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Gong

Milano, città metropolitana, non è esente da contaminazioni.
Ci sono i ristoranti cinesi di qualità, quelli invece travestiti da originali ma banalmente relegati a mangiatoie all you can eat, e quelli invece che cercano di interpretare una nuova via gourmet con contaminazioni efficaci. Alcuni li chiamano Fusion, molto spesso sono più confusion.

Ecco un’oasi felice a Milano: il Gong. Iniziamo con il dire che questo ristorante fa parte dell’impero della famiglia Liu, già noti per il primo stellato giapponese-fusion d’Italia, IYO, e per il rinomato BA Asian Mood. Gong si definisce prima di tutto ristorante cinese, ed è singolare che in cucina abbiano deciso di mettere un cuoco giapponese, Keisuke Koga. L’esatto contrario di ciò che viene fatto nella stragrande maggioranza di pseudo-giapponesi sparsi per tutto lo stivale.

Ristorante cinese sì ma, come recita l’incipit, con attitudine orientale. Che di fatto si traduce in un sounding asiatico che mischia tecniche, preparazioni e ingredienti, anche occidentali, finalizzati a quel melting pot positivo di influenza orientale che si cataloga sotto il termine Fusion.
Che, dobbiamo dire, al Gong è declinato in maniera egregia: qualità della materia prima, ambiente curato, servizio ben gestito, piatti di qualità. Un posto da consigliare certamente, che ha fatto un rodaggio lungo e forse un pochino difficile e contorto -non sono mancate le critiche in questo anno abbondante dall’apertura- ma che oggi troviamo fresco, vivido e luccicante.

Qui potrete gustare una cucina corretta, ben calibrata, con buona qualità degli ingredienti. E trascorrere una serata all’insegna del Fusion più profondo e vero, lasciando alle soglie il “confusion” che regna sovrano in molti altri locali della città.

Dai dettagli si scorgono le differenze: in questo stra-abusato amuse buche di impostazione cinese si comprende la differenza tra Gong e molti altri locali sui generis.
amuse buche, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Amuse bouche del giorno: dorayaki al the verde, foie gras marinato al miso e soia, contrasti. L’avremmo visto molto meglio come pre-dessert, comunque interessante.
amuse buche, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Tartar exotic: tartare di gambero rosso Mazara del Vallo con salsa al mango e basilico shiso.
Tartar exotic, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Dim Sum sushi style…
Dim Sum, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Hamachi in cupola di fumo: ricciola del Pacifico servita con insalata crescione e affumicata istantaneamente sotto cupola di vetro.
Hamachi, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Dim Sum composta: misto di ravioli al vapore con zafferano, nero di seppia, verdure, barbabietola rossa e gamberi.
Dim Sum, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Raviolo Wagyu: raviolo ripieno di Wagyu (A5) con salsa al foie gras e tartufo.
Raviolo Wagyu, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Continua…
Raviolo, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Riso Gong style: riso venere saltato con salsa Xo, polvere di gamberi secchi e filamenti di patate croccanti.
riso, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Il nostro compagno di viaggio…
vino, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Black Cod: carbonaro nero d’Alaska al forno con salsa al miso.
black Cod, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Peking Duck (Canard): anatra alla pechinese servita con pancake cinesi, julienne di cetriolo, carote e porro.
peking duck, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
pancake, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Pancake, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Semifreddo al Bergamotto: quenelle di semifreddo al bergamotto, crumble al cioccolato e cannella, crema di Dulcey, fragole semicandite agli agrumi.
semifreddo al bergamotto, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Gong, Keisuke Koga, Fusion-Oriental, Milano

Nell’era del 2.0 è invitabile: chiunque tra noi, appassionato o no, prima di recarsi in un ristorante -ma non soltanto- dedica un più o meno rapido sguardo al suo sito web, in bilico tra voyeurismo, ricerca di informazioni e pura curiosità.
Ed il sito di Sushi B, proprio in termini voyeuristici, è quanto di più chiaro possibile: senza che sia dato sapere dove finisce l’ambizione e inizia il SEO, il titolo della pagina recita testualmente “Il miglior ristorante di Sushi Giapponese di Milano”.
Semplice e diretto.

Con questa premessa ci rechiamo da Sushi B sinceramente incuriositi, certi di un’esperienza gastronomica quantomeno degna di nota.
Ci accoglie un ambiente letteralmente da sballo, in una delle vie più charmant del centro di Milano, via Fiori Chiari: non nel quartiere Brera ma letteralmente in Brera, a cinquanta metri dalla Pinacoteca, proprio di fronte a quella che fu l’abitazione/studio di Piero Manzoni.
Pochi scalini e sarete avvolti in un ambiente estremamente di tendenza, all’interno di uno spazioso dehors con un ampio giardino verticale, numerosi tavoli ed un grande banco bar, per un aperitivo o un drink after dinner.
Entrando dalla porta sulla sinistra, l’aspetto da lussuosa boutique se possibile si accentua ulteriormente, tra vetri e specchi, marmi e laccature nere, luci anche troppo soffuse e impeccabili divise del personale.

In bagno, uno spettacolare Washlet di Toto ci dispone al meglio quanto a tasso di orientalità, ed invece quest’ultimo si rivelerà, purtroppo, la cosa più giapponese che troveremo tra queste mura.
Senza girarci troppo intorno, non solo non ci troviamo di fronte al miglior ristorante giapponese della città ma, a dirla tutta… in realtà non ci troviamo nemmeno in un ristorante giapponese in senso stretto.

Quella di Sushi B è un’interpretazione di cucina fusion fortemente contaminata, tanto da arrivare a offuscare completamente la sua base di partenza. Piatti -sotto l’aspetto meramente gastronomico- corretti e piacevoli, ottenuti partendo da materie prima di buona qualità, ma snaturati al punto da risultare decontestualizzati ed insensati in qualsiasi ottica, privi di mordente, di stimoli, di anima.

E anche volendola inquadrare come fusion, questa cucina mostra il fianco alla prima ripresa, non operando per valorizzare piatti e materie prime del Sol Levante, bensì limitandosi a mixare, senza profondità, ingredienti dalle origini più disparate. Esempio perfetto il sushi, nel nostro caso davvero basico: riso troppo freddo, dal punto di cottura leggermente oltrepassato, senza acidità né alcun altro contrasto, con del pesce di buona qualità ma totalmente annichilito dal topping in aggiunta, in ordine sparso tartufo, foglia d’oro, caviale e foie gras.
Un paradigma di purezza orientale, il nigiri, travolto e inghiottito dalla voglia di stupire e strafare.

E così, tra il sushi non all’altezza ed un sigaro di pasta fillo davvero banale, il migliore dei piatti del menù Omakase creativo (suggeritoci dal cameriere come scelta consigliabile, nonché fiore all’occhiello della proposta del ristorante) risulterà la pancia di maiale con verdure croccanti. Un piatto sicuramente valido, anche se non propriamente quel che ci si aspetterebbe all’interno di un Omakase… men che meno poi se le aspettative -questa volta indotte- erano da miglior Giapponese di Milano, ed il conto è comunque parametrato ai medesimi ambiziosi livelli.

Il benvenuto: Pesto di Shiso, tagliatelle di Konjac, pinoli tostati. Sfizioso, buon inizio.
benvenuto, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
I cocktail, davvero eccellenti non solo se rapportati alla media dei ristoranti, ma anche ai cocktail bar di grido.
Il Milano-Tokyo…
Cocktail, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
…e lo Shinkansen, notevole. Gin Jinzu, Junmai Ginjo, Limone, Acqua al Lemongrass, Agave, Shizo.
Shinkansen, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
La prima portata: Cappesante, gamberi di Mazara, spuma di yuzu, caviale. Buona qualità delle componenti, buona dosatura di acidità: l’inizio è convincente.
capesante, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Tonno, Salmone e Ricciola Gunkan, con maionese all’avocado. I tre sashimi, scottati all’esterno, sono riempiti delle loro uova.
tonno, salmone, ricciola, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Salsa di barbabietola, scampo scottato, carpaccio di barbabietola, sashimi di ricciola, olio al tartufo.
scampo, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Sigaro di pasta fillo con sarde, patate e basilico giapponese, polvere di pomodoro e sale Maldon.
Un briouat, tipico della cucina marocchina (?), non croccante, eccessivamente unto e dalla farcia poco incisiva.
sigaro di pasta fillo, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Il sushi creativo: Scampo (con olio al tartufo, disturbante già al naso alla presentazione del piatto), Ricciola (con caviale), Salmone (con uova di salmone), Branzino (con uova di merluzzo), Toro (con foie gras).
sushi creativo, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Ostrica cotta nel burro di Normandia.
ostrica cotta, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Pancia di maiale, verdure croccanti, salsa di topinambur, salsa teriyaki. Ottimo piatto, con annesso momento di sommessa ilarità per un lapsus del cameriere nella presentazione, testualmente “…il topinambur è una sorta di tubero giapponese…”.
pancia di maiale, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
Predessert: Chantilly con spuma al caffé.
predessert, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
I dessert, in linea con il rapporto forma/sostanza del resto della cena: dall’impiatto curato, dai molteplici ingredienti, ma alquanto basilari nel gusto.
“Come un pittore”: Crumble di cacao, meringa, cioccolato bianco, sorbetto all’uva fragola, salsa alla lavanda.
dessert, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano
“Terra bruciata”: mousse al cioccolato, spuma di fagioli Azuki, sorbetto al cioccolato e ganache di cioccolato affumicato.
terra b bruciata, Sushi B, Nobuya Niimori, Brera, Milano

Da circa dieci anni Yoshiaki Takazawa si è ritagliato, nella formidabile offerta gastronomica della capitale nipponica, uno spazio la cui rilevanza è inversamente proporzionale alla dimensione del locale. Uno spazio minimo, per 8 fortunati (all’inizio, quando il ristorante si chiamava Aronia di Takazawa, erano addirittura 4), che è pero visibilissimo su guide, riviste specializzate e sulla bocca di tanti appassionati.
La spiegazione è presto data: Takazawa propone una cucina molto personale, di impostazione occidentale ma con ingredienti e precisione della tecnica tutti locali e indirizzati alla perfezione del risultato finale. La massima espressione possibile dell’idea di “fusion”, purtroppo frequente lasciapassare per superficiali commistioni di idee di cucina mal comprese.
Niente di tutto ciò da queste parti: nulla è lasciato al caso, la ricerca della materia prima è maniacale, la capacità del cuoco è sopraffina e, almeno in parte, trasparentemente mostrata perché lo chef cucina in larga parte su un proscenio splendidamente illuminato.
L’offerta è fatta di diversi menu degustazione, più o meno estesi, tutti contenenti la data di creazione dei piatti, abilmente combinati per offrire una combinazione dei classici della maison e delle novità.
Non c’è un solo passo falso e ci sono alcune vette che resteranno a lungo nella memoria, per intensità dei sapori e loro armoniosa combinazione; un luogo, dunque, sicuramente capace di dare gioia a ogni appassionato.
Basterebbe la paradigmatica ratatouille, in carta da sempre e già descritta anche da queste parti nella precedente visita, o lo scenografico maccarello affumicato a dare testimonianza del livello di finezza proposto. Fa piacere, però segnalare l’omaggio al mediterraneo nel folgorante vegetable parfait: un delizioso, delicatissimo, gazpacho sormontato di spuma di mozzarella al parmigiano, salsa al basilico, caviale e foglia di basilico fritta.
Se proprio ci si deve sforzare di trovare un limite a un ristorante di questo livello è nel contesto in cui si colloca la proposta. Tokyo è una città dove non basterebbero dieci vite a sperimentare tutte le meraviglie della cucina giapponese che vi viene proposta; Takazawa è, probabilmente, la meno giapponese delle grandi tavole che abbiamo avuto la fortuna di provare da queste parti e la più vicina, per molti aspetti, a esperienze accessibili più facilmente in Europa.
Il servizio, affidato a madame Takazawa è esemplare per cortesia, calore e, raro da queste parti, per il buon inglese utilizzato nella descrizione dei piatti.
Il commiato alla porta, con chef e signora che ringraziano come da tradizione locale è piacevolmente malinconico, pensando alle due ore di serenità e piacere appena passati e alla distanza da casa di questo luogo di civiltà.

PS: a pochi passi dal ristorante, non perdete le delizie della pasticceria Libertable del bravissimo Kazuyori Morita, degna di paragone con i grandi transalpini: valgono il viaggio in questo bel quartiere, quale che sia la zona di Tokyo in cui vi troviate, anche se non avrete trovato posto da Takazawa…

Ostrica di impressionante qualità, con spuma al limone.
ostrica, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Primo amuse-bouche: minestra, ottenuta dalla sferificazione delle tre componenti, da mangiare in un sol boccone.
amuse bouche, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Lecca lecca di provolone gratinato: il “provolone” è in realtà proveniente da una fattoria dell’isola di Hokkaido, di proprietà di un produttore appassionato della nostra specialità
lecca lecca di provolone gratinato, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
La deliziosa ratatouille, boccone da re.
ratatouille, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Un po’ di pane e grasso di maiale per placare la fame in attesa del prosieguo.
pane e grasso di maiale, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Il piatto della serata: vegetable parfait.
vegetable parfait, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Potato and butter: la ricostruzione di una patata in una pasta di pane ripiena di patata al burro e tartufo; gourmandise chic.
potato and butter, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Bouillabaisse: rilettura in salsa locale del classico marsigliese, intensissima nel sapore anche se meno bella del resto.
bouillabaisse, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Nanakusa: la rilettura di un classico locale. 7 erbe, che ci parlano dell’arrivo della primavera, in fogge e presentazioni diverse, abbinate a un delizioso maiale (anche il maiale in Giappone ha una classificazione legata alla qualità, e questo era del primo livello della classificazione stessa).
nanakusa, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo
Special Camembert: in realtà una eccellente cheese cake, accompagnata da una fragola dall’intensità di gusto trovabile solo da queste parti. Molto buono ma tutto sommato un esercizio di stile.
camembert, Takazawa, Chef Yoshiaki Takazawa, Tokyo

Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia

Di Hiroki Yoshitake e del suo Sola (“cielo” in giapponese e non fregatura in romanesco) avevamo parlato già anni fa, individuandolo come una delle aperture più interessanti in una Parigi già in piena bistronomie.
Lo chef, dopo un lungo apprendistato in Giappone (suo maestro Hiroyuki Sakai, star televisiva come “iron chef”) è partito in giro per il mondo per arrivare finalmente in Francia, suo obiettivo originario. Qui fa il suo apprendistato in cucine prestigiose e stimolanti (Astrance, Ze Kitchen Galerie, l’ormai negletto alla stampa italiana Magnolias di Jean Chauvel, grande promessa di una decina di anni fa) prima di stabilirsi a Singapore.
Insoddisfatto dell’avventura del suo locale, non ha resistito alle lusinghe di Youlin Li, imprenditore franco-tunisino e sino-cambogiano al tempo (una fusion vivente) che aveva avuto modo di apprezzarne le doti in passato e che già aveva lanciato locali asiatici di successo nella Ville Lumière (Guilo-Guilo su tutti).
Il Sola è nato così, nei locali del vecchio Toustem della Darroze, riorganizzati mantenendo la sala superiore in uno stile tutto rustico “vecchia Parigi” (piuttosto incongruo con la cucina) e ammodernando quella inferiore in perfetto stile nipponico.
In questo contesto, lo chef propone la sua idea di cucina: una rilettura sapiente della grande cucina francese in una chiave leggera e arricchita dall’uso di presentazioni e ingredienti non necessariamente transalpini. Con esiti davvero notevoli per finezza, pulizia, nettezza dei sapori, in cui è facile ritrovare i paradigmi ispiratori (soprattutto Barbot e Ledeuil abilmente meticciati).
Cucina piacevolmente raffinata, dicevamo, proposta a prezzi formidabili (48 euro a pranzo per un menu di 4 portate più amuse-bouche e petit fours; 98 la sera per il menu più ricco), accompagnata da impeccabile carta dei tè (per noi un prezioso Gyokuro) o da una stimolante carta dei vini, molto ben pensata e prezzata in maniera introvabile a Parigi in locali di questo livello.
In un pranzo tutto notevole, le punte sono state la sogliola con declinazione di cavoli, dalla cottura millimetrica e una rilettura davvero indimenticabile del tiramisù (delle mille versioni provate in giro per il mondo, di una spanna la più bella e la più buona. Un grande applauso al pasticciere, Hironobu Fukano).
Non è il locale di cui si parla di più a Parigi: meglio così, trovare posto non è impossibile e ne vale davvero la pena.

Il tè, servito in bellissime tazze

Eclair con foie gras caramellato e crema dauphinoise. Perfetta la consistenza dell’éclair, ottimo l’insieme
Eclair, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia
Carpaccio di orata con finocchio, pompelmo e salsa al pompelmo. Pompelmo un po’ coprente, non esalta l’ottima qualità della materia prima
Carpaccio di orata, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia
Raviolo di poulet de Bresse in brodo, con radicchio, rapa e tartufo nero. Quando la cucina “fusion” ha un senso.
Raviolo di poulet de bresse, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia
Sogliola con declinazione di cavoli, piselli e salsa agli spinaci. Un grandissimo piatto, che non ci stupiremmo di gustare da Barbot
Sogliola, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia
Piccione, petto e coscia con radicchio. Realizzazione impeccabile e bella presentazione (meno cruenta della moda attuale, ma bene così…)
Piccione, petto e coscia, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia
Rilettura del tiramisù. Un esempio di grande pasticceria: bellissimo, contrasti di consistenze e temperature, leggerezza e zucchero in giusta quantità. Da applauso.
Tiramisù, Restaurant Sola, Hiroki Yoshitake, Parigi, Francia

Iyo è l’abbreviazione del termine “UKIYO”, traducibile in italiano con “mondo che fluttua”, espressione con la quale veniva metaforicamente invocata qualsiasi forma d’arte della seconda metà del diciassettesimo secolo a Edo, ovvero Tokyo, in cui imperavano gli archetipi di mondo evanescente e bellezza fugace.
Praticamente a metà strada tra Corso Sempione e Chinatown, è il ristorante di punta della famiglia Liu, bravi e concreti ristoratori cinesi a Milano da molti anni che gestiscono con garbo, cura e professionalità questo ristorante che propone una “seria” cucina di stampo prevalentemente nipponico, con alcuni sprazzi di mediterraneità, per una proposta fusion sorprendentemente integrata con le tradizioni nostrane.
Sebbene i Liu si siano fregiati del Ba Asian Mood, un altro fiore all’occhiello nel panorama etnico cittadino -dove si può trovare una cucina cantonese contemporanea molto distante dai tanti ristoranti cinesi vecchi e stantii della città- Iyo resta decisamente il ristorante più importante della famiglia. Un posto sul quale si è investito tanto e che sta avendo un considerevole tornaconto economico, riscuotendo consensi non soltanto da parte del pubblico.
Sempre al completo a cena, quasi sempre anche a pranzo. Un successo da individuare, in primis, nella costante voglia di migliorarsi per raggiungere livelli che, in questo ambito di proposta, sono, anche in una città cosmopolita come Milano, ancora una rarità.
La prima volta che ci mettemmo piede, circa quattro anni fa, il locale era strapieno, ma la cucina ci era apparsa come una fotocopia (con)fusion del ristorante modaiolo giapponese con proposte di sushi e roll abbastanza occidentalizzate, come se ne trovavano a centinaia.
L’evidente evoluzione riscontrata nel corso degli anni è partita da una significativa ristrutturazione dei locali tecnici che hanno visto l’ampliamento della cucina e l’installazione di un angolo dedicato al robatayaki, con braciere a vista, per preparazioni da tradizionale barbecue giapponese. Ma la peculiarità di questo locale sta proprio nella diversa offerta “fusion” che fonde la tradizione asiatica con quella del Bel Paese, risultato dell’azzeccata collaborazione tra Lorenzo Lavezzari (cuoco ai fornelli) e l’esperto Haruo Ichikawa (che officia il banco crudi e coordina i sushi men), tra i quali è avvenuto un prezioso scambio di idee gastro-culturali che hanno dato un impulso qualitativo e distintivo alla cucina.
Un’idea della stessa è riassunta nel piatto “To.Ca.Mi”, concepito a quattro mani e vincitore del premio della critica al “Girotonno 2013”, importante manifestazione che si tiene in tarda primavera a Carloforte. Una preparazione evocativa incentrata sulla preparazione del tonno rosso in tre luoghi: si parte con la purezza del nigiri con wasabi e del tonno scottato in omaggio a Tokyo, città natale di Ichikawa, si passa a Carloforte, uno dei luoghi simbolo della mattanza, con la tartare con agrumi e si chiude con una interpretazione fusion – in omaggio ai gusti cittadini della metropoli lombarda – con la ventresca scottata, anguilla grigliata, salsa teriaki e pasta kataifi croccante. Un breve ma didattico viaggio intorno al pesce più inflazionato del Mondo, in una interpretazione che non ci ha comunque lasciati indifferenti.
I “kobachi”, ossia gli antipastini dello chef, restano le preparazioni che meritano più attenzione rispetto a sushi e sashimi che denotano, comunque, una buona qualità del pescato. Buoni anche i ramen, fatti in casa, e ben eseguiti gli yakitori.
Lascia sorpresi in positivo anche il reparto dolciario, fino a poco tempo fa commissionato in toto al mediatico Ernst Knam ed ora in fase di ulteriore sviluppo, con il pasticcere tedesco che si limita ad una consulenza che supervisiona e migliora le idee degli chef.
Ci piace Iyo, ci piace per la costanza, la professionalità, ma anche perché è uno dei migliori ristoranti giapponesi che ci sono in Milano.

Banco sushi all’opera.
sushi, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Il primo kobachi: capasanta tar tar. Carpaccio di capasanta marinata alla soya con pomodoro e yuzu.
kobachi, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Il To.Ca.Mi.
tocami, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Freschissimo scampo marinato al frutto della passione.
scampo, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Una selezione di gunkan (i sushi bignè):
Iyo style, con salmone all’esterno, uova di quaglia, ikura, erba cipollina, tobiko; zucchina scottata all’esterno, tartare di gambero, tobiko, maionese.
gunkan,Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Qualche nigiri per testare temperature del riso e materia prima. Esame superato.
nigiri, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Interessante la preparazione degli udon. “Yaki soba”: spaghetti di grano saraceno con gamberi e verdure nel quale l’intrigante tocco affumicato del katsuobushi conferisce una bella vivacità.
udon, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Uramaki con tempura di fiore di zucca, tonno e salsa al wasabi, meno interessante del resto.
uramaki, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Correttamente eseguito lo Yakitori, spiedino di pollo alla piastra con salsa teriyaki.
yakitori, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Interessante e fresco il dessert, molto occidentale: gelatina al mango, panna cotta al frutto della passione e persistente cannolo allo yuzu.
dessert, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Una statua all’interno.
statua, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Dettagli.
dettagli, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Ingresso.
ingresso, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano