invece Stefani non si adagia e fa propria una sfida non esplicita ma non meno importante. Come superarla? Garantendo una precisa riconoscibilità degli ingredienti, catalizzatrice di una sana riconferma, seguita da un equilibro gustativo elegante, gentile, preciso in tecnica e distinzione dei sapori, e capace di incorporare la formazione di stampo marchesiano col training presso maestri quali Antonio Guida. In questo senso la proposta del locale abbraccia prevalentemente una proposta ittica, non settariamente lacustre, aggiungendo portate di carne capaci di rilanciare verso una totalità palatale di buona fattura e intelligenza.

Tinte luminose

Nel nostro percorso siamo rimasti particolarmente colpiti da Lumachine di mare alla bourguignonne, portata nella quale il bel gioco di consistenze tra la gommosità della componente ittica e il ravanello è stato bilanciato dalla rotondità della burrata con, in chiusura, una notevole lunghezza amaricante data dal concentrato di rucola on top. Un bel piatto che ha perfettamente sintetizzato il binomio terra/mare della degustazione. Sulla stessa lunghezza d’onda è situato anche Taglioni al fumo, burro, garum di alici e caviale di Asetra, piatto di gran gusto, tecnicamente ineccepibile in cottura e temperatura di servizio, dove la mantecatura col burro e il servizio “sotto fumo” hanno fornito una lunghezza affumicata non scontata in grado di rilanciare la rotondità lattica e la sapidità ittica, omaggiando mediante il garum il sito archeologico poco distante dal ristorante.

Buona anche la mescita, tesa alla freschezza, e il servizio elegante: un insieme che la vista sul lago rende assai suggestivo, completando il quadro dalle tinte luminose di Tancredi, e al quale, ci permettiamo di dire, manca solo una leggera spinta di audacia per raggiungere traguardi più strutturati. I margini di miglioramento sono comunque evidenti. Bene così.

IL PIATTO MIGLIORE: Taglioni al fumo, burro, garum di alici e caviale di Asetra.

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Una cucina buona e sostenibile

Gramen, ovvero “erbe” in latino, è il nome del ristorante gourmet all’interno del Lefay Hotel sul Lago di Garda, il resort che sorge in un luogo incantevole sulla sponda bresciana del lago e che si mimetizza perfettamente con paesaggio e territorio. Qui si viene per ricercare il benessere e quest’ultimo passa anche per il rispetto dell’ecosistema circostante e per la sostenibilità. Tutti concetti alla base della cucina del Gramen dove si prediligono i vegetali, le erbe spontanee, la stagionalità e, in generale, ingredienti frutto di un processo di lavorazione che rispetti la natura. Come? In primo luogo è bandita la carne, né si utilizzano latticini, senza che, tuttavia, se ne avverta la mancanza al termine del pasto. Qui lo Chef Matteo Maenza ha messo a punto due percorsi degustazione, uno interamente dedicato alla componente vegetale e un altro che include delle portate a base di pesce; stessa filosofia viene seguita anche per la carta. Tutte le portate risultano eseguite in maniera tecnicamente inappuntabile, con gusti spesso rotondi ed equilibrati. Le pietanze più divertenti sono, tuttavia, quelle in cui lo Chef osa di più, come nel caso della Trippa di mare ricavate dalle parti di scarto delle capesante, dove le note erano spiccatamente dolciastre con una texture morbida ma non gommosa e un boccone nell’insieme molto incisivo.

Al bando carne e latticini

Molto gradevole, e di “crippiana memoria”, il Biancomangiare di mandorle con ricci di mare, dove la parte iodata perfettamente si sposa con la mandorla. La Spigola con zucca e cime di rapa era cotta millimetricamente e ben abbinata ai due vegetali, dal sapore autentico. Un piccolo capolavoro, poi, il Moscardino alla Luciana, laccato con una salsa molto densa e molto intensa a ricordare la classica preparazione della cucina partenopea. La Tagliatella di rapa con fagioli e cozze ci è parsa invece un piccolo esercizio di stile, dove il vegetale appariva un po’ slegato dal contesto. Buono il reparto dolci, anch’essi nel rispetto della sostenibilità ma senza rinunciare alla golosità.

La carta dei vini è originale e ben strutturata, il servizio decisamente disponibile e pronto al confronto. Per tutte queste ragioni Gramen sicuramente merita una sosta: unico consiglio, quello di osare di più in cucina anche in virtù del potenziale sin d’ora già espresso.

IL PIATTO MIGLIORE: Moscardino… quasi alla Luciana, olive e foglie di cappero di Gargnano.

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