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Il Buttafuoco Storico

Un gran vino poco conosciuto

Tra i numerosi vini lombardi che mi piacciono, ho pensato di parlare di quello che ritengo essere un grande vino, un’eccellenza italiana ancora troppo poco conosciuta: Il Buttafuoco Storico

Si tratta di un vino prodotto nell’ Oltrepò Pavese in una zona chiamata “lo Sperone di Stradella”. È un’area delimitata da due torrenti, Scuropasso e Versa, dove si incontrano le “sottozone” denominate Le Ghiaie, Le Arenarie e Le Argille per una superficie totale di circa 20 ettari. Per produrlo si possono utilizzare quattro uve: Croatina, Barbera, Uva rara e Ughetta di Canneto. Il blend tradizionalmente prescelto si ripartisce in un 50% di Croatina, 25% di Barbera e la restante quota si suddivide tra le altre due varietà.  È il produttore a decidere la percentuale specifica in base alle caratteristiche della sua vigna, a patto che rimanga all’interno del disciplinare.  La Croatina apporta la struttura polifenolica, il colore e i sentori di frutta rossa; la Barbera  forma con la sua acidità la spina dorsale del vino; infine, la restante parte di Ughetta di Canneto (la Vespolina) e di Uva Rara arricchisce questo vino con note di eleganza.

A differenza di alcuni vini di queste zone, il Buttafuoco Storico è un vino fermo e di grande struttura, perfetto per essere abbinato a cibi robusti come carni e selvaggina, e particolarmente predisposto all’evoluzione nel tempo.  Ciò che lo caratterizza in modo peculiare è la fase fermentativa, che avviene con macerazione congiunta delle diverse uve vendemmiate rigorosamente nello stesso giorno. Non può essere messo in commercio prima di 36 mesi dalla vendemmia, dopo aver affinato per almeno 12 mesi in botti di legno e 6 mesi in bottiglia.

Questo rigido regolamento nasce dall’unione di 11 produttori che, nel 1996, hanno dato vita al Club del Buttafuoco Storico. L’obiettivo è quello di produrre un vino di altissima qualità e, come dice il nome stesso, più storico (tipico) possibile. La bottiglia è uguale per tutti – 14 produttori ad oggi –  e presenta all’altezza del collo un marchio ovale simile alla forma di una botte, con all’interno un veliero. Quanto al veliero si narra che dei marinai Austriaci, nella seconda metà del 1800, disertarono la battaglia perché trovarono un vino locale di nome “Buttafuoco” che li impegnò per tutta la notte. Anni dopo, la marina austroungarica varò una nave chiamandola Buttafuoco. Quanto al nome del vino, invece, si dice si chiamasse così perché il poeta milanese Carlo Porta, una volta assaggiatolo, esclamò: “butafeug”, buttafuoco appunto… perché bruciava la bocca da quanto era potente.

Per saperne di più, esiste un sito del consorzio: www.buttafuocostorico.com.  Visitatelo ed accaparratevi una delle 65.000 bottiglie prodotte ogni anno.

I miei preferiti:

Una reminiscenza evocativa, quella del tinello: una rievocazione storica, oggi riattualizzata, che va non solo a rappresentare l’evoluzione dello chef’s table, ma che reclama a gran voce il superamento dell’agone tra domestico e professionale. Tra cucina domestica e cucina professionale, nella fattispecie, che è poi la dialettica su cui si è issata, per anni, la differenza tra la cucina francese e la nostra, di cucina: eccellente nei ristoranti ma carente nelle case la prima, sontuosa e complessa nelle case più che al ristorante, invece, la seconda. E benché il livello della cucina professionale italiana si sia elevato, negli ultimi vent’anni, in maniera esponenziale, è proprio questa dialettica che va a risolvere il tinello che vive, oggi, di una seconda vita grazie alla presente ricollocazione.

Una dialettica tra pubblico e privato che invero già si risolveva in passato nelle case nobiliari, là dove il tinello era nato col compito di ospitare i pranzi e della servitù e dei signori che, desiderosi di godere di un pasto più frugale e più raccolto vi si rifugiavano al riparo dagli ossequi e dalle cerimonie della vita mondana. Perché per godere, a tavola, c’è bisogno di semplicità, di raccoglimento, di riservatezza: caratteristiche, queste, molto care a Davide Oldani dove il Tinello, com’è d’uopo che sia, si ritrova davanti alla cucina che, per appunto, è la sua casa. Fedele alla sua iconografia, il tinello rieditato da Oldani promette quindi di esperire della dimensione domestica, familiare e homy, per dirla all’inglese, di casa Oldani e, com’era lecito aspettarsi, prevede un menu fisso il cui incipit è demandato a una carrellata di elementi cari allo chef e che, nel corso del pasto, si slanciano dalla loro dimensione privata per diventare, strada facendo, autentico omaggio alla cucina edificata nelle cucine dei grandi ristoranti italiani e francesi, ma non solo.

A cominciare dagli antipasti, una divertente ancorché divertita carrellata di elementi estemporanei, propedeutici alla comprensione del pasto per intero. Come la Scarpetta di lenticchie e pasta di salame piccante, che si richiama a  materie grasse e nutrienti, leguminose da un lato e di norcineria dall’altro riposizionate nella scarpetta golosa un tempo bandita dalla tavola quartata.

Altra composizione, ma già più vicina alla compiutezza di una portata vera e propria, l’Asparago di Mezzago col gelato alla rosa (richiamo al colore dell’asparago, tra i migliori in commercio) e il Tuorlo vegetale. A chiudere questi divertissement, e per lo chef e per il commensale, l’Ostrica Prestige des Mers, che è una deflagrazione di suggestioni che attingono e al mondo del mare e a quello della terra in primavera, ricco di germogli e di bacche. Ecco dunque un primo piatto: Zafferano, crosta e riso 2018: una citazione a Marchesi che viene qui scomposto, ricettato in tutti i suoi passaggi, e ricomposto, restituito nella composizione privata, appunto, individuale, della forchettata.

Si vola dunque al Mare col polpo, la salicornia, i rapanelli e l’amaranto e, successivamente, al mondo della cucina classica transalpina con le Cosce di rana, la salsa alle erbe, con interpolazione contemporanea dell’aglio invecchiato e del tamarindo. Intensa, poi, la Triglia in scaglie di polenta e rosmarino, ma il tinello di Oldani raggiunge la sua massima espressione quando svela la tecnica che lo anima, come fa nelle eteree, svolazzanti paillettes d’argento del Rombo al cartoccio, che spalanca un immaginario tutto italiano (i cartocci), da sabato italiano, se vogliamo, con le tavole apparecchiate all’aperto della riviera cui Oldani dà però un tocco di urbanità con lo zabaione al limone al posto della maionese.

C’è quindi un’incursione di nuovo presso le tavole dei grandi chef europei classici con il Filetto di vitello alla Wellington nel quale la crosta, paradigma della cucina e dello stile british (“contenuto” e stretto come negli abiti, magari proprio come negli stivali che portano ancora il nome del Duca stesso) diventa di cera d’api. Menzione d’onore va sicuramente all’Aligot, che definitivamente svela l’ossequio alle cucine d’Oltralpe, richiamandosi a Michel Bras: un purè di patate soffice e vellutato rinforzato di Ragusano e Grana Padano che, sciogliendosi, sono in grado di gonfiare il purè e di farlo filare tramutandolo in un ciuffo setoso, perfino nobile.

A chiudere, di nuovo un’incursione, solo olfattiva, in Provenza, con la lavanda sulle fragole smaterializzate e rimaterializzate mimeticamente, quindi l’impeccabile piccola pasticceria con la sfera n. 8 e polvere di lampone; cannoli siciliani con ricotta e kumquat e dama di macaron, bianchi di cocco e maracuja, neri di liquirizia e cacao.

Il Tinello, come avviene in molti altri casi e per molti altri chef, è l’espressione estrema della cucina e si colloca all’apice di essa. In questo contesto c’è la massima espressione del cuoco, che qui impiega il meglio di sé, alzando – come nel nostro caso – notevolmente il livello, seppur comunque elevato, del ristorante gastronomico. E da riflettere quindi se il vero valore del cuoco è, in questo caso, il Tinello o tutto il resto. Per far coppia tra esigenze del cliente, disponibilità dello stesso ma al contempo chiarezza e completezza di informazione, Davide Oldani, nello specifico, è un cuoco che vale molto di più di quanto racconta oggi il suo ristorante, e per completezza informativa andava detto. Potrebbe essere il caso anche in futuro di adottare questa tecnica comunicativa, questa completezza d’informazione anche per altri.

La galleria fotografica:

Da una piccola trattoria avanguardista a una grande tavola classica, l’evoluzione di Oldani nel solco dell’eccellenza

Il D’O è stato il vero fenomeno della ristorazione italiana degli ultimi anni. Una formula vincente che ha creato un mito e reso famoso un bravissimo cuoco: Davide Oldani. Il quale, molto “semplicemente”, nell’ormai lontano 2003 creò il ristorante che in Italia non c’era.
A casa sua: San Pietro all’Olmo, un piccolo centro alle porte di Milano senza particolari attrattive turistiche. Un posto piccolo, arredato in stile minimalista, con al centro una minuscola cucina a vista. Tutto molto easy, POP, per usare un termine caro allo chef, anche nei prezzi.
Un posto che, visto da fuori, poteva sembrare simile a tanti altri, ma che in realtà era profondamente diverso.
Diverso per la professionalità, l’eleganza informale dell’accoglienza, la cura di ogni dettaglio, a cominciare dai tempi di servizio sempre impeccabili, nonostante il locale fosse sempre pieno e la cucina davvero microscopica.

Diverso per la cucina. Scuola classica, francese, grande padronanza delle tecniche. Alta cucina, ma utilizzando esclusivamente materie prime povere, conto da osteria. Una miscela esplosiva. Il ristorante che non c’era, appunto. L’Alta cucina aperta a tutti. Un successo strepitoso.
Una grande tavola travestita da ristorantino di periferia questo è stato per anni il D’O. Accennavamo ai prezzi: menu degustazione a 32 euro, a pranzo addirittura 11,50! Mai visto nulla di simile.
Locale sempre pieno, prenotazione minimo di 3 mesi per provare la Cipolla caramellata e più in generale la cucina di questo giovane allievo di Ducasse e Marchesi. Una cucina non facile, tecnicamente complessa, sempre molto personale, a tratti imperfetta forse – ricordiamo i fondi a volte troppo coprenti, ma mai banale.
Cucina sartoriale per definizione, in cui, come per gli abiti cuciti a mano, se a volte qualche cucitura si vede un po’ troppo, alla fine è più un pregio che un difetto.
Certo, dopo essere stati a cena al D’O veniva naturale domandarsi cosa volesse fare Oldani da grande. Perché, ci chiedevamo, un cuoco con le capacità di guidare una Ferrari si accontentava di pilotare, seppur magnificamente, un’utilitaria?
E la Ferrari infine è arrivata.
Il nuovo D’O, a poche decine di metri dal piccolo locale dove tutto iniziò è una fuoriserie in tutti i sensi.
Ambienti ariosi, eleganti, tavoli correttamente distanziati, cucina a vista, grande, bellissima in cui si muove come in una danza la brigata sotto la direzione attenta dello chef.

Oggi il D’O è una grande tavola che non gioca più a nascondersi

Servizio giovane e impeccabile, bella carta dei vini e cucina di stampo classico, che gioca con le consistenze e con i sapori, anche della tradizione, senza stravolgerli, ma ricercando sempre l’armonia dell’insieme. Sapori tradizionali che si sposano al territorio come in un Riso e Zafferano, in cui anche lo zafferano è lombardo, di Varedo per la precisione, di mostruosa bontà. Onestamente è arduo solo pensare di mangiarne uno migliore.
Una cucina che si conferma di grande livello, dunque, che in qualche passaggio tradisce , rispetto al passato, una maggiore preoccupazione di piacere, di rassicurare e di essere più immediatamente riconoscibile. Su questa linea ci è sembrato un po’ banalotto il “marchesiano” Galletto alla Kiev, mentre ci ha entusiasmato la pulizia, la nettezza di un piatto come l’Asparago di Mezzago, gelato alla rosa e tuorlo vegetale. Tre pennellate per un quadro gustativo di altissimo livello.
Non ci ha convinto appieno la consistenza dei “Sanpietrini” di polpo, ma, tornando alla classicità, il pasto è terminato con un Soufflé d’alta scuola.

Il D’O ci sembra ormai una corazzata che veleggia a vele spiegate e che non potrà che mietere ulteriori successi di critica e di pubblico.
Ci sia consentito, in conclusione, di lodare Davide Oldani per due aspetti secondo noi non banali, che ci piacerebbe si diffondessero nella ristorazione di questo livello: il pane, arriva al tavolo solo con quello che in Italia consideriamo il “secondo piatto” ed è semplicissimo, di francescana bontà. Non c’è il pre-dessert e anche in accompagnamento al caffè non si viene sommersi da valanghe di dolcetti che per quanto a volte eccellenti mal si sposano con la fine di un menu degustazione.
Potrebbero sembrare dettagli, forse non lo sono. E Davide Oldani, anche stavolta, è già avanti.

La galleria fotografica:

 

Dopo aver seminato egregiamente per 13 anni, è arrivato il momento della rigogliosa raccolta per Davide Oldani.
L’evidente salto di qualità non si vede soltanto dai nuovi, eleganti e modernissimi ambienti o dalla sempre interessante e personale cucina, ma soprattutto dalla costante e sempre più accentuata ricerca di originalità -a 360 gradi- della sua filosofia di “cucina pop”, al tempo fautrice di quel progetto imprenditoriale diventato un interessantissimo (ed orgoglioso) case study ad Harvard.

Oggi, nei nuovi e bellissimi spazi, praticamente alle spalle della sua vecchia “trattoria d’avanguardia”, riusciamo a comprendere anche meglio il valore di questa democratica ma complessa cucina.
Un’apertura mentale, che va di pari passo con le vetrate della nuova sala che scruta la luminosa ed ampia Piazza della Chiesa, che è una propaganda dell’alta cucina per il popolo.
Il nuovo D’O è una casa calda, luminosa e ricca di dettagli funzionali ed estremamente utili, come il design studiato delle sedie, o il porta oggetti incorporato nelle stesse. Il nuovo D’O è diventato un laboratorio di idee e creatività, una scuola di cucina in cui un pragmatico know how viene messo a disposizione di aspiranti cuochi. Il concetto di ristorante per Oldani è multidimensionale, ma racchiuso in un unico contesto fatto “bespoke” per il cuoco e la sua cucina. Praticamente l’opposto del vecchio ristorante che, privo di orpelli o sovrastrutture, brillava principalmente per la proposta gastronomica e l’inarrivabile convenienza. Quest’ultima, in verità, è rimasta tale, mentre la cucina è notevolmente cresciuta, e ci immaginiamo che sarà ancor più difficile, adesso, trovare un tavolo qui a Cornaredo.

La nuova carta è giustamente più ambiziosa: due menù, a 32 e a 75 euro. Oldani ha abbandonato l’incipit del non utilizzo di ingredienti pregiati, che qui oggi iniziano a fare capolino, seppur timidamente esposti. I prezzi alla carta non sono però stati ritoccati verso l’alto: il rapporto qualità/prezzo è, in considerazione di tecnica e pensiero, ancora uno dei più convenienti d’Europa.
Gli elementi caratterizzanti il piatto sono sempre quelli: i contrasti, come il caldo-freddo, il morbido-croccante, il dolce-salato. Ed inizia a fare capolino anche un elegante e fine contrasto di acidità. Quella di Oldani è oggi più che mai -molto più che in passato- una cucina che non stanca mai il palato ma che richiede particolari istruzioni per interagire con il piatto. Istruzioni che in alcune situazioni abbiamo trovato anche forzate, specie quando il piatto era particolarmente buono ed armonioso a prescindere dall’ordine dell’ingrediente da assaggiare. In queste ultime visite, dove abbiamo assaggiato quasi tutta la carta, siamo rimasti favorevolmente colpiti dalle nuove preparazioni, alcune delle quali davvero equilibrate e gustose, senza mai scadere nella banalità. In particolare un pranzo di fine dicembre è stato molto al di sopra della votazione che abbiamo ritenuto, per ora, in via prudenziale di assegnare. Anche se possiamo tranquillamente affermare che il D’O è per noi di Passione Gourmet una delle tappe irrinunciabili per Milano, dove peraltro la concorrenza è serrata ed agguerrita. Va altresì detto che non sono comunque, nelle nostre visite, mancati piatti per i quali abbiamo fatto un po’ di fatica a trovare un filo conduttore (come “l’insalata di rinforzo” o il “cartoccio di verdura e frutta”), mentre uno in particolare (i cubi di lingua arrostita) non ci ha entusiasmato in termini di consistenza. Va sottolineato però che i piatti “meno” riusciti siano stati tutti ordinati alla carta, acuendo forse maggiormente la linearità e la coerenza pensata e sviluppata nel menù degustazione da un Oldani in gran forma.

Il servizio, giovanissimo, è di estrema professionalità, e la carta dei vini è essenziale come la cucina.
Il nuovo D’O, oggi, è davvero un gioiello, di un altro pianeta rispetto al contesto originario che, probabilmente, è sempre andato stretto al suo fautore, colui che, senza dubbio, è stato uno dei pionieri di quel nuovo corso di avanguardia gastronomica italiana del ventunesimo secolo, nonché un precursore della democratizzazione dell’aristocratica “alta” cucina, fino a qualche tempo fa, un lusso per pochi.

D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Piazza della Chiesa, la nuova vista del D’O.
D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Accessori personalizzati. Altra peculiarità dell’Oldani imprenditore.

posata, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Il menù.
menù, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Una delle novità del nuovo D’O: stuzzichini iniziali.
stuzzichini, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Dal menù Armonia: “Zucca”. Cotto-crudo, morbido-croccante, acido-basico. Una delle portate migliori. La stagionalità in una ipotetica massima espressione di alta cucina. Geniale l’estratto di semi di zucca sul cucchiaino da mangiare prima del resto.
zucca, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Dalla carta, “Insalata di rinforzo”: sarde in salagione e arancia. Il piatto che ci ha convinto di meno. Nonostante l’ottima materia prima, abbiamo fatto un po’ fatica a gestire gli ingredienti tra loro.
insalata, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Eccellente e molto goloso invece il secondo antipasto scelto dalla carta: topinambur, terra al caffè, foie-gras e radicchio amaro.
antipasto, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Il secondo piatto del menu degustazione è lo sgombro al vapore e barigoule autunnale alla brace. Elegante con risvolti gustativi forti.
sgombro, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Seguito poi dal “Tuorlo” vegetale, cavolfiore cremoso e Kren. Qui niente da dire, un grande piatto.
tuorlo, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Si torna alla carta, con i buonissimi ravioli di catalogna, burro bianco, capesante e creste di gallo. Un tuffo nei primi anni duemila. Tra Francia e Italia.
ravioli, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Il primo dei risotti assaggiati è (dalla carta) quello al profumo di limone e lenticchie beluga…
risotto, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
…che viene completato con briciole affumicate.
risotto, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Interessante risotto giocato su toni acidi e iodati. Buono ma meno riuscito dello straordinario…
risotto, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
…riso, cime di rapa, aglio invecchiato, acciughe e pecorino. Dal menù degustazione. Consistenza e bilanciamento gustativo perfetti. Un risotto davvero eccezionale.
riso, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Come di consueto, prima dei piatti principali, arrivano pane e grissini (di ottima fattura).
pane, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
grissini, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Cubi di lingua arrostita, brodo rappreso, avocado ed uva. Intrigante e riuscito, comunque, l’abbinamento.
lingua, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Come piatto principale del degustazione viene proposto il manzo all’olio, scampo, emulsione di birra e ribes. Notevolissima la cottura e la consistenza della carne. Crostaceo che funge da contrasto perfetto.
manzo all'olio, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Infine, dalla carta, il “cartoccio” di verdura e frutta ed angelica. Un’idea interessante e divertente (la foglia d’argento ricorda il cartoccio).
cartoccio, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Il compagno di viaggio.
gattinara, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Il menu “Armonia” si chiude con la “Seadas”, spuma di ricotta, perle di miele e spezie. Brillante evoluzione del tradizionale dolce sardo.
seadas, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Dalla carta due ottime preparazioni: “Ocoa” balsamico e mango setato.
ocoa, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Mela, mascarpone, salsa al timo e cannella.
mela, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
mela,D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Il caffè, con cucchiaino (anch’esso) personalizzato…
caffè, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
…viene accompagnato da una sfera di cioccolato fondente…
sfera cioccolato, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
…contenente una polvere al lampone.
lampone, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
La nuova cucina.
cucina, D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano
Ingresso.
D'O, Davide Oldani, Corredo, Milano

D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano

Davide Oldani ci aveva visto giusto in quel lontano 2003. Il primo esponente in Italia del movimento dell’alta cucina pop, tesa a democratizzare un concetto ed un percorso sino a quel momento considerato elitario.
Antesignano di un movimento che è quanto mai attuale e contemporaneo. Un percorso, quello dello chef di Cornaredo, che però non si è arrestato affatto all’atto dell’ideazione. La continua e costante crescita del D’O è lì a provarlo.
Tanto tempo è trascorso e tanta strada è stata fatta nella direzione della pulizia stilistica e gustativa. Oggi i piatti del D’O sono molto più precisi, puliti e gustativamente equilibrati di un tempo. Il dosaggio della nota dolce, connotazione tipica di Oldani, è oggi addomesticata e resa sottilmente elegante, tenuemente presente. Lasciando più spazio a contrasti e ad un caleidoscopio di sapori decisamente più complesso ed articolato. Lo spessore del rigore tecnico, mai mancato o venuto meno, è stato affiancato anche da un percorso di ammodernamento e di avanguardia teso alla leggerezza e pulizia delle preparazioni.
Certo, l’impronta classica di Oldani è ancora marcatamente evidente nelle portate principali, che risentono ancora di un timbro che è connaturato nella storia e nel percorso dello chef. Ma a ben vedere è anche un tratto distintivo intrigante.
Così come intrigante e personale è la timbrica gustativa di questa cucina, adagiata sul sucré-salé ma senza per questo esserne sopraffatta.
Se proprio dobbiamo, quindi, eccepire qualcosa alla cucina di Oldani lo dobbiamo fare sui secondi piatti che rispetto agli antipasti e ai primi risentono più di tutti di quel classicismo appunto in cui i fondi, lo sappiamo, la fanno da padrone e rischiano a tratti di tenerlo un po’ imbrigliato.
Davide Oldani in questi due lustri è riuscito a fare qualcosa di unico e difficilmente replicabile e cosa più importante è riuscito a non rimanere confinato nel suo personaggio e nella sua cucina, che per definizione è appunto pop ma in continua evoluzione.
Sicuramente Davide Oldani è però anche pronto a cimentarsi in qualcosa di diverso e di più complesso, magari in quella Milano che lo ha amato sin dal primo giorno. Ci ha visto bene Re Giorgio (Armani) che ha scelto Oldani per la recente cena di gala in occasione della sua “One night only” di Parigi. E chi sa che un re indiscusso della moda non ne incoroni uno, della cucina.

Mise en place
mise en place, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Cipolla caramellata, Grana Padano riserva D’O caldo e freddo: un classico a cui non ci si può sottrarre.
cipolla caramellata, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Cotto-crudo, morbido-croccante, acido-basico: barbabietola un bel gioco per il palato.
barbabietola, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Insalata amara, carciofo e manioca al profumo di carbone: bei contrasti e bella nota fumé.
insalata amara, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Panettone e riso alla milanese: nella nuova versione rivisitata il panettone è sbriciolato anziché a pezzetti e il risultato è migliore.
panettone e riso alla milanese, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Vellutata di cavolo viola e rosso, pisarei, sardine e fichi secchi: un grande piatto che ci ha lasciato senza parole per impatto e consistenza.
vellutata di cavolo viola, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Pistacchio, bergamotto, matcha e riso in due forme: per noi un po’ troppo dolce.
pistacchio, bergamotto, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Cassoeula D’O: un classico della cucina milanese ben interpretato da Oldani.
cassoeula, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Sfera di oliva nera, mela, cavolfiore setato, buccia di lime e uovo affogato.
sfera di oliva nera, cavolfiore, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Pavé di “Fario” dorato, vino e scorzanera amara: il piatto con meno appeal del nostro pranzo.
fario dorato, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
“Carpione” di sgombro, emulsione di frutta all’olio, alette di pollo e puntarelle amare.
carpione di sgombro, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Babà al cioccolato, succo di zenzero, carota ed arancia: per golosi incalliti.
babà al cioccolato, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Crema bruciata di cardi, “Zephir” bianco, origano e tamarindo.
crema bruciata di cardi, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano
Barbajada.
barbajada, D'O, Chef Davide Oldani, Cornaredo, Milano