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Vino della Pace

Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo

Il nome di questo famoso ristorante di Tokyo sembra stridere al cospetto delle mille luci del distretto di Roppongi, lì a due passi. Districarsi in quel dedalo accecante di Night Club, anche per il turista dichiaratamente assuefatto al tema, non è affatto facile: troppe le promesse di serate piccanti, troppo elevato il sospetto che gli statuari uomini dai tratti afroamericani che invitano ad entrare nel loro locale notturno siano lì solo per dispensare bidoni. Comunque la visita a Roppongi merita, senza dubbio, un paio d’ore di passeggiata: Tokyo è anche questa, e non solo.

Può capitare che in Giappone, passate le prime clamorose sbornie di godimento tra un Maestro di Sushi e l’altro, arrivi il fatidico momento in cui all’indole golosa del gourmet incominci a mancare qualcosa. E’ una sottile perversione assimilabile a una sorta di saudade gastronomica, la malinconica declinazione di un fenomeno che colpisce esclusivamente i soggetti di nazionalità italiana in trasferta all’estero da più di quattro giorni. E mai nessuno meglio del compianto Guido “Dogui” Nicheli l’ha definito alla perfezione con quel suo fatidico “richiamo dello spago che riecheggia nel ventre”.

Per carità, a Tokyo è possibile fare sublimi esperienze di cucina italiana ad alti livelli, ma quello che cercavamo dopo il rutilante giro a Roppongi era un locale d’intimità familiare. Abbiamo così seguito l’istinto (e qualche consiglio) e ci siamo spinti incuriositi di fronte a questa insegna dall’aria serafica e francescana. Il riferimento al rinomato vino friulano è molto più che un caso fortuito: il nome Vino della Pace è un omaggio convinto all’etichetta di punta dei Produttori di Cormons. Ma c’è di più.

Questa bella osteria è il regno di Kazuo Naito, distinto signore innamorato perdutamente dell’Italia, paese che ben conosce per averci vissuto tra gli anni ’80 e ’90. Esperto sommelier, ha girato in lungo e in largo la nostra penisola, assimilando la nostra cultura enoica fin al punto di decidere, una volta tornato nel 2000 nel Sol Levante, di aprire un’osteria italiana con tutti i crismi del caso. Il nome è stato quasi obbligato, vista la sua passione per quel vino e anche perché la traduzione letterale di Kazuo è proprio “Pace”.

L’interno è un susseguirsi di casse e bottiglie di vino, in ordine apparentemente disordinato, che creano la giusta atmosfera. Kazuo, in perfetto italiano, si muove con atteggiamento compassato e tipicamente nipponico, ma quando deve declamare le sue passioni è avvinto da un fervore dialettico così inusuale in Giappone ma ben conosciuto dalle nostre parti.

La carta dei vini è ovviamente il fulcro del locale, ma anche la cucina è un capitolo interessante e per niente banale. La mano precisa di uno chef dagli occhi a mandorla si sposa con il gusto profondamente italiano, senza ammiccare a questo o a quel territorio, semplicemente seguendo l’ispirazione e la bontà. Pesce, paste ovviamente, ma anche carni, succulente e ben cotte. L’insegna recita “servizio griglia” e questo la dice lunga sullo spirito del locale. Riflettendo, se date uno sguardo in una qualsiasi cucina di un ristorante italiano di livello e non vi trovate un giapponese intento a rubare con gli occhi piccoli e grandi segreti, può significare solo una cosa: forse qualcuno è appena tornato nel Sol Levante, novello ambasciatore del nostro universo culinario, ora fuso con un mondo gastronomico altrettanto arcaico e prezioso.

Come quello che è successo a Kazuo Naito, padron di un’osteria che sa di buono, in una stretta via vicino a Roppongi.

Una parte delle piccole due sale dell’osteria.
sala, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Non potevamo esimerci…
vino, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Pane, di buona qualità e fattura.
Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Maitake fritto.
maitake fritto, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Sgombro marinato ai fichi (il piatto migliore).
sgombro, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Pasta fresca al ragù di polpo.
primo piatto, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Zuppa di verdure e legumi.
primo piatto, zuppa di verdura, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Maiale e porcini: ottima la cottura della carne, morbida e succulenta.
Maiale e porcini, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Il tiramisù.
tiramisù, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo

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Là dove per noi occidentali la distinzione tra un locale e l’altro, almeno nella fascia di ristorazione medio alta, è legata alle capacità e alla personalità dello chef, nella terra del sol levante la tipologia di cucina è il vero discrimine, data sempre per scontata l’abilità del cuoco.
La scelta di lavorare esclusivamente pesce crudo e riso o cimentarsi con pastella e olio per eteree fritture, rappresenta per chi la fa una vera e propria missione da compiere. Si affina la propria abilità, quasi maniacalmente, con esemplare dedizione, giorno dopo giorno, per tutto il corso della vita lavorativa.
Di per sé questo già rappresenta una prassi a dir poco affascinante.
Che dire allora quando questo perfezionamento si risolve ancora più radicalmente nell’offerta, in pratica, di un solo piatto?
E per giunta ottenuto da una selezione operata fra le eccellenze della carne giapponese (wa-gyu)?
Qui da Aragawa dal 1967 si viene per mangiare il meraviglioso Sanda beef, del ceppo Tajima, allevato con tutti i crismi nella prefettura di Hyogo (quella della città di Kobe).
E poco altro.
Sono presenti infatti nella sparuta carta tre o quattro pietanze (per noi salmone e gamberetti, niente dolce) che hanno la stessa funzione di un gruppo di spalla in attesa del protagonista del concerto: stemperare la frenesia dell’attesa nel modo migliore possibile.
Sono disponibili solo mille capi all’anno di Sanda: una produzione limitatissima che si rispecchia in prezzi decisamente importanti.
La Sanda-gyu è offerta in tre diverse pezzature di 12, 16 e 20 once e in due diverse qualità: premium e super premium.
L’aspetto del nobile taglio, presentato prima della cottura, colpisce per le celebri venature di grasso che, generose, pervadono per ogni dove la massa muscolare incuneandosi tra fibra e fibra rendendo la carne un concentrato di tenera e succulenta bontà.
Sono disponibili almeno dieci diversi modi di cuocere la carne a disposizione degli avventori.
La scelta cade sulla medium rare che è l’opzione che garantisce il miglior rapporto fra scioglievolezza del grasso e cottura della carne. La carne viene cotta in uno speciale forno scaldato dal carbone giapponese bincho-tan.
Descriverne compiutamente l’indiscutibile squisitezza è impresa davvero ardua.
Senza ricorrere a categorie assolute e definitive ci si limita, allora, a sottolineare che assaggiare questa prelibatezza è un’esperienza.
Che, oltretutto, lascia appagati e decisamente sazi.
Il ristorante, noto da decenni, è al centro di dispute riguardanti la distinzione tra caro e costoso che lo fanno apparire di volta in volta famigerato o celebre.
Questione di rispettabili punti di vista.
E’ difficile dire se vale la pena provare questa prelibatezza qui, in questo piccolo tempio a essa dedicato, in cui le altre pietanze fungono solo da sparring partner, o altrove, dove magari qualità affini sono presenti con prezzi più accessibili.
Senza dubbio però, evitando accuratamente la tentazione di fare superficiali graduatorie con altre carni di indubbia fama non solo giapponesi ma argentine, brasiliane o americane, il ricordo della Sanda-gyu resta impresso in modo indelebile.

Sala con chef all’opera.
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Pane.
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Insalata di gamberetti.
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Salmone.
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Sanda-gyu.
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Cottura medium rare.
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Porzione.
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Targa Ristorante.
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Un gourmet in viaggio di piacere in Giappone può recarsi in questo anfratto della stazione della metropolitana di Ginza per un solo motivo: il mitico Sukiyabashi Jiro è proprio qui, sul fondo nella foto d’apertura.
Noi, però, indefessi, siamo riusciti a trovarne un altro.
Il dirimpettaio del Gran Maestro del sushi è Bird Land, uno dei mille e più yakitori di Tokyo, con una peculiarità: la Michelin lo premia con una stella.
Ristorante specializzato in spiedini di pollo.
Solo pollo in tutte le varianti possibili.
La curiosità è tanta, non solo di sushi e manzo Kobe si vive.
Seduti all’amato bancone (è uno degli aspetti più belli di un viaggio nel Sol Levante godersi a tutto tondo l’ars coquinaria), ammiriamo una splendida brace dove lo chef con un paio di aiutanti adagia e volta con precisione decine di spiedini.
Gli animali utilizzati, di razza okukuji, provengono da una fattoria biologica di Ibaraki.
La materia prima utilizzata è di buon livello, ma il nostro percorso è un susseguirsi altalenante di sapori, non un crescendo.
Si parte forte con il petto al wasabi che, in gran quantità, sovrasta la carne, pur succulenta.Il palato viene annichilito. Peccato.
Poi fegato, pelle del collo (croccante e saporita), ventriglio, salsicce, sovraccoscia teriyaki al coriandolo, coscia con porri.
Il tutto intervallato, senza un apparente filo logico gustativo, da ginkgo nuts, funghi shiitake e uova con riso.
Di parti nobili, quindi, ne avrete ben poche, le interiora la faranno da padrone, ma, a questo prezzo, è lecito pretendere di più.

Avrete la sensazione di gustare cibo di strada, come ne potrete trovare in millanta luoghi della capitale, senza una particolare spinta gustativa od emozionale, ad un costo decisamente superiore.

Non è un’esperienza esaltante, onestamente, anche se può essere un piacevole diversivo del vostro tour gastronomico; l’importante è non approcciarsi con grandi aspettative, bensì con animo disincantato, per un piacevole gioco culinario nell’universo del frequentemente bistrattato pollo.

Chef all’opera.
chef, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Appetizer: ventriglio in gelatina, peperoncini verdi, pelle laccata, funghi.
appetizer, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Secondo appetizer: patè di fegatini.
patetico di fegatini, appetizer, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Petto con wasabi (decisamente coprente).
petto con wasabi, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Fegatini.
fegatini, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Pelle del collo.
pelle del collo, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Ventrigli.
ventrigli, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Gingko (consistenza simile ai nostri fagioli, leggermente amarognolo).
gingko, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Polpette.
polpette, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Pollo teriyaki con coriandolo, perfettamente cotto.
pollo teriayaki, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Funghi shiitake.
funghi shiitake, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Coscia e porri.
coscia e porri, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Uovo a mo’ di frittata con riso.
uova, frittata, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Meloni.
meloni, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Mise en place.
mise en place, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone

Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo

Se ci fosse ancora bisogno di prove a testimonianza dell’infinita varietà di tipologie della cucina giapponese, tutte interessanti e spesso didatticamente notevoli, ecco quella, significativa, fornita da questo piccolo ristorante del residenziale quartiere di Aoyama.
Le informazioni che lo riguardano sono tutte accomunate dalla generica accezione di “cucina giapponese” e, oltre all’essere tre volte blasonato dalla Michelin, di questo locale poco altro si sapeva.
Ebbene, ci siamo trovati di fronte a una grande cucina tradizionale giapponese, che oseremmo definire casalinga per come i sapori sono presentati con semplicità quasi rustica.
Niente chirurgica efficacia dei maestri di sushi o ieratica progressione della liturgia di una tradizionale cena kaiseki, tanto per intenderci, ma una rassegna genuina e quasi terragna di sapori e ingredienti tipici giapponesi tale da dare la sensazione all’avventore straniero, qui seduto, di essere un autoctono a tutti gli effetti.
Le presentazioni, infatti, sono semplici, essenziali, spogliate da ogni raffinatezza e orpello formale, col chiaro intento di essere rivolte esclusivamente all’esaltazione del gusto, saporite come solo le grandi cucine territoriali sanno essere.
Una salsa al sesamo, un brodo di castagne concentratissimo, il tofu e la zuppa di miso eccezionali, le verdure da coltivazione biologica: sono tutti elementi che compongono un puzzle di notevole intensità gustativa.
Il locale, situato nel piano sottostradale di un edificio molto difficile da individuare, è di spazi ridotti, quasi angusti, come spesso accade nei grandi ristoranti giapponesi ed è caratterizzato da un arredamento minimale.
Una sala principale con quattro-cinque tavoli, una più intima per chi voglia mangiare separatamente e, soprattutto, un servizio commovente per gentilezza, disponibilità, cortesia e tutto quanto possa far sentire a proprio agio un cliente che, nella cultura dei giapponesi, è considerato a tutti gli effetti un ospite.
Dai sorrisi ai convenevoli, fino all’utilizzo di libri e immagini con gli ingredienti dei piatti per supplire all’atavica e strutturale carenza di qualsiasi idioma europeo, tutto viene utilizzato senza parsimonia e con riverente dedizione lasciando stupiti e quasi imbarazzati.
Per un costo, poi, davvero abbordabile, che permette di poter indirizzare qui anche l’ipotetico amico in viaggio in Giappone e a digiuno di nozioni e di specifico interesse per la cultura gastronomica di questo paese, certi che godrà di un’esperienza a tutto tondo soddisfacente.

Mise en place
mise en place, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Crostaceo con salsa giapponese cotto al forno, insalata con salsa di sesamo bianco e con salsa di uva. Ogni elemento preso singolarmente è davvero buono. Magari la combinazione del tutto è un po’ pasticciata.
crostaceo, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Sashimi di striped jack fish, zenzero e wasabi, foglia di pepe. Wasabi grattato al momento. Buonissimo.
sashimi, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Pacific saury, luccio sauro del pacifico (un pesce azzurro), rapa, rafano, salsa di soia. Sapidità spiccate, rustiche.
pacific saucy, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Castagne, panna e latte. Un po’ abbondante. Concentrazione elevatissima. Niente zucchero aggiunto.
castagna panna e latte, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Bighand thornyhead, salsa di soia, dashi, e tofu. La piacevolezza di una grande zuppa di pesce non speziata.
Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo, zuppa
Abalone fritto, pera, sesamo e bieta.
abalone, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Zuppa di miso e riso con patate, foglie di rape, mirin. Veramente ottima.
zuppa di miso, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Fichi, sciroppo di zucchero e fagioli, riso al latte. Che ve lo dico a fare.
fichi, sciroppo di zucchero e fagioli, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Tisana defaticante all’angelica, menta, ginger.
tisana defaticante, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Interno
interno, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Sala privata con tatami
sala privata con tatami, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Cucina
cucina, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo

Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo

Un ristorante giapponese in cui vietano di fare le foto?
Sembra un ossimoro, ma abbiamo sperimentato anche questo nel nostro viaggio.
Impossibile ottenere una deroga da Sensei Hachiro Mizutani.
Eppure il grande Sushi Master dovrebbe essere rodato alle pubbliche relazioni, avendo un palmarès di tutto rispetto (27imo ristorante per l’Asia best 50’s e 3 stelle Michelin).
Allievo prediletto del grande Jiro, oggi leggenda vuole che nominare il Maestro in sua presenza provochi irritazioni cutanee in lui e di riflesso nei suoi avventori.
Quando si parla di grandi interpreti del sushi, quello di Mizutani è un nome obbligato.
Tanti giovani stanno salendo alla ribalta della scena di Tokyo, su tutti Saito e il suo imprenotabile sushi bar (è l’unico della nostra lista in cui non siamo riusciti a ottenere un posto), ma mostri sacri come Jiro Ono e Hachiro Mizutani continuano a restare al top e a dividere la clientela giapponese e internazionale.
Per alcuni Jiro è inarrivabile e, nonostante il particolare trattamento a cui si è sottoposti nel suo ristorante (si cena in non più di 30 minuti), continuano a ritenerlo l’unico vero Maestro di sushi giapponese.
Un’altra fazione vede invece in Mizutani il suo faro: certamente su questo giudizio incide molto il diverso concetto di ristorazione praticato da Hachiro-san. Da Mizutani i tempi sono molto più dilatati a anche lo chef è molto più disponibile a scambiare battute con i suoi clienti (soprattutto con i connazionali): insomma, un ristorante un po’ più classico, dove rilassarsi e passare una bella serata.
Soffermandoci sul solo sushi, è abbastanza chiaro quale abbia incontrato maggiormente la nostra preferenza in questo viaggio (basta vedere le differenze di voto).
Ma di una cosa siamo assolutamente certi dopo queste diverse esperienze: le differenze tra una casa e l’altra possono essere abissali e non solo per la qualità degli ingredienti utilizzati.
Mizutani propone una idea di sushi estremamente tradizionale, probabilmente più in linea con la tradizione millenaria espressa dalla cultura e dalla cucina giapponese, con al suo centro la filosofia Kaiseki, che impone armonia, contrasti lievi, sapori tenui e molto delicati.
Parliamo del riso: quello di Sensei Mizutani è quasi scotto, compatto, farinoso, poco acidificato e di temperatura più fredda rispetto ad altri. Un abisso rispetto a quello di Jiro per esempio, molto più acido e sgranato. Ma anche enormemente diverso da quello di Kyubei, solo per citare l’esempio del suo vicino di palazzo.
Questa caratteristica a qualcuno potrebbe anche piacere, potendo rappresentare un veicolo più neutro ed adeguato alla materia prima che lo sovrasta.
Per noi non è così: abbiamo trovato molto più efficace il riso acido, compatto ma sgranato, capace di emozionare nel suo connubio mistico con il pesce.
Da Mizutani i sapori sono molto più dosati e, a nostro parere, anche l’esperienza ne risente in maniera significativa. Anche l’uso del wasabi è molto più leggero.
Quella che rimane grandissima è la qualità degli ingredienti (abbiamo mangiato qui il migliore otoro – tonno molto grasso – del viaggio). Così come le movenze ipnotizzanti di un grandissimo Maestro, che taglia il pesce e prepara i pezzi sempre e solo in prima persona: questo è sempre uno spettacolo nello spettacolo nei grandi locali sushi giapponesi che qualsiasi catena non potrà mai uguagliare.
Curioso scoprire che in Giappone hanno i nostri stessi problemi: i giovani si abituano al gusto dei fast food di sushi e non conoscono più la vera arte del sushi Master. Il sushi autentico non sanno nemmeno cosa sia e anche questo mestiere va scomparendo per i grandi sacrifici che richiede.
I danni dell’omologazione del gusto evidentemente non hanno confini.
Un buon maestro di sushi osserva le abitudini alimentari dei suoi clienti , rendendo i pezzi più teneri per chi mangia con le dita, più compatti per quelli che usano le bacchette in modo che un pezzo non si sminuzzi una volta immerso nella salsa di soia. Un buon maestro di sushi è completamente dedito al suo cliente e non delegherà mai il suo lavoro a un apprendista.
Mizutani fa parte di questa categoria, quella dei grandissimi.
Se avete una sola cartuccia da sparare, probabilmente è meglio che spostiate la mira nei sotterranei della metropolitana di Ginza, ma se avete voglia di farvi una idea più chiara di quanto variabile possa essere il sushi a Tokyo, questo è l’indirizzo che fa per voi.

Difficile, come per la gran parte dei ristoranti in giappone, trovare l’entrata.
Anche qui in un piano di un anonimo palazzo del centro di Ginza
Eccovi l’insegna, non scordatela!
Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo
L’ingresso con, sullo sfondo, i trofei…
Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo
Una foto si, ma solo sua…
Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo