Semplicemente, in Italia, un locale così non c’era.
Perché non si tratta più di avere la cucina a vista, ma di eliminare ogni barriera tra cuoco e cliente.
E se l’angolino ritagliato in sala per una piccola zona preparazione non è una novità, basti pensare ad alcuni famosi neo bistrot parigini, quello che è nuovo è vedere al lavoro una intera brigata da grande ristorante, comodamente seduti al proprio tavolo. Come se ogni tavolo della sala fosse la table du chef.
Ai frequentatori del locale parigino di JF Piége non sfuggiranno alcuni richiami, sia nell’arredo che nella proposta del menù (con gli ingredienti a scelta), così come alcune sensazioni avvertibili negli Atelier di Joel Robuchon (ma a San Zeno ci si accomoda ai tavoli, non al bancone). O ancora dettagli legati a proposte ristorative più tipiche del panorama asiatico.
Non è certo un ristorante adatto a uno chef burbero, tutt’altro: qui sarà normale aspettarsi un servizio al tavolo con annessa spiegazione del piatto da parte di Giancarlo Perbellini. E’ l’evoluzione finale di un percorso che ha visto piano piano il cuoco uscire dalla sua cucina e prendere contatto con i clienti, fatto impensabile fino agli anni 50 del secolo scorso. Ora non saranno più concesse serate con la luna di traverso perché il sorriso non si potrà negare a nessuno (e i bravi uomini di sala lo sanno bene): aspetto certamente logorante ma anche incredibilmente stimolante per il continuo e costante rapporto con il pubblico.
Il cuoco entra quindi nella scena e calamita gli sguardi su di sé.
Una sfavillante De Manincor che farebbe la gioia di ogni spadellatore: piastre a induzione, plancha, roner, forni e solo due gas. Una formula uno che romba a pieno regime.
Tante proposte dal menù, per un locale che necessariamente dovrà viaggiare a tutto gas dato l’esiguo numero di coperti (24 al massimo). Quindi c’è la possibilità di un primo turno la sera ad un prezzo agevolato (il classico pre-arena veronese), un menù più articolato con tutte le nuove creazioni della cucina (denominato “Assaggi”) e poi il “chi sceglie… prova”, con due ingredienti da scegliere tra i quattro disponibili che compariranno poi nel menù.
L’obiettivo prefissato sembra raggiunto, in quanto la sensazione è effettivamente quella di entrare e accomodarsi in una casa. E forse, col tempo, questo dettaglio potrebbe essere ulteriormente rafforzato, dando ancora più calore alla sala con alcuni accessori tipici di un salotto casalingo.
La carta dei vini è stata costruita a tempo di record e prevede una selezione di 50 vini italiani e 100 stranieri secondo i gusti della proprietà (quindi con la Borgogna a farla da padrone). Manca ovviamente un po’ di profondità di annate, ma permette già di bere molto bene.
La cucina è sempre quella di Giancarlo Perbellini, già perfettamente calata nella nuova realtà.
Una cucina che non rifugge quindi le rotondità, le dolcezze, le curve delicate. Ma sa anche dare delle improvvise accelerate, e in questa visita è stata una quaglia affumicata a farci sobbalzare sulla sedia.
Il locale è aperto da poche settimane, quindi rimandiamo il giudizio, comunque il livello della proposta è già paragonabile a quello di Isola Rizza. Cambia totalmente il contesto, e adesso non si potrà davvero iniziare una recensione scrivendo di capannoni e strade di campagna. La Piazza è quella di San Zeno e l’Arena è solo a 10 minuti di cammino.
Ci sono anche a disposizione alcune camere, per chi volesse dormire a pochi passi dal ristorante.
Una nuova sfida, moderna e coraggiosa: non può che far piacere, soprattutto in questo momento storico e economico, vedere che c’è gente che ancora ci crede e ha voglia di investire nel nostro Paese.
Cuochi ai nastri di partenza.
Il menù “in busta”.
Sfera ripiena di spritz liquido.
Tarteletta di storione.
Pancia di maiale con salsa agrodolce.
Ravioli ripieni di crema brulé al mais, caviale affumicato, panna acida, storione.
Sarà un grande classico, perché il gioco tra il mais e l’affumicatura è perfettamente riuscito.
Uovo strapazzato, spuma di patate acide, spinacini, polvere di topinambur e caramello al mandarino.
Scampo, maionese ai ricci di mare, frolla al basilico, yogurt e limone.
Il caramello al limone regala una bella profondità al piatto, la spennellata di caprino la morbidezza.
Scampo di grandissima qualità.
Spaghetti cremosi alle vongole, uovo, verza e capperi.
Ravioli farciti di pecorino, brodo alla menta e tartufo nero.
Chef all’impiattamento a mezzo metro dal vostro naso.
Quaglia affumicata, pomodori confit, pistacchio e carciofi. Piatto favoloso, il migliore della giornata. Profondo e complesso, sorprendente pur mantenendo le classiche caratteristiche della filosofia Perbellini.
Vitello in crosta di nocciola. Cottura favolosa.
Pre dessert: un mangia e bevi al cioccolato bianco con ripieno di mandarino e pera.
Dessert: una base di frolla, lamponi e poi due consistenze di cioccolato. Un dessert straordinario, da grande pasticceria.
Piccola pasticceria.
Il vino del pranzo.
La cucina.
Dettagli.
Il Perbellini è un ristorante di gran classe, uno degli ultimi rimasti in Italia, influenzata dalle Madonie alla Cozie dalle tendenze bistronomiche senza fronzoli e dal minimal radical chic.
Immergersi per qualche ora in un ambiente lussuoso e confortevole, seppur saltuariamente, ci fa ancora sentire bene, sospesi tra onirico e reale.
Curato nei minimi particolari l’arredamento, improntato alla grandeur francese, in stile Luigi XV, servizio coordinato dalla Signora Paola pressoché perfetto e cliente coccolato a tutto tondo, dal suo arrivo al congedo. Sommelier e cantina di pari passo.
Poi c’è la cucina, la ragione primaria del nostro viaggio ad Isola Rizza.
A Giancarlo Perbellini va riconosciuto il grande merito di essere stato il capofila, insieme al troppo spesso dimenticato Elia Rizzo, dell’alta cucina veneta.
Da venticinque anni nelle sue cucine vedono la luce creazioni che hanno fatto la storia della ristorazione italiana: il sontuoso “colori e sapori del mare” a cui oggi è dedicato un intero menu degustazione, “skampandoooooo”, viaggio didattico intorno allo scampo, il “wafer di branzino” ed in ultimo la riscoperta dello spiedo.
Non dimenticando la millefoglie strachin, senza tema di smentita la migliore in Italia.
In queste sale si è scritta la storia della ristorazione nazionale e di questo il bravo Giancarlo deve andare fiero.
Negli ultimi tempi, però, abbiamo notato una lieve stanchezza, poca incisività ed una deriva dolce, da sempre la cifra stilistica di questa cucina, ancor più accentuata.
Ci è apparsa una proposta meno in linea con i tempi, sebbene mantenga fermi i suoi capisaldi.
Lo stampo classico, di chiara ispirazione francese, è sempre lo stesso, le salse sono splendide, le cotture anche, ciò che è mancato è il collegamento tra “vecchio” e “nuovo”, non sempre allo stesso livello.
Gli gnocchi alla romana ad esempio, dolci ed allappanti, privi di consistenza, quasi monocorde, non facilitano l’ accesso palatale alle carni.
Dalla sopa coada di grancevola ci saremmo aspettati maggiore incisività, ma scivola via senza graffiare.
O l’anatra in cui, per il gioco di texture, avremmo preferito qualcosa di diverso (ed in quantità minore) dalla mollica di pane croccante.
Per altro verso, le vette ci sono state, altroché.
Scampo, piselli e agrumi è un antipasto di impatto estetico meraviglioso oltre che di finissima classe, reso vibrante dai lievi toni acidi.
Il foie gras allo spiedo, con sale Maldon, bruscandoli e asparagi selvatici è degno delle grandi tavole, giocato com’è sull’equilibrio sottile dell’amaro, invero una rarità tra questi fornelli.
Finale dolce pirotecnico con decine di piccole creazioni di pasticceria sopraffina, ma il carrello ci manca, eccome se ci manca…
Da Perbellini torneremo spesso, come sempre, ed il piacere sarà grande, nonostante le incertezze riscontrate.
Uova, asparagi e shiso.
Acciuga del Mar Cantabrico caramellata, menta. La materia prima è paradigmatica, con buona pace della “mia” Cetara.
Il wafer al sesamo, con branzino e liquirizia. Il mito non necessita commenti.
Scampo, agrumi e piselli. Un quadro, bello e buono.
“Come la sopa coada” di granceola. Crema di pomodoro calda, spuma di spinaci, grancevola e crostino.
“Sushi di maccheroni” e gamberi rossi al pesto di alga nori. Un’insalata di pasta fredda orientaleggiante.
“Gnocchi alla romana”. Spuma. Allappante.
Petto rosa d’anatra su gratin al prezzemolo, polvere di lamponi e olive disidratati. Non abbiamo amato il pane, ridondante.
Foie gras allo spiedo con bruscandoli, asparagi selvatici e sale maldon. Ce lo sogniamo di notte.
I formaggi.
La “piccola” pasticceria. Trionfo glicemico.
Gelato alla vaniglia.
Ancora piccola pasticceria. Giocare diverte, anche da grandi.
Esotico: mango, passion fruti, yogurth, cocco. Acido e rinfrescante.
Nocciole, cioccolato salato, gelatina di cognac.
LA Millefoglie Stachin. Orgoglio della casa.
I vini che ci hanno fatto compagnia.
Tapas, Pintxos, Cicchetti, Rubitt: chiamiamoli come vogliamo, le differenze indubbiamente ci sono ma la sostanza non cambia molto.
Un modo semplice e veloce per mangiare qualcosa di sfizioso, in maniera molto versatile: non c’è ora per una tapas e una birra fresca, non bisogna avere necessariamente fame… o anche sì. Si può fare un aperitivo, uno spuntino pomeridiano o anche una cena completa.
Ecco un locale veronese di fresca apertura dove trovare delle tapas fatte come si deve.
TapaSotto, un gioco di parole legato alla collocazione, nella Galleria Pellicciai a fianco della Pizzeria Du De Cope e a pochi passi dalla Arena di Verona.
Il Deus ex machina è sempre lui: Giancarlo Perbellini, all’ennesima avventura dopo l’apertura della Locanda Quattro Cuochi.
La città si presta alla ristorazione veloce e informale: per un classico pre o post-teatro questo locale è perfetto. Qualche tavolo all’esterno e poi dentro un tavolone alto con sgabelli e dei tavolini dove mangiare con più calma. C’è la birra di 32 Via dei Birrai, ci sono i vini al calice, anche qualche bottiglia importante per chi avesse voglia di stappare pesante.
Un piatto del giorno di cucina espressa e poi tanti piattini da ordinare fino a sazietà.
Grande qualità: notevoli la battuta di cavallo, le polpette al sugo, il gazpacho ma tutto veleggia piuttosto alto. Ovviamente i dessert non mancano: c’è anche la celebre millefoglie Strachin.
Solo le tartine non ci sono piaciute, forse più indicate per un aperitivo in piedi, ma in ogni caso non al livello del resto.
Servizio giovane, preparato e allegro: quello che ci vuole per un locale così.
Chissà se il pubblico italiano accoglierà la proposta come merita: il target di riferimento è ancora piuttosto giovane, ci sarà da lavorare per allargarlo a una clientela più adulta. Nei Paesi baschi ad esempio questi locali sono frequentati da tutti, giovani e meno giovani, famiglie o gruppi di amici. Una bella scommessa da giocarsi sul campo.
Vista la caratura dello chef proprietario, sarebbe ottimo un ampliamento della quota dei piatti espressi. Chissà, magari anche tapas di pasta. O secondi in miniatura della tradizione italiana.
Abbiamo ancora impresso nella memoria un Pintxo straordinario mangiato nel centro di San Sebastian, una guancia brasata con il purè: conosciamo un altro chef famoso proprio per lo stesso piatto…
Una partita a carte nell’attesa?
La carta
Tartine…
…e birra!
Carne di cavallo (davvero morbida e gustosa)…
…e carne di manzo
Catalana di burrata: buonissime le verdure, meno saporita la burrata
Gazpacho: molto buono, essendo sifonato risulta pieno d’aria e leggero
Polpette al sugo: da scarpetta
Millefoglie Strachin
Sfogliatina, zabaione e frutti di bosco
Panna cotta con fragole
Meringata, yogurt e pesche