Passione Gourmet Kyoto Archivi - Pagina 2 di 2 - Passione Gourmet

Isshin

Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto

In una terra in cui i cambiamenti culturali sono registrati adottando il secolo quale unità di misura, quello di Hideichi Katagiri sembra essere un locale molto recente. Dal 2003, infatti, con lo spostamento da Shiga al centro di Kyoto, il Maestro officia da Isshin, pur non essendo più un ragazzino. Ma il fermento creativo che Hideichi San ha dimostrato e dimostra ogni giorno non accenna a sopirsi. E il motivo è molto semplice.
Premesso che qui l’assoluta protagonista è la carne, come possiamo collocare Isshin nelle rigide categorie della tradizione culinaria nipponica?
E’ un teppanyaki? No, qualcosa a volte viene fatto al Teppan ma non molto. Una steakhouse? No, per carità, sarebbe ridicolmente troppo riduttivo.
La verità è che Hideichi San ha sviluppato uno stile tutto suo, unico. Ha preso, in sostanza, un singolo ingrediente come la carne (e che carne…) e attorno ad esso ha creato numerose e originali declinazioni adottando una visione da vero Maestro Kaiseki. E nel realizzare il suo percorso gustativo ha utilizzato anche gli strumenti tipici di un Sushi master.
Il nostro è stato un viaggio in un mondo “da carnivori” che ha veramente pochi eguali. Abbiamo scoperto tagli e marinature lontane dalla nostra cultura. E gli abbinamenti tra carne e pesce sono sempre stati perfetti, in un crescendo di intensità gustativa difficile da dimenticare.
La carne è la Wagyu di un allevamento vicino Kyoto. Mirabile la sua bontà, con una percentuale di grasso tale che ci è sembrata una caratteristica imprescindibile per poterla assaporare cruda o al più marinata: il grasso, infatti, diventa un veicolo di sapore fondamentale.
Una delle tante specialità di Isshin è il taglio della parte interna della spalla: un piacere raro visto che da un singolo animale se ne possono ottenere appena due preziosissimi chilogrammi. Ma Hideichi San non disdegna altre parti meno pregiate, come lingua o coda, trattati con una maestria incredibile.
Il gusto estetico è in puro stile Kaiseki, così come la scelta di proporre un menù obbligato con tante mini porzioni. Ci si affida al Maestro e ci si lascia condurre, il leitmotiv a noi tanto caro in ogni locale giapponese.
Vedere lo chef al bancone è come sempre uno spettacolo: ricordatevi quindi di chiedere il “counter” (è disponibile anche una saletta privata ma quella lasciatela ai business man con gli occhi a mandorla).
Un viaggio nella Wagyu, tra le sue inaspettate sfumature e complessità. Un one man show che sarebbe un delitto non conoscere se avete la pretesa di comprendere, fino in fondo, la grande cucina giapponese.

Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Spalla, caviale di pesce e crema di melanzana.
spalla, caviale, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Trippa e gelatina di prugna umeboshi.
Spalla e crema di sesamo.
Polpa con crema di teste di gambero.
trippa, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Lingua con dumpling di gamberi in zuppa di miso.
lingua, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Spalla marinata in alga combu e agrumi.
Ravanelli, asparagi, pomodoro, succo di yuzu, pompelmo e pepe rosa: incredibile il sapore del pomodoro.
Un piatto che fa cadere ogni costruzione teorica sulla presunta inferiorità della cucina di assemblaggio, sempre che questa possa essere considerata tale. Preparazione semplicemente fantastica per gusto e misura.
spalla marinata, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Sashimi di lingua con trito di alga e funghi: quanto è buona questa carne in sashimi…
sashimi di lingua, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Mousse di fagioli di soia, coda in gelatina, zenzero e gelatina di soia. Altro grande colpo: come rendere elegante un piatto che più rustico non si può. Questa è grande cucina.
mousse di fagioli, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Sushi di coscia marinata.
Maki di lingua, melanzana, funghi e avocado.
Carne marinata alla soia e cipollotto.
Un viaggio nelle consistenze della carne.
sushi, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Spalla marinata allo zenzero in gelatina di brodo dashi.
spalla marinata allo zenzero, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Controfiletto marinato e cotto alla brace di faggio con mousse di soia e insalata verde alla soia.
controfiletto, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
La mousse di soia.
mousse di soia, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Zuppa di alga nori e combu, sfilacci di coda in brodo di carne e sesamo. A lato le immancabili verdure fermentate in aceto (daikon e cetriolo).
zuppa di alga nori, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Variazione di fico: marinato e in crema bruciata con gelato di fagioli azuki.
variazione di fico, Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone
Questa volta divieto d’accesso al té verde: un pinot nero a farci compagnia.
Isshin, Chef Hideichi Katagiri, Kyoto, Giappone

Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone

I soba sono delle sottili tagliatelle di grano saraceno popolarissime in Giappone, grazie al fatto che si possono gustare sia in ristoranti di ottimo livello a essi dedicati, sia in più popolari banchetti come, per esempio, nei mercati.
Per quanto anche la seconda tipologia possa essere molto soddisfacente, nel corso di un viaggio in Giappone è senz’altro consigliata la visita a un ristorante a tema soba, nel quale sono serviti anche piatti tradizionali accanto alle diverse versioni di questi noodles.
La nostra scelta è caduta sul Ryuheisoba, ospitato in una piccola, fascinosa casa tradizionale in un quartiere periferico di Kyoto vicino alla Katsura imperial villa e noto anche per la presenza di una bella pasticceria tradizionale (dista un centinaio di metri dal ristorante, non mancatela).
Lo spazio è minimo: seduti sul tatami, ci ospita un piccolo banco di legno chiaro, affacciato sul giardinetto esterno, dove saremo accuditi con la solita grazia da una giovane donna che se la cava anche con l’inglese (segno di un ristorante che ha già una certa visibilità oltre i confini regionali, anche se oltre a noi c’è solo una tavolata di kyotoiti).
La sequenza dei piatti è a scelta dello chef (esiste un menù, solo in giapponese, ma la decisione di farsi condurre nella degustazione completa è privilegiata da tutti i clienti) ed è davvero notevole: la soba, fredda o calda è molto presente (anche in un ottimo budino, in una sorta di tè e come bevanda dall’acqua di cottura) ma è affiancata ad altri piatti tradizionali.
Gli assaggi di soba sono davvero memorabili e molto distanti dalle sbiadite versioni occidentali, con noodles spesso scotti e insapori quando dovrebbero invece essere tenaci e saporiti. Caldi sono sicuramente eccellenti, ma li gusterete appieno nelle versioni fredde, in cui la qualità dell’impasto viene esaltata.
Tutto il resto del menù, non breve, è all’insegna di una grande leggerezza, pulizia di sapori, stagionalità: non è un kaiseki, ma ne condivide l’equilibrio nella successione dei piatti, nella cura nelle presentazioni e nella nettezza dei gusti.
Cotture misurate, brodi di limpida incisività, ingredienti freschissimi: tutto conferma che la cucina qui è una cosa seria, nelle diverse forme che può assumere.
Anche il reparto dolci si fa notare, alternando un budino di soba (interessantissimo per gioco di consistenze e dolcezza contenuta in contrasto con la deliziosa pera in accompagnamento) con un wagashi alla castagna, omaggio alla stagione.
Una bella sosta e un altro tassello nella conoscenza di un’offerta gastronomica varia come poche al mondo.

Prugna e miele. Benvenuto molto gradito.
prugna e miele, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Accompagnato da un ottimo goccio di saké.
sake, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Cosa ci sarà nella scatola?
scatola, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
La prima portata di soba: freddi, con patata giapponese e pesce.
Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Sashimi con salsa di soia e aceto di soia. Buonissimo, qui si va oltre i soba…
sashimi, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
E infatti, brodo di grano saraceno con funghi e salmone: delizioso.
brodo con funghi, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Maccarello alla griglia: cottura millimetrica.
maccarello alla griglia, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Una specie di gnocco di patata e pasta di pesce, boccone interessante ma non memorabile.
gnocco di patata e pasta di pesce, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Ancora soba freddi, in questo caso accompagnati dalla soia e dal wasabi fresco. L’acqua di cottura, allungata con la soia diventa un gradevolissimo accompagnamento.
soba, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Brodo di funghi e kabu (una sorta di ravanello giapponese).
brodo di funghi e kabu, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Riso e castagne con immancabili pickles (superiori alla media).
riso e castagne, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Soba calda in brodo di pesce, deliziosa.
soba calda, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Notevolissimo budino di soba e pera. I dolci non stucchevoli qui sono di tradizione.
Budino di Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Ma un dolce di pasta di azuki e castagna non può mancare.
dessert, pasta azuki, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Tè matcha (il più buono di sempre).
tè macha, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone
Tè di soba, per chiudere in leggerezza.
tè di soba, Soba Ryuheisoba, Kyoto, Giappone

Tra le esperienze da non perdere in Giappone c’è quella di un pranzo in un ristorante di tempura “serio”.
E se a Tokyo questo vuol dire 7 Chome Kyoboshi, già proposto su questi schermi e con le sue tariffe da paura, a Kyoto si traduce in questo Kyoboshi: qualità comparabile per la tempura, inferiore nel cadre e in ciò che tempura non è, ma a un terzo del prezzo.
Il cuore dell’esperienza, la successione di una ventina di divini bocconi, è, infatti, lo stesso e consente anche a chi entra in questo piccolo locale di resettare i propri parametri in materia di frittura.
Il ristorante è alla terza generazione e il giovane chef, Toshinori Sakakibara, è affiancato dalla madre e dalla moglie nel servizio ai sei fortunati che avranno trovato posto e che saranno coccolati per l’intera durata della serata (un paio d’ore benissimo spese).
L’offerta prevede un menù unico che spazia tra terra e mare proposti come tempura: leggerissima, la crosta croccante come difficilmente si può immaginare, racchiude la materia fritta esaltandone gli aromi. Unico accompagnamento il sale, lavorato fino a renderne la consistenza simile a quella dello zucchero a velo, e il limone, posti in due ciotoline; la terza ciotolina che vi sarà fornita contiene invece daikon grattugiato, da mangiare tra una portata e l’altra.
Gli ingredienti sono tutti di ottima scelta e la sequenza non ha sbalzi; si procede con gran gusto tra mini toast di gamberi e ginkgo nuts, carote in guisa di filo telefonico (divertissement bello quanto buono) e fagiolini in equilibrio miracoloso, per chiudere con la patata dolce da immergere nel cognac e nello zucchero, una ghiottoneria memorabile.
Buonissima anche la chiusura del “salato” con la soave zuppa di riso in cui immergere i gamberetti fritti.
Accompagnamento a base di shochu o birra, anche se per i più francofili non mancano un paio di champagne, serviti però solo in bottiglia intera (con i ricarichi usuali da queste parti).
Peccato per il dessert, un gelato di vaniglia con liquore di caffè piuttosto anonimo e servito direttamente dopo averlo preso dal frigorifero, che c’impone una piccola penalizzazione di punteggio a un’esperienza che, comunque, consigliamo caldamente.
Al commiato, la consueta gentilezza nipponica si fa qui ancor più cordiale, grazie alla naturale simpatia di questa famiglia che ricorderete a lungo.

L’ingresso del locale. Attenzione, insegne solo in giapponese.

Il maestro all’opera.

Il sale.

Il daikon.

Toast di gamberi. Si capisce che qui si fa sul serio…

Il pesce è una specie di piccolo merluzzo, il risultato è encomiabile.

Mini baccelli di soia.

Gambero (ci sarà portato a più riprese).

Seppia.

Carote. Occasione per una divertente gag con il cuoco che finge siano cavi telefonici e poi si schermisce ai nostri complimenti.

Peperoncini verdi.

Alga nori (da mangiarne a pacchi).

Radice di loto, tenace e croccante, davvero notevole.

Anguilla con castagne.

Ginkgo nuts, bello spiedino.

Coreografica presentazione per un pesciolino azzurro di commovente intensità.

Merita la copertina questa composizione di fagiolini in equilibrio precario. Croccantezza a iosa.

Mini pannocchia.

La patata dolce…

…zucchero e cognac, per un picco di gourmandise.

Senza pickles i giapponesi non sanno stare.

Riso finale con piacevole contrasto di texture (e gamberi dal sapore intensissimo).

Piccolo passo falso. Un locale di questo livello merita di più.

Dieci giorni tra Tokyo e Kyoto per un totale di oltre trenta ristoranti visitati, molti pluri-stellati, qualche locale più semplice e tanto cibo da strada. Un’immersione in un universo affascinante e tanto distante da noi. Non solo fisicamente, ma soprattutto culturalmente. Un popolo, una terra ricca di suggestioni. Quale modo migliore per capire il Giappone se non quello di immergersi nelle sue strade, osservare i comportamenti di un popolo civile ed evoluto, i cui i treni non arrivano mai in ritardo, ma neppure in anticipo.
520
Città in cui ci sono pochissimi cestini per i rifiuti lungo le strade, perché tutti si portano i rifiuti appresso, pragmatismo ecologico (si riducono i rifiuti prodotti) e organizzativo (non si debbono svuotare cestini che per un qualsiasi imprevisto potrebbero rimanere pieni). E per le strade sono una rarità anche le panchine, qui si corre dalla mattina alla sera, spesso ci si addormenta stremati nei metrò, in sostanza non si spreca il tempo, un bene prezioso come l’aria. In questo paese una richiesta fuori programma, che sia un piatto in più o una variazione su una prenotazione, pone l’interlocutore di fronte all’ignoto, al non conosciuto, all’indecifrabile e all’ingestibile. Tutto sembra perfetto, catalogato, certo e sicuro, anche nella baraonda e nella confusione apparente che affascina durante una visita ai mercati, pieni di rituali a noi sconosciuti, ma ricolmi di civiltà, storia e cultura.
Un popolo si comprende molto meglio osservandolo a tavola, e anche immerso in uno dei nostri compiti primari per la sopravvivenza, vero a qualsiasi latitudine, la conquista del necessario per sfamarsi. Almeno due volte al giorno. E’ atto di sopravvivenza qui svolto, come tutto il resto, in maniera responsabile, attenta, sottile, finanche maniacale.
520
I mercati ricchi di freschissima materia prima, a tutte le fasce e a tutti i livelli. Solo in Giappone può esserci chi si impegna a coltivare 10 meloni per raccolto, a cesellarne e scolpirne le forme, quasi come un bonsai, per ottenere una stratosferica e straordinaria materia prima, a oltre 100 euro al pezzo. Solo in questo luogo si può incontrare un maestro di sushi che apre 24 tonnetti per sceglierne uno solo, il migliore e il più fresco, che i suoi 6 commensali di quel giorno avranno l’onore di assaporare. I mercati strabordano di verdure e alghe fermentate, componente base per una cucina povera di grassi, sana, ma gustosa e persistente. In cui l’umami è ricercato attraverso mille componenti e sfaccettature differenti.
Qui in Giappone c’è la grande industria, vanto di questa terra, precisa nella sua seriale ed elevata qualità, ma c’è anche la somma espressione dell’arte artigiana, purtroppo destinata – e lo sappiamo bene – a pochi o meglio dire pochissimi eletti.
520
La ripetitività del gesto, infinita, che qui è considerata maestria. Un solo atto da ripetere e perfezionare per tutta la vita. Al bando la creatività, la variabilità, l’istinto e l’improvvisazione. Qui si è considerati grandi se si persegue per tutta una vita lo sviluppo di un solo gesto, di un solo atto, di un solo e unico modello. All’infinito curato e migliorato, giorno dopo giorno, nei minimi dettagli e particolari.
520
Ecco quindi emergere i maestri di tempura, che vi doneranno una frittura che non sarete più in grado di chiamare tale. Eterea, praticamente inesistente, che ha il solo significato funzionale di sigillare la materia, semplicemente straordinaria, dal veicolo di cottura, l’olio. Per rendere una melanzana, un fungo, un gambero apparentemente crudo ma al contempo cucinato, dolcemente cullato dal calore, preservando però all’interno dell’involucro tutti gli umori dello stesso. La sublimazione di un atto, come la preparazione maniacale di un pezzo di sushi, in cui tutto è fondamentale. Dalla scelta della materia prima, dalla cura del riso e della sua preparazione, dal confezionamento.
E non stupitevi se voi, quasi attoniti, vi sentirete dire con perentoria decisione che il melone che state acquistando deve essere consumato entro 2 giorni, o che i dolcetti che volete riportare alla vostra amata non potranno essere consumati oltre la sera stessa.
520
Non dimenticando i riti e ritmi kaiseki, qui scanditi ovunque. Vi pervaderanno con attenzione estrema all’estetica, considerata parte integrante del senso gustativo, mai fine a se stessa. Il dettaglio, la bellezza, che riprende un concetto caro a Marchesi. Ciò che è bello non può che essere anche buono. Estetica e gusto: la bellezza della forma non è mai comprimaria del gusto, ne è struttura indivisibile (principio kaiseki).
In questo paese vige il culto dei dettagli: la bellezza è spesso nascosta. Un fiore, un vaso, uno scorcio infinitesimale di un giardino interrompe la monotonia di cemento in alcune periferie spesso anonime, in cui si incontrano maestri che officiano nascosti in cantine di palazzi grigi, ma che sfiorano l’arte con le loro preparazioni. Senso civico senza pari, rispetto dei codici e dei formalismi, rispetto dell’ospite e massima attenzione al servizio, qui considerato un’elevazione verso il divino.
Un paese, una terra molto affasciante e intrigante, che noi cercheremo di raccontarvi attraverso l’occhio curioso di 6 appassionati gourmet, sperando di riuscire a trasferirvi il senso profondo di questo popolo, della loro cultura e civiltà, attraverso il cibo, fonte di vita primaria ed energia che muove il mondo intero.
520