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La Peca

Elogio del grande ristorante italiano

“Bistrot, cucina del giorno, locale multifunzionale, no tovaglia, no menu alla carta, ingredienti poveri, tavoli vicini, no prenotazioni, sì cantina (15 etichette)…”

Si può sintetizzare così, in poche parole, la linea della ristorazione degli ultimi 15/20 anni? Ovviamente no, il nostro è solo un gioco, e la rivoluzione che ha portato a privilegiare la cucina a scapito di tutto quello che, a torto o ragione, è considerato “accessorio”, ha avuto i suoi indubbi meriti. Eppure, passare qualche ora a La Peca, aiuta a non scordare quali emozioni può regalare il grande ristorante. Inclusivi da sempre, noi di Passione Gourmet amiamo tanto la cucina senza fronzoli quanto le sale dei grandi ristoranti del mondo, convinti che nel mondo della gastronomia ci sia posto per tanti e c’è bisogno di tutti.

Per fortuna, i grandi ristoranti non sono scomparsi dalla faccia dalla terra, ci sono fulgidi esempi anche in terra italica di grandi Case che hanno segnato e continuano a segnare la storia della grande alta cucina e del ristorante di “lusso”. Ma c’è una caratteristica che rende La Peca diverso da tutti gli altri grandi ristoranti e che lo fa balzare di netto fra le migliori soste che possiate fare in Italia: il senso di familiarità, la valorizzazione della “casa” e la capacità di far sentire qualunque cliente come avvolto in una nuvola di comfort. Il lusso spogliato della altezzosità e portato al livello della vera eleganza. E tutto nella maniera più spontanea possibile.

La cura del dettaglio

Fuori stress, velocità, rumore; entrare qui dentro è come entrare in una realtà parallela dove abitano tutti gli ingredienti per passare una grande serata. Ovviamente, la cucina: centrata, gustosa, tecnica ma facilmente godibile. Maestosa in alcuni passaggi, come nei garganelli con astice, porcini e tartufo nero, indiscutibilmente fra i 5 migliori piatti di pasta mai mangiati.

Un servizio del vino fuori dall’ordinario: pur in una carta con ricarichi importanti sulle grandi bottiglie, la presenza di 2 fuoriclasse in sala continua a fare la differenza. Pierluigi Portinari, ovviamente, ma anche Matteo Bressan: un uomo di sala e cantina che non serve le etichette ma il vino, appunto. Lo capisci quando, a fine pasto, in abbinamento a una lepre memorabile non ti porta un Grand Cru di Borgogna ma un fantastico Tai Rosso prodotto a pochi km dal ristorante.  Le persone fanno la differenza, sempre.

Infine, un ristorante confortevole, con tutti dettagli al posto giusto: dai tavoli ampi, ben illuminati e distanziati fino alla sala per fumatori, dove ritrovare il godimento di un distillato o di un buon sigaro.

Il ristorante completo, dalla A alla Z, preciso in tutti i fondamentali. Per questo la Peca è uno dei migliori locali d’Italia.

Il grande ristorante è morto? No, è più vivo che mai.

La Galleria Fotografica:

L’impronta italiana di un grande ristorante, nel vicentino

Sono ormai 30 anni che La Peca ha aperto i battenti, e possiamo certamente affermare che essa ha lasciato un’impronta indelebile nell’alta ristorazione italiana. Non si è mai mangiato così bene in Italia, lo sentiamo dire da più parti e anche noi ne siamo convinti: ecco perché, qualche volta, ci rimproveriamo di non possedere 50 bocche e altrettanti stomaci: tanti di noi ci vorrebbero per essere sempre presenti, dappertutto, testimoni di un percorso che continua inesorabilmente, e provvidenzialmente, a crescere. Senza dimenticarsi di nessuno.

Ed è un peccato, per dire, dimenticarsi de La Peca dei fratelli Portinari. Due grandi uomini che hanno creato un luogo di elezione e, senza clamore alcuno e senza protagonismi – facili in questo periodo di sovraesposizione mediatica – hanno giorno dopo giorno continuato a salire di livello, creando un luogo in cui si esprime tutta la grande vivacità di una cucina di impronta – la peca, appunto – tutta personale e in cui si culla il rito dell’arte del bien vivre a tavola.

Nicola, in cucina, è chef ormai maturo: si muove con una destrezza e audacia, da vero campione tanto che, nella nostra lunga serie di assaggi, non s’è riscontrata nessuna sbavatura, nessuna indecisione. Solo qualche reiterazione stilistica, a dire il vero lieve, ha fatto capolino tra i piatti. Il rametto di salicornia, pleonastico in molti casi, può essere assurto a firma autografa di piatti in cui la complessità di ingredienti e di tecniche alzano notevolmente il livello di difficoltà. Ma solo i grandi trovano equilibrio nella complessità, e ciò che riesce perfettamente a questa cucina che vive anche un’impronta davvero definita: autoriale.

Un’impronta tangibile e definita

Ne sono un fulgido e limpido esempio il Risotto ai peperoni chipotle, crudità di gamberi, marasca e aspro di curry, in cui l’apparente nota pleonastica dei gamberi crudi in realtà avvolge di dolce grassezza e dona completezza di texture a un piatto dai sapori formidabili. Notevole l’apparente gioco della Meringa al pepe con fegato grasso e frutti rossi, il Friabile d’alghe, black-cod cremoso e caviale davvero lungo e persistente e, infine, il piatto signature La terra in autunno, riproposto diversamente a ogni stagione dell’anno. Semifreddo al pepe verde, ravanelli, pimpinella e agrumi è, infine, un dolce che esprime tutta la grande sensibilità di un palato unico come quello di Pierluigi: elegante come una sciarpa di cashmere, setoso e intrigante. Il grande dolce di un grande ristorante.

Ma la Peca è, sopratutto, una grande famiglia italiana. Ed ecco quindi che la lunga mano di Pierluigi, che si esprime divinamente nel comparto dolce ma che dona tutta la sua classe e la sua personalità in sala, dov’è coadiuvata dalla compagna Cinzia Boggian, lady elegante, discreta e raffinata, aggiunge alla cucina di Nicola quel tocco in più. E, a proposito di sala, menzione speciale va alla squadra, giovane e meravigliosa, che ci ha fatto trascorrere ore indimenticabili.

Impronta indelebile, da provare quanto prima.

La Galleria Fotografica:

Ci sono insegne destinate a lasciare il segno nel cuore degli appassionati e la Peca, nel suo essere quasi l’archetipo della Maison all’italiana, è un locale che ha inciso un solco profondo nella storia della ristorazione dello Stivale.
Dell’accoglienza di casa Portinari, delle piccole attenzioni che non sono mai scontate, anche quando le stelle sono gemelle, si dovrebbe parlare nelle scuole di settore, tanto esse sono, a nostro modo di vedere, parte di un modello che sarebbe opportuno clonare prima che scompaia. Ciascun dettaglio viene qui curato con lo scopo di rendere indimenticabile l’esperienza del cliente: la distanza tra i tavoli, che permette di conversare senza sentire o essere uditi dai vicini, la splendida cantina a vista, il salottino dove bere in tutta tranquillità un grande distillato: non sono altro che la punta di un iceberg fatto di gesti, di premure, di ineffabili dettagli. E ciò che sorprende maggiormente, in quest’oasi di serenità che è la sala governata da Pierluigi Portinari e dalla moglie Cinzia Boggian (realizzatrice degli splendidi centrotavola), è che tutto ciò avviene senza quegli eccessi di affettazione, quell’aria di maniera che talvolta ci capita di riscontrare in altri locali.
Perché saper cucinare è un dono che si coltiva fino alla perfezione, ma per dominare la sala servono autentica vocazione e voglia di trasmettere il mestiere: e a questo punto non stupisce neppure più di tanto il fatto che ognuno, a partire dal giovane e preparato sommelier fino all’ultimo dei commis, comunichi perfettamente la stessa gioia nel rendere la clientela felice.
Ma La Peca non è certo solo un luogo confortevole: dietro le quinte dello spettacolo non troviamo infatti un cuoco qualunque, ma un asso del livello di Nicola Portinari. La sua è una cucina riconoscibile, estremamente personale, poco influenzata dalle mode e capace di passare dal mare alla selvaggina con estrema naturalezza e solo con qualche rara indecisione di ordine tecnico.
Come la sala, anche la cucina della Peca non perde tempo in tediosi autocompiacimenti, ma pone sempre in primo piano il cliente, sia esso il gourmet più navigato o l’avventore occasionale capitato qui per celebrare una serata particolare.
Il tentativo, certo lodevolissimo perché in grado di portare nuova linfa a tutto il movimento ristorativo, non mancherà di dare, a chi cerca emozioni più forti e tinte accese, l’impressione di non spingere mai fino in fondo sull’acceleratore, e non si potrà evitare di considerare come la cucina, accontentandosi di battere quasi costantemente sulle morbide corde del dolce, perda l’occasione di sfruttare la propria perizia tecnica per effetti di maggior mordente, ma il tutto si armonizza in una ricerca della piacevolezza complessiva palesemente programmatica, con spunti però di eccessiva sapidità talvolta incontrollati, che ci fanno accendere più di qualche lampadina.
L’intelligenza di Nicola Portinari fa sì che, pure al termine della parte anche nominalmente dolce del menù, al solito di livello più alto della media del pasto, si avverta una sensazione di totale leggerezza. Merito di ciò va ovviamente alla bravura dello chef nel moderare l’utilizzo di materie grasse e nel ponderare ingredienti e preparazioni, rendendo un percorso guidato facilmente fruibile anche da clienti di bassa cilindrata.
Citazione d’obbligo per la carta dei vini, senza punti deboli grazie alla presenza di molte etichette italiane e internazionali, ricaricata con leggerezza in rapporto al tono del locale e ricca di spunti soprattutto sul versante dei vini naturali.
In conclusione un grande ristorante, ma soprattutto una grande casa dove passare due ore gustando un’ottima cucina italiana a tutto tondo.

Il benvenuto della cucina.
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Marshmallow di pomodoro, cialda croccante, basilico.
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Pane e grissini.
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Elegante (anche se di difficile consumo) pinzimonio in coppa Martini.
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La melanzana: svuotata, gelata e ricomposta, ripiena di burrata, mozzarella di bufala, capperi, pomodoro: un vero inno all’estate, fresco e divertente.
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Piccole carote di montagna con tataki d’oca e maionese di mango alla senape: un piatto nel complesso molto piacevole, non ci ha convinto del tutto l’oca in forma di piccolo hamburgher, forse in forma di straccetti sarebbe risultata ancora più piacevole al palato.
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Spaghettoni Cavalieri, tonno e finferli: l’ennesima rivisitazione della carbonara, golosa niente da dire, ma alla fine quasi sempre resta la nostalgia per la versione originale.
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Calamari di pasta con ragù di selvaggina, asparagi verdi e caffè Principe: un grande piatto di pasta, il grasso e la dolcezza della selvaggina, l’erbaceo tendente all’amaro degli asparagi selvatici e l’amaro puro del caffè si rincorrono senza mai sovrastarsi e regalando ad ogni boccone una nuova sensazione.
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La beccaccia: il petto scaloppato, la coscetta ripiena di foie gras, il fegatino sul crostino.
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Sorbetto al limone verde, zenzero e cristalli di zucchero di canna.
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Ravioli croccanti alla crema brulèe con agrumi infusi alla vaniglia: un grande dessert come sempre accade alla Peca.
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Piccola pasticceria.
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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

A Lonigo si respira l’aria della grande Maison: è forse questo il primo pregio della Peca, la sensazione del ristorante di famiglia, della “casata”, di una struttura ben solida.
Infatti la Peca, magnifico ristorante tutto legno e vetri con cantina a vista e splendido panorama sulle campagne di Lonigo, a pochi passi dalla Chiesa medievale di S. Daniele, è un tempio che i Portinari, Nicola e Pierluigi in primis,hanno consacrato al benessere del cliente.
La calorosa accoglienza della moglie di Pierluigi,la luminosa sala al primo piano che attende i fortunati avventori,la grande professionalità che traspare da tanti particolari, permetteranno a chiunque di fare un’esperienza a tutto tondo davvero significativa.

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