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Piazza Duomo

Non so come riescano molti miei colleghi ad incastrare consulenze, nuove aperture e collaborazioni. Per me già è dura gestire come vorrei primo piano e pian terreno…
Questa sincera frase, un passaggio di una veloce chiacchierata con lo chef, racchiude l’essenza di Enrico Crippa e del suo Piazza Duomo: massima dedizione, estrema passione, duro lavoro.
Poco spazio a tutto ciò che non poggia su un piano in inox, nessuna distrazione da quello che è il suo focus principale: la perfezione.
Nonostante le ragguardevoli dimensioni della “macchina” Piazza Duomo, quello di Crippa è un approccio decisamente poco executive, ma molto, molto chef: ore ed ore passate in cucina a pensare, a provare, a riprovare, a migliorare, a lavorare. Giorno dopo giorno, tutti i giorni.
Senza mai deconcentrarsi.

Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba

Certo, la famiglia Ceretto alle spalle è in grado di assicurare una notevole stabilità, questo è fuori discussione. Ma non ci si nasconda dietro un dito: è sufficiente guardare negli occhi Enrico mentre racconta i suoi piatti, o solamente sedersi alla sua tavola, per capire in tempo zero che l’unica cosa che a lui davvero interessa, oltre la bicicletta, è l’assoluta, completa e totale riuscita delle sue creazioni.
Non bene, non ottimo, ma solamente il meglio, il massimo.
Non un lavoro ben fatto, ma fatto nel miglior modo possibile.
Oggi. E domani si lavorerà per migliorare, ancora ed ancora. Per ogni singolo giorno.

Go hard or go home”, per dirla in maniera yankee. Nel caso di Crippa, che unisce invece concretezza e tangibilità brianzole ad un pragmatismo ed un rigore ereditati dalla formazione giapponese, potremmo interpretarla più come “non conta essere bravi, ma soltanto i migliori”… e tirando le somme del nostro pranzo, è questa la miglior definizione possibile per Piazza Duomo.

Piatti che non escono dal pass con la voglia di sorprendere, stupire, di “schiaffeggiare” il cliente. Non nascono con la volontà di essere ricordati, o con il solo fine di fare breccia nel cuore dell’appassionato.
Sono la naturale conseguenza di uno studio ed un lavoro maniacale, sono la trasposizione gastronomica delle ossessioni di un perfezionista.
Rigorosissimi nella concezione, nella realizzazione, nel cromatismo ed altresì nell’impiatto, recentemente parecchio evolutosi verso il rigore e la pulizia.
Ma non è soltanto questo il punto, ovviamente.
L’assaggio, travolgente, coinvolgente, di precisione e pulizia a tratti imbarazzanti, si rivelerà ben oltre i “soliti” concetti di equilibrio, concentrazione, definizione, piacevolezza. La sensazione dominante di tutto il pranzo è quella di una perfezione a tratti onirica, come se ogni singola portata fosse realizzata nell’unica e sola maniera possibile: la migliore.

E’ la sorpresa che lascia il posto all’emozione.
L’attitudine che si fa da parte, in favore del genio.
La consapevolezza, che subentra all’azzardo.

E questa strabiliante disciplina, questa sezione aurea gastronomica, non viene percepita saltuariamente, due o tre volte, ma si presenta con la prima portata e rimarrà con voi a lungo, ben oltre le innumerevoli portate servite, come un unico sorprendente e lunghissimo fil rouge.
E’ questo ciò che strabilia, che stupisce, che colpisce nel profondo.
La sensazione preminente non è quella di esser di fronte ad un talento istintivo o improvvisatore, ma è più volta ad una ricerca mirata, a un’immane opera di estrapolazione dell’essenza dell’ingrediente a favore della riuscita del piatto. Un gran lavoro di ricerca svolto sulla sfera vegetale, ma per il quale non è possibile parlare di “svolta”, bensì di una naturale evoluzione di pensiero; non una sterzata netta, ma una progressione continua e graduale.
Al contempo però, c’è una capacità atavica, profonda ed istintiva di adattarsi alla situazione, riuscendo a presentare piatti meravigliosi anche “a braccio”, in funzione dell’offerta o della necessità giornaliera.
E queste due anime non convivono pacatamente nella stessa cucina, ma sono due facce della medesima medaglia, certo in simbiosi ma in chiara e continua competizione, in grado di offrire il massimo, ambedue ai vertici delle rispettive categorie.
Predisposizione naturale, sorprendente talento, costante e continuo studio e tanta, tantissima cognizione, senza il minimo servilismo, senza adulazione, effetti speciali o secondi fini, pressioni, oppressioni, doveri, né dogmi da rispettare. Solo cucina, nel senso più nobile del termine.

E se all’altissima espressione culinaria andiamo a sommare una meravigliosa gestione della sala, con un personale giovane ma spigliato, dalle movenze nonché dalle piccole attenzioni di grandissima scuola, senza la minima ingessatura, imposizione o forzato classicismo, ma con la volontà di offrire un servizio oltre il servizio, con il sorriso sincero e un piglio deciso, ecco lo Zenith, la chiusura del cerchio di un’esperienza rivelatasi davvero illuminante.

In un momento affollato, confuso ma soprattutto profondamente inflazionato per la ristorazione, certezze come questa sono fondamentali per il nostro paese. Si riparte con addosso la voglia di tornare, magneticamente attratti dalla piazza principale di Alba, attuale baricentro dell’alta cucina italiana.
Nel suo complesso, Piazza Duomo è oggi il miglior ristorante d’Italia?
Per noi è così, senza il minimo dubbio.

Dettagli della sala, con gli affreschi di Francesco Clemente.
sala, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Una sottile e quasi impalpabile farinata di ceci, per iniziare.
farinata di ceci, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Una bella sequenza di amuse bouche, tecnici e piacevoli, per iniziare a sintonizzarsi:
Finte olive,
Royale di miso,
Spuma di ginger, mais croccante e foie,
Barbabietola, aringa e mousse di panna affumicata.
amuse bouche, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
barbabietola, aringa e mousse, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
I grissini, con strutto e farina di mais.
grissini, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Pak Choi, semi di sesamo, alghe e pesci essiccati. Si inizia a fare sul serio, con dei germogli di pak choi appena intrisi nel mix di furikake, alghe e semi di sesamo. Terra, umami, freschezza, aromaticità, oriente.
Pak Choi, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Pioppino, pomodoro, olive. Si rientra prepotentemente in Italia, con una mirabile concentrazione di decisi sapori. Bella la viscosa tenacità del pioppino, che impegna la masticazione e allunga la persistenza dell’insieme.
pioppino, pomodoro, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Tetragonia e pasta di limoni salati. Fresco, amaro, acido e sapido, bilanciatissimo, con tre grammi di materia, forse quattro, da mangiare con le mani.
tetragona e pasta di limoni salati, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Cavoletti di Bruxelles macerati nella senape, salsa verde e semi di senape. Il carattere deciso del cavoletto, nonché la sua tenacità, vengono domati dalla maceratura, restituendone una base perfetta per la sapida piccantezza della senape e della salsa verde. Salse davvero da urlo, concentrate all’inverosimile e tirate in maniera perfetta, lucide e morbide.
cavoletti di Bruxelles, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Spinacino, salsa di soia, sesamo bianco, yuzu. Sorprendente l’equilibrio tra la sapida spinta del dashi e la freschezza agrumata dello yuzu, a condimento di un croccante e tenero spinacino. Italia-Giappone A/R.
Spinacino, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Bresaola di daikon fermentato, miso, pepe nero, parmigiano, rucola, olio. Altro rapidissimo viaggio occidente-oriente, con le note pungenti e ossidative della fermentazione del daikon, del pepe e del miso che vengono ammorbidite dal parmigiano e dall’olio.
Bresaola di daikon, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Rape candite, lardo, soncino. Qui si vira verso la dolcezza, mantenendo al contempo estrema eleganza.
Rape candite, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Il pane.
pane, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Bietola, yuzu, barbabietola, vinaigrette, mandorla, peperoncino. Altro gioiello con tre grammi di materia: al naso ed all’attacco emerge la nota pungente della vinaigrette, che lascia in breve il posto al dolce/terroso vegetale per poi andare a chiudere con la lieve ma estremamente persistente piccantezza del peperoncino. La mandorla viene sapientemente utilizzata esclusivamente come texture.
bietola, yuzu, barbaietola, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Broccolo romano, crema di cozze e lime. Cottura che intenerisce ed ammorbidisce la cima del broccolo, veicolo vegetale verso la travolgente freschezza sapido iodata della crema, lievemente acidificata sul finale dal lime. Un’impepata di cozze del quarto millennio.
cavolo romano e cozze, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Caviale, cialda di noce e rapanello, da mangiare come un sandwich con le mani…
Caviale, cialda di noce, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
…intermezzandolo con sorsi di brodo di merluzzo, servito a parte. Il Re è nudo: il caviale viene prepotentemente detronizzato, usato solo come tenue nota sapida. Il piatto è chiuso dal brodo, servito caldo, che permette una forte estrazione degli aromi e sapori della noce. Un’accelerazione vorticosa, dal sussurrato al gridato in qualche secondo.
brodo di merluzzo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
“Insalata del vignaiolo”: raschera, testina, noci, senape ed insalata…
insalata di vignaiolo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
…ed il suo interno. Piatto dalla lettura estremamente stratificata, sicuramente goloso ma non per questo primario anzi, tutt’altro, complesso e profondo. L’insalatona estiva, anch’essa del quarto millennio.
insalata di vignaiolo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Insalata affumicata con carbone vegetale, Katsuobushi e ricci di mare. Affumicato e sapido del carbone, poi fresco e terroso vegetale, poi lo iodato dei ricci, infine nuovamente affumicato e sapido dal Katsuobushi. Un rettilineo, una veloce chicane, poi nuovamente rettilineo, in un percorso perfettamente in traiettoria. Se le “insalate”, termine in questo caso enormemente riduttivo, fossero tutte come questa, la fame la patirebbero i dietologi, non certo i pazienti.
insalata affumicata, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Porro, crema di cipolle, tarassaco e bottarga di tonno. Note questa volta più lievi, dolci e sussurrate. Una pausa estremamente sensata all’interno del percorso.
porro, crema di cipolle, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Merluzzo al pomodoro. Si vola in Sicilia: sotto una collosa pellicola fatta di acqua di pomodoro vi è il merluzzo, le olive, origano, capperi, e briciole di pane, per un boccone che urla Sud. Ulteriore capitolo della saga dei classici trasposti nel futuro.
merluzzo al pomodoro, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Carciofo alla Giudia con animelle di coniglio, salsa verde, polvere di liquerizia e cialda di cardo. Un turbine, con protagonista un cuore di carciofo reso dolce (!) dalla cottura, contenente delle tenere animelle di coniglio, addolcite dalla liquerizia e leggermente inasprite dalla salsa verde, con la cialda che apporta tenue croccantezza ed acidità. Kalòs kai agathòs firmato Crippa.
Carciofo alla giudia, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Rognoni di coniglio in salsa bernese. Sorprendente interpretazione di “High comfort food”, una coccola composta da dei rognoncini tenerissimi, soltanto un paio di gradi troppo freddi, ed una salsa semplicemente perfetta.
rognoni di coniglio, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Rape gialle in cassoeula con tartufo nero e purea di patate. La chiusura della serie, IL piatto neoclassico per eccellenza, ci si scioglie ed arrende di fronte a tanta bellezza, novelli Anton Ego dinanzi alla propria ratatouille. Rape lavorate come una cassoeula coprono un morbidissimo ed etereo purè di patate, con il tartufo leggermente aromatico. Un piatto attuale nel secolo scorso, nel corrente e nel prossimo. Totale.
Rape gialle in cassoeula, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Consommé di vitello, cotechino e lenticchie. Il caldo e concentrato consommé estrae dalle sfere il concentrato, profondo e persistente mix di cotechino e lenticchie. Il capodanno per astronauti nello spazio.
consommé di vitello, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Rombo, polenta di grano saraceno, broccolo fiolaro, cipollette, carote, burro nocciola. Ecco l’esempio del “piatto di mercato”, la composizione jazz di un rombo. Piatto più estraneo al percorso, forse più adatto alla carta ma non per questo meno valido.
rombo, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Riso, rosa e gamberi. Un sorprendente risotto, che paga forse la posizione nel percorso (insomma, alla ventesima portata, l’appetito…) per essere apprezzato a pieno. Barbabietola, fiori in carpione e burro alla rosa a portare dolcezza, profondità, acidità ed una marcata aromaticità, con i meravigliosi gamberi a fare da fondamentale ponte, da un prezioso collante.
Riso rosa e gamberi, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Maialino glassato al burro di ginepro, cipolla glassata ai frutti rossi. Nonostante la magistrale cottura della carne, il piatto sta nel burro di ginepro sul fondo, goloso intingolo, e nelle commoventi cipollette glassate, oltremodo dolci ed acide.
maialino glassato, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Capitolo dessert, meno usuale e coinvolgente ma sicuramente piacevole e stimolante.
Banana, cardamomo, curry, cialda di burro alle arachidi. Un esperimento sull’utilizzo della banana come veicolo grasso per le spezie. Illegalmente golosa la cialdina di burro di arachidi da mangiare in chiusura…
dessert, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
…con un divertente finto Gin Tonic in accompagnamento, fresco e pulente.
Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Chiusura iperclassica: Bonet
dessert, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Dopo ventiquattro portate, la definizione “piccola pasticceria finale” è causa di vertigini…
piccola pasticceria, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
I degni compagni del “pranzo praticamente perfetto”:
delamotte, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
salon, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
krug, Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba
Piazza Duomo, Chef Enrico Crippa, Alba

Prima della Prima, Chef Enrico Crippa , carote, alghe,sesamo

CAROTE, ALGHE E SESAMO

Carota lunare, carota atomica rossa, carota viola cosmica, carota arcobaleno, carota Amsterdam, carota gialla sole, carota dolce tenera, carota corta marché de Paris. Tutte provenienti dall’orto in biodinamica del ristorante Piazza Duomo, tutte estratte delicatamente ogni mattina, intorno alle 8, dalla mano più sensibile della cucina italiana. Quella di Enrico Crippa, che al contadino Walter, il quale le verdure non le annaffia neanche più, ma le nutre con la legna macerata, lascia maneggiare solo gli ortaggi più robusti.

Non è la prima volta che Enrico Crippa si cimenta in quella che Umberto Eco ha definito “la vertigine della lista”, ovvero quella “poetica dell’eccetera” contrapposta alla poetica del “tutto è qui” che aveva già sospinto verso l’infinito la sua insalata 21 o 31 forse 41, miscellanea di erbe e fiori eduli i cui ingredienti si dispongono ordinatamente in fila, trasmettendo una vertigine vegetale che sublima e poetizza la terrosità dell’orto.
Poiché come scrive sempre Eco, da Omero in avanti sono due le modalità della rappresentazione artistica. La prima risale allo scudo di Achille scolpito da Efesto, ritratto esaustivo della civiltà agricola e guerriera che offre “l’epifania della forma, del modo in cui l’arte riesce a costruire rappresentazioni armoniche in cui viene istituito un ordine, una gerarchia, un rapporto figura-sfondo tra le cose rappresentate”. Mentre la seconda trova il suo paradigma nei 350 versi che sempre nell’Iliade occupa il celebre catalogo delle navi achee ed è poi ripresa per esempio nella lista degli oggetti dentro il cassetto di Leopold Bloom. Utile soprattutto “quando non si sa quante siano le cose di cui si parla e se ne presuppone un numero, se non infinito, astronomicamente grande; o quando ancora di qualcosa non si riesce a dare una definizione per essenza e quindi, per parlarne, per renderlo comprensibile, in qualche modo percepibile, se ne elencano le proprietà – e come vedremo le proprietà accidentali di un qualcosa, dai Greci ai giorni nostri, sono ritenute infinite”.

L’infinito attuale di una radice di carota e dei suoi eccetera gustativi, oltre il sigillo della forma. Di qui anche il particolare stile dell’impiattato, vera cifra dello chef, che evita di instaurare rapporti gerarchici fra gli ingredienti affastellati sul candore della porcellana, ma la riempie come una tela senza delineare centri, limiti o periferie.
Diverse per età, sapore e consistenza, le carote baby fresche di giornata, integre poiché complete di buccia, particolarmente intense e complesse grazie alla coltivazione biodinamica (“è come assaggiare un pane al lievito madre conoscendo solo il lievito di birra”) sono cotte per riduzione alla francese con acqua, burro di alpeggio e sale. Compongono un mare e monti inedito insieme alle alghe nori spennellate di olio ed essiccate e all’alga kombu a julienne candita con soia e mirin, dove la terrosità delle radici sposa le note ircine, umide e quasi fangose sviluppate dagli organismi acquatici. Più una spolverata di sesamo, esaltatore di sapidità naturale, e polvere di nocciola di Langa; foglie di shiso verde e rosso per le note fresche di basilico, menta e limone. Ne risulta un romanzo di formazione gastronomico, dove le esperienze compiute da Crippa in Francia affiancano i corposi capitoli del Giappone e del magistero di Michel Bras. Esperienze che sono andate a fecondare la scena langarola con la stessa vitalità degli sciami d’api sui fiori e dei lombrichi che ora rivoltano le zolle, visto che la cucina del mercato ha ormai ceduto il passo all’orto; le comande di carne e pesce seguono le disponibilità vegetali, che dettano legge sul menu.

Ci sarà anche questo piatto, quando Piazza Duomo alzerà il sipario sui locali rinnovati il 7 febbraio. L’acquisto dell’appartamento adiacente, della superficie di 300 metri quadrati, ha consentito di ampliare i bagni e il pass della cucina; allestire un salone di accoglienza, una saletta supplementare da 14-16 coperti con seminato veneziano e boiserie, uno spazio canapé, una nuova plonge e soprattutto 4 camere che verranno messe a disposizione come chambre d’hôtes.

Da dove iniziare per raccontare l’ennesimo strabiliante pranzo dal grande Enrico Crippa? Forse, per noi che abbiamo la pretesa di fare critica gastronomica assegnando dei voti, una strada potrebbe essere quella di partire da un numero.
Diciannove.
Quasi il massimo per PG. Anzi il massimo, dal momento che abbiamo deciso, per adesso, di lasciare inutilizzata la casella con il Venti. Cosa spinge un critico ad assegnare il massimo? Com’è un ristorante da Diciannove? Non è facile spiegarlo ma ci proviamo partendo da cose concrete, isolando tre piatti monumentali della nostra ultima esperienza.
Piatti non solo buonissimi, ma emozionanti. Ecco il Diciannove. L’emozione. Che ti accompagna anche nei giorni successivi in cui ti capita di ripensarci e ti tornano in mente sapori, sensazioni.
Diciannove.
Insalata di uova e uova. Ma che volete che siano due foglie di insalata? Piatto fenomenale, di rara eleganza, assoluta nettezza di sapori, esorbitante freschezza. Presentato da Crippa durante l’ultima edizione di Identità Golose, già si era capito che era stato concepito l’ennesimo capolavoro.
Diciannove.
Cavolfiori e animelle. Due caratteri assai difficili per il matrimonio del secolo. Piatto incredibile.
Diciannove.
Famolo strano? Ma no, facciamo un Risotto. Alla Piemontese. Da Diciannove. Salsa di fegatini, brodo di castagne, polvere di capperi, qualche porcino e una spruzzata di cacao. Semplice no? NO!
Per il resto solo una serie di piatti eccezionali, perfetti, con ben impressa la cifra stilistica del loro creatore.
Perché Diciannove significa anche cucina d’autore, in cui deve essere ben riconoscibile lo stile del cuoco.
Che nel caso di Enrico Crippa risiede nel sapiente e frequente uso degli elementi vegetali e floreali (questi ultimi reali o anche solo disegnati), nel rigore stilistico tutto marchesiano in quell’essenzialità per cui in un piatto è sempre meglio togliere che aggiungere fino ad arrivare ad esaltare l’Ingrediente che è al centro di tutto, in quel senso estetico, quel gusto marcatamente orientale che Crippa si porta dentro sin dalla sua fondamentale esperienza in Giappone.
Ma non basta avere uno stile riconoscibile e originale. Bisogna anche saperlo declinare in forme e modi diversi. Saper toccare differenti corde, con piatti che raccontano storie mai uguali. Non cadere mai nella monotonia. Non limitarsi mai a replicare se stessi.
Quanti pranzi in un pranzo al Piazza Duomo.
C’è l’omaggio al territorio delle Langhe con la crema di patate e tartufo bianco a cui viene aggiunto, immancabile, un pezzo di Oriente, il Tè affumicato Lapsang Souchong.
C’è la tradizione reinterpretata con grande tecnica ed originalità nel Cotechino racchiuso in un boccone e nel “bis di primi” Cannelloni e Malfatti di ricotta e bietole, in cui della pasta c’è solo la sensazione.
C’è l’Ingrediente assoluto in una fantastica Insalata di funghi e tutta l’essenziale eleganza di ispirazione marchesiana in un piatto come Rape e salsiccia.
C’è la Francia nella Torta di mele e indivie, che al gusto rimanda fortemente alla tarte tatin arricchita dall’indivia caramellata tanto presente nella cucina d’Oltralpe.
Non può mancare, poi, l’omaggio all’amato Giappone in un altro dessert: Caco, castagne e cardo.
Potremmo continuare ma rischieremmo di annoiarvi e di farvi perdere inutilmente tempo.
L’unica è venirci.
Almeno una volta nella vita.
Piazza Duomo: Diciannove.
Lunga vita al Samurai di Langa.
Ad Majora

L’insuperabile sequenza degli appetizer. Un vero e proprio festival di tecnica e sapori. Amaretto e Umeboshi.
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Gauffre di parmigiano.
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Nuvola di cioccolato.
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Finto peperone.
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Foie Gras e Ginger.
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Rape marinate.
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Sgombro e Alghe.
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Spugna ai porcini.
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Si parte davvero. Con una splendida Tinca in carpione.
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Insalata di funghi.
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Insalata di uova e uova: l’insalata è rosolata in un burro aromatizzato alla salvia. Quindi caviale, tuorlo d’uovo e panna acida.
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Capesante Ricci di mare e Pecorino.
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Rape e Salsiccia. La salsiccia è quella di Bra (a base di carne di vitello si mangia fresca ma cruda). L’amaro della rapa si armonizza perfettamente con i cubetti di foie gras.
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Mandorle e Merluzzo. Ancora un grandissimo piatto di contrasti con il brodo di merluzzo e i capperi a bilanciare il dolce delle mandorle.
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Omaggio al territorio e alla stagione: Crema di patate e Lapsang Souchong Tartufo bianco.
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Si gioca: Cotechino e Lenticchie.
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Cavolfiori e Animelle. Chapeau!
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Risotto alla piemontese.
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Cannelloni e Malfatti di ricotta e bietole. Il bis di primi. Da una parte il cannellone costituito da una pellicola ottenuta dalla lavorazione di un ragù napoletano. Dall’altra la sfoglia è pura bietola. Si gode!
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Compagni di viaggio.
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Cavoli e Piccione. Il cavolo è nero, il piatto è grandioso.
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Torta di mele e indivie.
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Caco Castagne e Cardo. Un omaggio al Giappone dove castagne e cachi (quelli vaniglia, più duri) sono assai amati. Notevole la nota aromatica di Tè verde.
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Qualche piccolo coccola finale così, tanto per gradire.
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(Gamberi, ciliegie, fiori sambuco, brodo pomodori e agrumi – Piazza Duomo)

Quarto appuntamento con il Friday Five! Continuate a mandarci le vostre segnalazioni: brevi, incisive, precise, nel puro stile Friday Five!
Scrivete all’indirizzo fridayfive@passionegourmet.it, vi invieremo le specifiche per la compilazione e il vostro pezzo sarà pubblicato nel Friday Five!

(altro…)

“Nella piazza principale di Alba si mangia meglio al pian terreno che al primo piano…”
Prendendo atto che di burloni ne è pieno il mondo, questa frase, sentita un po’ di tempo fa, ovviamente risuona come una boutade, una comica affermazione sulla cucina di Enrico Crippa, all’unanimità ritenuta una tra le migliori a livello europeo.

Chiariamo subito: nessuno potrebbe azzardare un paragone tra le due cucine, dalla concezione diametralmente opposta. In realtà però La Piola si è rivelato un indirizzo realmente notevole, un piccolo baluardo della ristorazione sul modello della trattoria di paese, quella fatta di tovagliette di carta su piccoli tavoli, dalla proposta giornaliera variabile, vini al calice, servizio giovane, educato e disinvolto e, cosa non sempre scontata ma in questo caso fiore all’occhiello, piatti davvero di alta qualità.
Un’osteria (Piola, in dialetto piemontese, significa proprio questo) dall’aspetto semplice, con qualche lieve concessione stilistica contemporanea, dal format popolare ma al contempo sintonizzata sui canoni dell’alta ristorazione e con una cucina diretta con gli occhi, la testa e il cuore da un grande chef.

Appena varcata la soglia, lo sguardo volge in automatico all’imponente lavagna sulla parete, che presenta in tono informale la proposta del giorno. Ed è un elenco che predispone bene l’animo, che sciorina un’importante sequenza di piatti esclusivamente della tradizione, come ogni vera trattoria che si rispetti. Il resto lo fa il territorio stesso, Alba, la capitale morale di Langa, nonché luogo di perdizione per tutti coloro che non mangiano per vivere, ma vivono per mangiare.
Una differenza sostanziale, rispetto alla media dei locali di pari livello, è la ricerca di una notevole finezza comune a tutte le portate. Spesso le osterie, anche quelle qualitativamente rilevanti, basano le loro preparazioni principalmente sulla gustosità, chiudendo un occhio sul conseguente impatto calorico/digestivo, o comunque proponendo piatti per i quali, nel descriverli, difficilmente utilizzeremmo termini riconducibili all’eleganza.
Nel caso de La Piola viceversa, l’approccio è speculare: la gradevolezza delle preparazioni spinge comunque la lancetta in prossimità del limitatore, ma è tangibile una cura nelle realizzazioni di un altro livello, più rivolta alla raffinatezza del complesso: una pasta fresca, non eccessivamente spessa e ruvida ma callosa alla perfezione, condita con un ragù bilanciato e saporito; la faraona, dalla carne succosa ma tenera da non richiedere quasi il coltello, o ancora i dessert, semplici nell’aspetto ma rigorosissimi.

Quindi alla prossima occasione in cui passerete da Alba, non snobbate la piazza infilandovi direttamente nella “viuzza laterale” per prendere le scale. Certo godrete sensibilmente di più, è innegabile, ma è altresì innegabile che perdereste un’occasione per provare una vera chicca, altrettanto degna del viaggio.

Vitello tonnato. Sembra prosciutto cotto, in realtà è una carne di vitello rosa e tenera in una maniera imbarazzante, accompagnata da una salsa tonnata praticamente “al cucchiaio”.
Vitello tonnato, La Piola, Chef Dennis Panzeri, Enrico Crippa, Alba
Carne cruda. Carne giustamente poco condita per farne risaltare l’ottima qualità. Per l’apporto di sapidità viene delegato il Parmigiano (notevole), piacevoli le verdure croccanti.
Tartare, La Piola, Chef Dennis Panzeri, Enrico Crippa, Alba
Agnolotti del plin al sugo di arrosto. In una ipotetica gara di plin, sicuramente a podio.
Agnolotti del plin, La Piola, Chef Dennis Panzeri, Enrico Crippa, Alba
Faraona, salsa al barbaresco con purea di patate. Cottura davvero accademica della carne, che la restituisce morbida e succosa. Puré in accompagnamento dalla notevole compattezza, più che purea praticamente una patata schiacciata rimodellata.
faraona, La Piola, Chef Dennis Panzeri, Enrico Crippa, Alba
Crostata di fragole con gelato al fiordilatte. Elogio della semplicità: una pasta gustosa, una marmellata concentrata e di qualità, un sublime gelato.
crostata di fragole, La Piola, Chef Dennis Panzeri, Enrico Crippa, Alba
Bonet al cioccolato. Presentato in maniera poco invitante, al palato in realtà si rivelerà fedele alla tradizione.
Bonet, La Piola, Chef Dennis Panzeri, Enrico Crippa, Alba
Il Carrello dei formaggi, Arbiora addicted.
Carrello Formaggi, La Piola, Chef Dennis Panzeri, Enrico Crippa, Alba
Il caffè, servito con delle piccole praline.
caffè, La Piola, Chef Dennis Panzeri, Enrico Crippa, Alba
La spartana tavola.
tavola, La Piola, Chef Dennis Panzeri, Enrico Crippa, Alba