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Bird Land

Un gourmet in viaggio di piacere in Giappone può recarsi in questo anfratto della stazione della metropolitana di Ginza per un solo motivo: il mitico Sukiyabashi Jiro è proprio qui, sul fondo nella foto d’apertura.
Noi, però, indefessi, siamo riusciti a trovarne un altro.
Il dirimpettaio del Gran Maestro del sushi è Bird Land, uno dei mille e più yakitori di Tokyo, con una peculiarità: la Michelin lo premia con una stella.
Ristorante specializzato in spiedini di pollo.
Solo pollo in tutte le varianti possibili.
La curiosità è tanta, non solo di sushi e manzo Kobe si vive.
Seduti all’amato bancone (è uno degli aspetti più belli di un viaggio nel Sol Levante godersi a tutto tondo l’ars coquinaria), ammiriamo una splendida brace dove lo chef con un paio di aiutanti adagia e volta con precisione decine di spiedini.
Gli animali utilizzati, di razza okukuji, provengono da una fattoria biologica di Ibaraki.
La materia prima utilizzata è di buon livello, ma il nostro percorso è un susseguirsi altalenante di sapori, non un crescendo.
Si parte forte con il petto al wasabi che, in gran quantità, sovrasta la carne, pur succulenta.Il palato viene annichilito. Peccato.
Poi fegato, pelle del collo (croccante e saporita), ventriglio, salsicce, sovraccoscia teriyaki al coriandolo, coscia con porri.
Il tutto intervallato, senza un apparente filo logico gustativo, da ginkgo nuts, funghi shiitake e uova con riso.
Di parti nobili, quindi, ne avrete ben poche, le interiora la faranno da padrone, ma, a questo prezzo, è lecito pretendere di più.

Avrete la sensazione di gustare cibo di strada, come ne potrete trovare in millanta luoghi della capitale, senza una particolare spinta gustativa od emozionale, ad un costo decisamente superiore.

Non è un’esperienza esaltante, onestamente, anche se può essere un piacevole diversivo del vostro tour gastronomico; l’importante è non approcciarsi con grandi aspettative, bensì con animo disincantato, per un piacevole gioco culinario nell’universo del frequentemente bistrattato pollo.

Chef all’opera.
chef, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Appetizer: ventriglio in gelatina, peperoncini verdi, pelle laccata, funghi.
appetizer, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Secondo appetizer: patè di fegatini.
patetico di fegatini, appetizer, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Petto con wasabi (decisamente coprente).
petto con wasabi, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Fegatini.
fegatini, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Pelle del collo.
pelle del collo, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Ventrigli.
ventrigli, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Gingko (consistenza simile ai nostri fagioli, leggermente amarognolo).
gingko, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Polpette.
polpette, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Pollo teriyaki con coriandolo, perfettamente cotto.
pollo teriayaki, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Funghi shiitake.
funghi shiitake, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Coscia e porri.
coscia e porri, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Uovo a mo’ di frittata con riso.
uova, frittata, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Meloni.
meloni, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Mise en place.
mise en place, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone

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Shinji Kanesaka è, probabilmente, il Sushi Master più giovane di Tokyo.
Ciò nonostante, nel corso della nostra cena, con il suo secondo Sanpei san, ha dimostrato non solo una grandissima maturità e manualità nello sfilettare e servire una meravigliosa materia prima, ma anche di essere affabile e partecipativo (a differenza di alcuni suoi colleghi di fama mondiale) con noi, unici gaijin seduti al bancone.
Qui, come in tutti i migliori sushi bar, non avrete la possibilità di selezionare ciò che più vi aggrada (non esiste un menu), ma semplicemente, all’atto della prenotazione, comunicare per quale dei due omakase (20.000 e 30.000 yen) optate.
Nessuna paura, state pur certi che Shinji san comprerà quanto di meglio lo Tsukiji avrà da offrire la mattina della vostra visita.
Il percorso inizia con alcune preparazioni di sashimi e di pesce cucinato, di straordinaria qualità.
Il tonno in Giappone ha un’aura di sacralità, i migliori esemplari vengono acquistati per decine di migliaia di euro, ed ogni sua parte viene utilizzata, dando vita a molteplici preparazioni.
L’essenza della cucina di pesce giapponese è data dalla semplicità delle ricette e dalla perfezione del gesto. Pochissimi ingredienti, a volte solo un paio, sublimano talvolta in divini bocconi. Esempio fulgido è la guancia di tonno leggermente cotta nella soia, consistenza e sapore da andar fuori di testa.
La gioia può essere anche un semplice pesce amabilmente grigliato, o dei gamberetti crudi di eterea consistenza.
Poi c’è il sushi.
Dopo aver visitato alcuni tra i massimi esponenti del genere è davvero difficile dire, con assoluta certezza, quale sia il migliore.
Tutti si contraddistinguono per l’utilizzo di una materia prima stratosferica; le differenze principali risiedono nel taglio (la manualità è tutto) del pesce e nella qualità e condimento del riso.
Kanesaka ama servire il riso tiepido, per esaltare i profumi, e ben sgranato, così da distinguere ogni singolo chicco, seppur mirabilmente reso compatto in un armonico insieme. Il riso è condito, ma non troppo, l’aceto si sente, ma anche no.
Non avrete bisogno di intingere il boccone nella soia, il master prima di servirlo lo avrà già lucidato con un paio di pennellate.
Anche il wasabi, lontano anni luce da quanto ci propinano i “giappo” nostrani, grattugiato al momento, fa bella mostra di sé tra il riso ed il pesce, gentilmente dosato. Si incunea nelle narici per poi svanire in un attimo. Fa parte del gioco.
Impugnate le bacchette, cingete la polpettina e portatela alla bocca. Chiudete gli occhi ed assaporate. Tante le sensazioni che si susseguono al palato. Ciò che meraviglia è l’armonia tra i vari elementi.
È anche questione di proporzioni, ed allora la copertura ittica è ben bilanciata e non sovrasta il riso, e viceversa.
Sedete al bancone, mi raccomando, godere della gestualità di chi prepara dinanzi a voi vale il costo del biglietto.
È come una danza, la cura della sfilettatura, l’abilità con cui il riso viene maneggiato strabilia.
L’anguilla di mare laccata unagi e tamago a completare un pasto di grande spessore.
Conto di conseguenza, con il solo totale scritto a matita su un mini foglietto. Non aspettatevi la ricevuta, perché qui in Giappone è la prassi.

Mise en place
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Gamberetti e ricci di mare
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Bonito marinato nella soia con insalatina
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Guancia di tonno nella soia. Spaziale
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Zuppa di vongole
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Particolare
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Soto fish
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Yellowtail
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Tonno (Akami maguro)
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Tonno (O-toro). Burroso ed intenso. Difficile da descrivere la bontà della parte più pregiata del tonno
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Horse mackarel
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Capasanta
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Tekamaki. Roll di alga nori ripieno di riso e tonno (chu-toro). Alga croccante, da gustare come un panino, con le mani. Di grande bontà
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Sea eel (Unagi) e tamago
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Ingresso del palazzo
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Sottoscala
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Sala e bancone
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In Giappone si mangia benissimo a tutte le cifre.
Al di là dei luoghi comuni e dei pallidi echi che arrivano dalle nostre parti sotto forma, nel migliore dei casi, di sushi bar e, nel peggiore, di all-you-can-eat gestiti da cinesi dove gustare (si fa per dire) confusi mix asiatici, recandosi in quello splendido paese si trova una varietà d’offerta straordinaria.
Quando si parla di “noodles”, questi possono assumere (con mille varianti regionali) la forma di soba (tagliatelle di grano saraceno), ramen (di frumento e di origine cinese) e udon (anch’essi di frumento, normalmente a sezione quadrata molto spessi).
Pur da cultori della materia, mancava nella nostra esperienza la conoscenza degli Inaniwa Udon, una tipologia antichissima (il primo libro di ricette che ne parla è del diciassettesimo secolo), originaria della prefettura di Akita, nel nord ovest del Giappone.
Si tratta di udon più sottili rispetto ai classici, dall’aspetto particolarmente traslucido e dalla consistenza morbida e setosa, che vengono gustati sia affogati in brodi caldi sia accompagnati, a parte, da salse fredde o calde in cui intingerli.
Il modo migliore di testare questa specialità è quello di visitare uno stabilimento classico in cui la preparazione sia eseguita in modo rispettoso della tradizione e la nostra scelta è andata alla sede in Ginza della Sato Yousuke Shoten.
Si tratta del branch nella capitale di uno storico produttore alla settima generazione familiare, presso il quale è possibile, anche a Tokyo come nella sede madre, acquistare i preziosi “spaghi” o mangiarli in loco. La particolare qualità dello stabilimento è certificato dal premio di “Skilled Artisan” ricevuto nel 2004 dall’attuale capo azienda, un patrocinio diretto da parte della casa reale che è cosa non trascurabile nel paese del sol levante.
La location è molto curata ed elegante, se si pensa che si tratta di un mangiare povero, ma non lasciatevi intimorire: al momento del conto non avrete nessuna lacrimuccia da versare.
L’offerta è davvero basic: meno di dieci possibili scelte tra udon freddi e caldi, accompagnati da tè verde o birra, da scegliersi da un menù plastificato che un po’ stride con arredi e illuminazioni semplici ma di ottimo gusto.
Quel poco che c’è, però è davvero buono: gli udon con funghi nameko e daikon grattato sono l’opzione più tradizionale, davvero ottima se accompagnata con la salsa al sesamo che ne aumenta lo spettro gustativo senza comprometterne la grande freschezza e leggerezza. Altrettanto interessante la variante al curry, concessione al “fusion” più impegnativa della versione originale e davvero ben riuscita, con un curry forse meno intenso che a Brick Lane ma molto efficace nell’accompagnare gli udon.
Nel vassoio che vi sarà servito, a complemento dei noodles, una ciotola di riso e “pickles” d’ordinanza, particolarmente graditi al pubblico locale.
Se gradite un rinforzino di udon perché vi è avanzata della salsa, non esitate a chiederlo, è già previsto che vi sia fornito, con un piccolo supplemento.
La vostra tazza di tè non resterà mai vuota grazie alla solerzia delle gentili cameriere, ma nessun rabbocco avrà effetti sul conto finale.
L’addizione suddetta, anche per il più affamato, non potrà superare i 15 euro per una scoperta gastronomica molto interessante, un fast food per gourmet che conferma, se ce ne fosse bisogno, che il buon gusto non si misura in soldi spesi.

Uno scorcio del locale.

Lo spartanissimo menù, in versione inglese. Per rendere l’idea: 1000 yen sono poco meno di 8 euro al cambio attuale.

Una vista da vicino degli udon. La lucentezza viene ottenuta raffreddandoli col ghiaccio dopo la cottura.

Il servizio degli udon al curry. Come tutti gli udon freddi, vanno presi con le bacchette (hashi) e intinti nella ciotola contenente la salsa, in questo caso il curry.

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Non è semplice, per chi, da straniero, non ha un rapporto simbiotico con il Giappone, comprenderne appieno l’immensa cultura gastronomica.
Non è semplice soprattutto perché il Giappone non è solo sushi, tenpura o carne di Kobe. È come se riassumessimo L’Italia ai fornelli con la pizza o con il risotto.
La cucina di questo Paese meraviglioso ha mille sfumature ed affonda le sue radici nella storia millenaria che ha segnato la sua evoluzione.
Ogni Prefettura ha uno stile culinario, un “signature dish”, ma tutte hanno un minimo comune denominatore: la ricerca, spesso esasperata, della migliore materia prima possibile, trattata con una ritualità a tratti imbarazzante nella sua perfezione.
A differenza dei ristoranti di stampo occidentale, caratterizzati da varietà ed ampiezza del menu, con differenti tipologie di pietanze cucinate, in Giappone quasi tutti i migliori locali sono iper-specializzati in una sola preparazione.
La comparazione, quindi, risulta oltremodo complessa.
Dopo un lungo viaggio abbiamo iniziato a tracciare le linee guida, ben consapevoli che attribuire una votazione, secondo i nostri parametri, è quanto di più difficile ci sia accaduto sino ad oggi.
Noi ci proviamo, sperando di fornirvi un quadro certamente non completo, ma il più possibile corretto dell’affascinante realtà gastronomica del Sol Levante.

La carne di Kobe è leggenda.
Da alcuni anni i ristoranti di ogni latitudine sono stati letteralmente invasi da imitazioni (kobe-style) più o meno riuscite della mitica carne giapponese, divenuto benchmark planetario.
Abbiamo degustato, ovunque nel mondo, la wa-gyu (letteralmente carne giapponese), allevata negli Stati Uniti, in Australia, in Cile, in Brasile e ora anche in Italia, ma, consentiteci la citazione, “come lei nessuno mai”.
Al Bifuteki no Kawamura, all’ottavo piano di un bel palazzotto di Ginza, che ricorda negli arredi più le steakhouse americane che non i minimalisti ristoranti giapponesi, viene utilizzata esclusivamente la wa-gyu proveniente dalla Prefettura di Hyogo, ceppo Tajima, cotta abilmente sul teppanyaki (piastra di acciaio).
Solo una minima percentuale dei Tajima cattle può fregiarsi del titolo di “Kobe Beef”.
Spesso si generalizza, errando, identificando la carne di Kobe con tutta la carne giapponese. In numerose prefetture del Sol Levante, infatti, viene allevata la wa-gyu, non solo in quella di Hyogo, dove la città di Kobe è situata.
La wa-gyu si divide in quattro razze: Japanese Black, Japanese Brown, Japanese Polled e Japanese Shorthorn.
La Japanese Black, indiscutibilmente la migliore per qualità della fibra muscolare, si divide a sua volta in quattro ceppi: Tottori, Tajima, Shimane and Okayama.
Si badi bene, può essere denominata Kobe solo la wa-gyu del ceppo Tajima allevata nella prefettura di Hyogo che ha superato rigidi esami qualitativi che prevedono l’utilizzo di ulteriori sottoclassificazioni:
a) Yield score (da A – più alta – a C) indica la percentuale in una carcassa di tagli utili al consumo;
b) Meat quality score (da 5 – più alto – a 1) indica la qualità complessiva della carne in ragione del colore, della consistenza, del grasso;
c) B.M.S. – beef marbling score- (da 12 – più alto – a 1): indica la percentuale di grasso all’interno della fibra muscolare.
La carne proveniente dalla razza Tajima allevata nella Prefettura di Hyogo può essere chiamata Kobe solo se ha uno Yield score pari ad A, un Meat quality score di 4 o 5 ed un B.M.S. pari o superiore a 6.
Svolta questa necessaria premessa, al fine di comprendere l’effettiva potenzialità di questo meraviglioso prodotto, abbiamo ordinato due differenti qualità di carne per grado di marmorizzazione.
La Special Kobe (8/9 grado) e la Excellence Award Winning (11/12 grado).
La differenza, sebbene visivamente, per un occhio occidentale poco allenato, non sia significativa, al palato è notevole.
La Excellence è voluttuosa, scioglievole, carezzevole, avvolge il palato e lo riempie.
La Special lo è di meno, senza dubbio.
Ma nessuna delle due somiglia, neanche lontanamente, al paradigma occidentale.
Non aspettatevi la potenza di una bistecca argentina o brasiliana, la tenacia di una chianina, o l’intensità di una fassona, in Giappone si gioca un altro campionato.
Chiariamo, è difficile dire se sia migliore o peggiore, ognuno ha la sua classifica e gusto personale, ma ci sentiamo di affermare che si tratta di un prodotto unico, diverso dagli altri.
Se la cottura è perfetta (non al sangue ma medium-rare perché il grasso deve sciogliersi), avrete la sensazione che la carne si liquefi letteralmente al contatto con la vostra lingua, e che la masticazione sia un optional.
Il sapore di carne è attenuato, mirabilmente coniugato con il grasso.
Per non essere monotematici abbiamo selezionato un menù degustazione: sashimi di manzo, foie gras, insalata, verdure (buonissime), riso, frutta, dolci (dimenticabili).
Semplici comparse. La scena è tutta sua.
Non vi meravigliate se in menù troverete solo pezzature mignon (120-160-200 grammi).
Il grasso vi saturerà talmente il palato che saranno i vostri organi recettori papillari e non lo stomaco a dire basta.
È una sensazione strana, quasi mistica, chiudete gli occhi e assaporate. Sono questi pochi attimi di goduria che spingono i gourmet di tutto il mondo ad andare in Giappone.
E noi con loro.

Sua Maestà 5A, 12 B.M.S. Kobe beef
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Sashimi di Kobe beef con riduzione di soia, zenzero, aglio e wasabi. Molto delicata, ma cotta, grazie al grasso che si scioglie, è tutta un’altra storia.
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Foie gras al teppanyaki con aglio.
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Insalata mista con dressing acetato.
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Verdure in cottura. Funghi, cipolle, melanzane, carote, asparagi.
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Close up della “Special Choice Kobe”.
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Close up della “Excellence Award winning Kobe”.
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In cottura…
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…tagliata e servita…
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…particolare. Perfetta la crosticina, suadente l’interno.
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Riso con grasso della carne, pesce essiccato e soia.
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Frutta. Molto, molto buona.
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Crème brulée, tiramisu, macedonia. Tutto ordinario.
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Mise en place al bancone.
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Ingresso del palazzo. L’ascensore vi porterà direttamente nel ristorante
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