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Zafferano

Crediamo senza dubbio che Londra sia una delle realtà gastronomiche più importanti al mondo. Ovviamente tutto ha il suo prezzo e nella capitale inglese, se si vuole mangiare ad un certo livello, si deve necessariamente essere disposti a spendere.

Fra i ristoranti italiani c’è uno zoccolo duro di locali, che hanno fatto la storia della ristorazione in terra anglosassone. Strutture che sono sulla cresta dell’onda da decenni, a volte rimaste incastrate nel ricordo dei propri fasti. Fra questi non possiamo non menzionare Zafferano, situato nell’elegante quartiere di Belgravia proprio dietro ad Harrods, a pochi passi da Hyde Park. Una posizione invidiabile, che attira inevitabilmente una clientela prestigiosa ed esigente che chiede di assaggiare i piatti della tradizione culinaria italiana, realizzati con una materia prima di grande qualità.

Il confronto, una volta usciti dalla terra natia, tra la stessa tipologia di ristoranti ubicati su suoli diversi, è inevitabile quanto divertente. Nell’approcciarsi a ristoranti di stampo tricolore ci troviamo spesso a riscontrare un legame affettivo con il ricordo di una ristorazione in stile anni ’80, felicemente dimenticata nelle nostre città, che viene però non solo riproposta ma addirittura reclamizzata oltre confine. Ecco quindi che diviene naturale rimanere interdetti alla scoperta che tali realtà, anche in una città come Londra, stravagante ed avvezza ad una ristorazione di stampo contemporaneo, vengano ancora premiate dalle maggiori guide, in un rapporto di giudizio a dir poco impari e poco gratificante per i ristoranti italiani “originali”, ovvero quelli che non hanno avuto l’ardire di emigrare alla ricerca di lidi più fortunati.

Da Zafferano troverete una cucina che è la brutta copia, ingiallita, della cucina italiana. Contaminata male (Halibut??), con preparazioni che utilizzano l’italian sounding e poco più. Il menù di Zafferano propone piatti semplici: Burrata, bresaola, uova al tegamino con asparagi, vitello tonnato, per citare gli antipasti. Fra i primi pasta fresca e ripiena fatta in casa e pasta secca di grande qualità (Cav. Cocco e Verrigni su tutti) e i secondi che si dividono equamente fra carne e pesce. Preparazioni che giustamente strizzano l’occhio alla caratteristica peculiare della nostra gastronomia, quella semplicità di lavorazione volta all’esaltazione della materia prima. Ma che ne escono in maniera scomposta, rozza e poco identitaria.

L’evoluzione del menù rispecchia in maniera del tutto coerente l’approccio del ristorante al mondo della ristorazione, e di conseguenza ad un flusso non troppo ben definito caratterizzato da licenze poetiche buttate qua e là. Dopo un abbondante antipasto di benvenuto a base di pecorino sardo ed affettati, ecco arrivare un piatto di linguine con l’astice, seguite da un poco patriottico trancio di halibut in crosta nera, appunto. Per completare il tuffo in atmosfere retrò, un tris di dessert con tiramisù, cheesecake e tortino di cioccolato dal cuore caldo.

Abbandonando il cinico punto di vista del critico incallito, ci si riscopre a prendere atto di quanto stia accadendo attorno a noi. Il ristorante, con il suo ambiente di grande charme, è pieno di un pubblico cosciente e colto. E qui i molti credono di trovare la vera cucina italiana. Credono…

Il bel tavolo con focacce e formaggi.

formaggi, focacce, Zafferano Restaurant, Londra
La sala.
sala, Zafferano Restaurant, Londra
La mise en place.
mise en place, Zafferano Restaurant, Londra
Il nostro antipasto con pecorino sardo e affettati.
antipasto, Zafferano Restaurant, Londra
Linguine all’astice e peperoncino.
linguine all'astice, Zafferano Restaurant, Londra
Trancio di halibut in crosta nera con bietola, limone e salsa “Bellino”.
halibut, Zafferano Restaurant, Londra
Tris di dessert con tiramisù, cheesecake e tortino di cioccolato dal cuore caldo.
dessert, Zafferano Restaurant, Londra
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Zafferano Restaurant, Londra
Il nostro compagno di viaggio.
vino, Zafferano Restaurant, Londra

Non è ammissibile attribuire giudizi di valore senza termini di paragone. Di matrice strutturalista, questo pensiero sostiene che le cose del mondo non avrebbero proprietà se non nel diretto rapporto con le sue simili, e che proprio in questo rapporto, in questa differenza, risiederebbe, delle cose, il vero nucleo identitario. Ebbene, s’è già detto, si tratta del punto di vista dello strutturalista, ma è anche della posizione del neofita, colui che si appresta a giudicare un’esperienza tanto lontana dalla nostra enciclopedia quanto, allo stesso tempo, tanto prossima nella costellazione di similitudini ch’essa intrattiene coi suoi referenti europei, tanto a Barcellona quanto a Londra, per esempio.

Stiamo parlando del Pacifico, un ristorante che porta con sé più di una velleità culturale e culinaria, non ultima quella di portare a Milano, unico caso codificato in Italia, i 500 anni di influenze asiatiche tradotte nel seno della prolifica cultura culinaria peruviana. Ebbene se, come si diceva, in Italia questa fusion iperterritoriale è alla sua prima nazionale, altrove questa tradizione è invece più radicata e, forse per questo, essa si esprime a livelli nettamente superiori rispetto alla sua manifestazione italiana obnubilata, nello specifico, da un servizio non sempre puntuale, dall’acustica scontrosa, nonché dalla manifesta approssimazione di alcuni allestimenti, come piatti posticci e, sicuramente, un po’ pasticciati, accanto ad altri che, a dispetto dell’alta densità territoriale, ci sono sembrati invero, se non manchevoli, comunque sicuramente piuttosto flebili.
Probabilmente, il punto di partenza è così alto, complesso e stratificato da risultare paralizzante, fatto sta che poco dell’altissima varietà paesaggistica peruviana, dove si alternano altissime montagne alle ripide costiere scoscese, si riverbera nel piatto, ne’ si ritrova la giungla tentacolare col suo caleidoscopio di anfratti umbratili e balsamici.

In tutto questo, tuttavia, è anche probabile che Jaime Pesaque, ovvero l'”ambiasciatore” peruviano di questo paesaggio commestibile, abbia invero solo bisogno di tempo, e lo dimostrano invece piatti riuscitissimi, benché più delicati rispetto agli originali peruviani, ma questo è tutt’altro che un difetto, come il suo ceviche, il nuovo sushi europeo, così come la sua versione del tiradito: ineccepibile.

A parte ciò, la scenografia è appagante: si è inseriti infatti in un contesto molto suggestivo, una scenografia per nulla lasciata al caso che, forse, adombra ulteriormente la controparte commestibile che, invece, avrebbe colmato gran parte delle sue manchevolezze nella maggiore ricercatezza in termini di materie prime nonché, certamente, in una maggior correttezza in termini di cotture.

L’ambiente, comunque, è funzionale alla suzione di cocktails più che discreti su cui primeggia, ovviamente, il Pisco Sour, la bevanda nazionale del Perù, da accompagnare al succitato ceviche, nella speranza che la popolarità dell’indirizzo non precluda le vostre conversazioni dato che, come ultima nota dolente, si diceva, l’acustica non è propriamente delle più riposanti.

Mise en place.
mise en place, Pacifico, Ristorante di cucina peruviana, Milano
Dettaglio di un tavolo.
tavolo, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Tiradito Paracas Capesante.
Tiradito, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Tiradito Tamarindo Tonno e avocado zenzero.
tiradito,Pacifico, cucina peruviana, Milano
Cheviche misto con polpo, cappesante e gamberi: forse il migliore piatto della serata.
Cheviche, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Chupe mancora: aragosta, la sua bisque, patate, uova alla coque; un po’ troppo pasticciato.
Chupe manchora, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Causa Nortena aragosta, puré di patate, peperoni, maionese piccante e salsa alla olive nere.
causa nortena, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Cheese cake al passion fruit.
cheese cake, Pacifico, cucina peruviana, Milano
Per finire in bellezza: Pisco Sour.
pisco sour, Pacifico, cucina peruviana, Milano

Al Dinner i londoners più autentici si recano per placare i più disparati istinti conoscitivi.
In primis perché la cucina è quella di Heston Blumenthal, del tristellato The Fat Duck, e una lacuna simile, per un londinese, sarebbe certo inappropriata. Ma ivi si va anche, più edonisticamente, per godere di un’esperienza esclusiva all’interno di una location elegantissima: il Mandarin Oriental Hotel di Hyde Park, nel cuore pulsante del ricchissimo quartiere di Knightsbridge.

Tutto vero, certo, se non fosse che al Dinner si va anche, più prosaicamente, per sopire esigenze diciamo più accademiche, certamente filologiche se comprendiamo l’accademismo che permea il concept di un ristorante che lo stesso sito di Mandarin Oriental non esita a definire di tipo historic-inspired British.
Cosa significa? Semplicemente che quel cervellone di Blumenthal ha edificato una cucina che è come una macchina del tempo orientata, stavolta, verso il passato che scruta con approccio storicistico e ispeziona mediante le spesse lenti della filologia e dell’antropologia. Del resto, solo in questo angolo di old city poteva albergare cotanto accademismo il quale, tuttavia, ha restituito un pasto certamente impegnato ma anche impegnativo, e le cui virtù non sono risiedute propriamente in quella leggerezza che, in ogni epoca e a ogni latitudine, ovunque e sempre, ricerchiamo.

E così, dopo anni di equazioni sulle ricette tradizionali e decadi di proporzioni atte a svelare le possibili ottimizzazioni ricorrendo a espedienti di natura fisica e chimica, Blumenthal approda qui a un personalissimo porto esistenziale, che trova i suoi prodromi nel romanticismo tedesco e nell’avvenirismo tecnico della cucina professionale inglese delle origini.
Ecco l’incipit, l’inalienabile introduzione che contestualizza e ci dice dove siamo giacché, in un pasto come questo, il punto di partenza è importante: un cocktail a base di té al Mandarin bar tanto necessario, si diceva, quanto stordente. Quindi via, si parte dietro alle evoluzioni tecniche orchestrate dallo chef Ashley Palmer-Watts, originario del Dorset, con Blumenthal dal 1999. Per cominciare una Meat Fruit, ovvero un parfait di fegatini di pollo, gelatina al mandarino e pane tostato la cui prima attestazione si fa risalire, secondo il menu, nientemeno che al 1500.
Quindi, appena centodieci anni prima, il rinascimentale Rice&Flash composto da un cortigianissimo riso allo zafferano con coda di vitello e vino rosso, datato 1390.
Un salto di cinquecento anni in avanti, anche per via dei più agili commerci via mare, è quello rappresentato dal Roast Iberico Chop, ovvero un maialino iberico arrostito che si fa risalire all’anno 1820. Un boccone più avanti e siamo nel bel mezzo dell’entusiasmo di metà Secolo breve col Cod in Cider del 1940. È quindi la volta di un piatto della tradizione professionale tanto British quanto lo sono pipa e impermeabile grigio: le patatine fritte in quella tripla cottura che restituisce un morso eccezionale, che da’ dipendenza.
A chiudere la Tipsy Cake, ovvero una brioche calda bagnata con brandy e Sauternes servita con ananas arrosto caramellato la cui prima attestazione risale al 1810. Come chiusura, stavolta, un richiamo all’incipit: il cioccolato al tè Earl Grey.

Note: Per vivere un’esperienza a 360° con la cucina di Blumenthal, c’è anche la possibilità di prenotare il tavolo dello chef, per 4 persone, con un menù su misura al costo di 200£ a persona (150 a pranzo).

Aperitivo a base di té con effetti speciali al bar del Mandarin.
Heston Blumenthal, London
Mise en place senza tovaglia.
Mise en place, Heston Blumenthal, London
Dettaglio del menù.
Menù, Heston Blumenthal, London
Il pane di ottima qualità.
pane, Heston Blumenthal, London
Meat Fruit: parfait di fegato di pollo, gelatina al mandarino e pane tostato (signature dish).
meat fruit, Heston Blumenthal, London
Rice&Flesh: riso allo zafferano, coda di vitello e vino rosso.
Rice&flesh, Heston Blumenthal, London
Roast Iberico Chop: maialino iberico arrosto.
Roast Iberico chop, Heston Blumenthal, London
Cod in Cider: merluzzo.
Cod in Cider, Heston Blumenthal, London
Le famose patatine fritte, le migliori mai mangiate.
patatine fritte, Heston Blumenthal, London
Tipsy Cake: un dessert che metterà a dura prova la vostra resistenza; buonissimo ma impegnativo!
Tipsy Cake, Heston Blumenthal, London
Post-dessert: cioccolato al té Earl Grey.
Post dessert, Heston Blumenthal, London
La bella cantina a vista all’ingresso del ristorante.
Cantina, Heston Blumenthal, London
Un dettaglio della cantina.
cantina, Heston Blumenthal, London
L’imponente ingresso del Mandarin Oriental.
Heston Blumenthal, London
L’insegna del ristorante.
l'insegna del ristorante, Heston Blumenthal, London

Location, location, location.
Questa massima, in auge da sempre nel settore immobiliare, è valida senza dubbio anche per il mondo dell’hotellerie, ed è sicuramente la più appropriata per definire la posizione dell’hotel Café Royal, situato proprio nel cuore di Londra, su Regent Street all’angolo di Piccadilly Circus.

Il Café Royal fa parte della prestigiosa catena The Leading Hotels of the World, storica associazione che raggruppa alcuni fra i migliori hotel di lusso al mondo. La struttura originale risale al 1860, e ha subito in tempi recenti una profonda ristrutturazione, a cura di David Chipperfield, con risultati veramente eccezionali.
Nel passato questo luogo è sempre stato uno dei ritrovi preferiti di importanti artisti e celebrità (il sito riporta, tra gli storici frequentatori abituali, Oscar Wilde, George Bernard Shaw, Virginia Woolf, Cary Grant, Elizabeth Taylor, Winston Churchill e Muhammad Ali) ma, rispetto agli altri grandi hotel di Londra, qui si respira un’aria più rilassata e meno formale; il lusso c’è, abbondante, ma non è mai ostentato, e lo si coglie soprattutto nei dettagli che circondano l’ospite, dal momento del suo arrivo fino alla partenza.
Da non perdere assolutamente (anche se non siete ospiti dell’hotel) è la famosissima Grill Room, datata 1865 e ora ribattezzata Oscar Wilde Bar, anch’essa completamente restaurata e portata agli antichi splendori, mantenendo lo stile Luigi XVI originale. Qui il té delle 5 è una vera a propria istituzione, da prenotare sempre per tempo in quanto costantemente fully booked.

La struttura conta 160 tra camere e suites; noi abbiamo soggiornato in una splendida junior suite ricca di amenities e di comfort, che hanno reso indimenticabile il nostro soggiorno.
A cominciare dal fornitissimo angolo bar, dotato non solo di frigo ma di una vera e propria cantinetta personale, con vini di ottimo livello; a disposizione dell’ospite anche una macchina Nespresso, free of charge.
La zona living comprende una lunga scrivania, dove poter lavorare in tranquillità e senza problemi, grazie anche ad un media-center con tutti i tipi di prese e connessioni possibili e immaginabili. Anche l’impianto di illuminazione è studiato per offrire all’ospite la quantità di luce desiderata. Una splendida TV 40 pollici Bang&Olufsen, con base motorizzata orientabile, è un’ulteriore carta a favore dell’ampio lato high-tech.
La sala da bagno è interamente in marmo con pavimento riscaldato, con doccia e vasca separate. Ulteriore chicca, un televisore inserito nella specchiera del bagno.

Completano l’offerta globale dell’hotel uno splendido centro benessere con piscina, idromassaggio, sauna e bagno turco (in ristrutturazione nel periodo del nostro soggiorno), una pasticceria affacciata su Regent Street e un ristorante, con annessa Club House, al primo piano, il cui accesso è riservato agli ospiti vip dell’hotel e ai soci esterni.

Un servizio attento, discreto ma sempre presente caratterizzano l’hotel Café Royal, nel cuore pulsante di Londra. Un hotel per chi vuole essere senza per forza apparire a tutti i costi.

La camera.
camera, Hotel Café Royal, London
Camera, Hotel Café Royal, London
Il bagno e le amenities.
bagno, Hotel Café Royal, London
Bagno, Hotel Café Royal, London
bagno, Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Angolo caffé e bar.
angolo caffè bar, Hotel Café Royal, London
vino, Hotel Café Royal, London
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Il board multimediale.
Hotel Café Royal, London
La colazione.
colazione, Hotel Café Royal, London
Alcuni spazi dell’hotel.
piscina, Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Una vista globale del ristorante…
Hotel Café Royal, London
…e di hamburger e patatine serviti all’interno dello stesso.
hamburger, Hotel Café Royal, London

Da quando ha trovato la propria formula di definizione, il mondo creativo di Filippo La Mantia non ha più subito battute d’arresto.

Si auto-definisce Oste & Cuoco questo palermitano trapiantato prima a Roma, all’hotel Majestic di via Veneto che, grazie a lui, si è rianimato come ai tempi de La Dolce Vita, poi a Milano dove, nell’Anno Domini di Expo, si è insediato nei locali che prima ospitavano lo sfortunato Gold, della coppia fashion Dolce&Gabbana. Tra queste mura, ha dato vita a un locale omonimo che ha la presunzione di gestire come a casa sua, dove ogni cliente diventa nient’altro che un suo ospite, anzi il suo ospite d’onore, per giunta.

E ci riesce, eccome se ci riesce, tra il calore sprigionato dai tessuti che tutto avvolgono e ovattano, ivi è possibile intrattenersi, proprio come a casa, anche in attività che poco hanno a che fare con il cibo, come leggere il giornale oppure, come noi, lavorare alla recensione che state leggendo.

Del resto, si tratta sempre di una questione di formule e, a vedere la reazione del pubblico, milanese e non, sembra proprio che in Italia ci fosse bisogno di un posto come questo: un iper-luogo pervaso di domestica autenticità, eleganza e personalismo, aperto dalle 7,30 del mattino all’una di notte, dove restare, senza imposizioni, dalla colazione al dopo cena. In sintesi? Si tratta di un luogo che ridefinisce lo spazio di una nuova convivialità, di un’ospitalità contemporanea, insomma, che abbatte le soglie di demarcazione del pasto, dei costumi a esso legati e del tempo a esso dedicato.

A vederlo da fuori, senza conoscerne le implicazioni, potrebbe sembrare invero il salotto di un hotel di design, dove ogni seduta è una storia e un’atmosfera a sé stante: divani, poltrone, chaise-longue, triclinii, il tutto a disposizione dei clienti, in uno stile “ordinato ma non finito”, così come lo definisce lo stesso patron.

Filippo La Mantia, del resto, non è solo uno chef: il suo passato, i suoi trascorsi, parlano di molto altro, e si vede, si intuisce in tutto quello che tocca e che poi plasma a sua immagine e somiglianza. Non è più un mistero, infatti, ch’egli in cucina usi solo quello che gli piace, un outing in piena regola che lo ha portato a rinunciare con leggerezza ad elementi come l’aglio e la cipolla che, al La Mantia uomo, difatti, non sono mai andati a genio.

Stesso discorso, per noi, della critica enogastronomica: egli proprio non la teme perché, semplicemente, non lo riguarda, lui con la sua cucina purista, ovvero liberata da odori, salse e soffritti, ma palermitana fin nel midollo, anche nell’ospitalità che, appunto, non conosce né tempi né confini. E il mondo reale gli ha dato ragione, giacché il suo locale è sempre fully booked da una clientela fedele, che non riesce più a fare a meno del mondo parallelo che egli ha creato, che tanto piace ad altre dimensioni, altrettanto stravaganti, come quelle della moda, o dello spettacolo.
E così può capitare di andare da Filippo La Mantia per bere un cocktail e incontrare Sharon Stone, forse anche lei nel novero degli habitué, irretita come noi dall’ambiente, e da una cucina che offre quello che promette: un tuffo di testa nei sapori e nel gusto della tradizione siciliana urbanizzata dall’assenza di grassi e dal contesto. Con dei costi però decisamente sostenuti, probabilmente allineati a ciò che si aspettano questi personaggi ma non certo noi, per quanto proposto.
Del resto, qui non inseguono le stelle Michelin, ci sono già quelle di Hollywood!

La sala al piano terra.
sala, Filippo La Mantia , Milano
La caffetteria (bonus per il caffè espresso-pop servito al banco a 1€).
Caffetteria, Filippo La Mantia , Milano
La mise en place.
Mise en place, Filippo La Mantia , Milano
Il cestino del pane, discreto e non molto vario.
cestino del pane, Filippo La Mantia , Milano
La frittata con capperi e acciughe. In carta ce ne sono sempre quattro; una valida alternativa agli antipasti tradizionali, magari da condividere.
frittata con capperi e acciughe, Filippo La Mantia , Milano
La linguina con la mollica del pane, i capperi, l’acciuga ed il peperoncino dolce.
linguina con mollica, Filippo La Mantia , Milano
Gli involtini di pesce spada con il cous cous tostato alle mandorle.
involtini di pesce spada, Filippo La Mantia , Milano
La cassata siciliana.
cassata siciliana, Filippo La Mantia , Milano