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Geist

Una cucina dall’estetica strabiliante nel cuore di Copenaghen

Bo Bech è un cuoco molto conosciuto in Danimarca. Personaggio televisivo, fotografo, gastronomo, ristoratore e cuoco con una grande personalità.

Il ristorante Geist – in tedesco può significare “apparizione” o “spirito” (di gruppo) – occupa una lussuosa posizione nel cuore di Copenhagen; è un locale raffinato (con un ameno dehors estivo), trendy e frequentato da una clientela esigente e sofisticata, così come la cucina che va in scena, in cui l’estetica del piatto ha un ruolo primario, ancor più rilevante rispetto alla necessità di accontentare qualsivoglia palato. Prima della pancia, infatti, i piatti di Bo Bech richiedono un propedeutico approccio mentale. Solo dopo essere entrati in sintonia con il pensiero dello chef, si riesce a fare integralmente tesoro dell’esperienza.

Pochi ingredienti di grande qualità e un approccio concettuale ai piatti

Un trittico di ingredienti come l’avocado, il caviale e l’olio di mandorla sono in grado di creare un composto equilibrio votato alla massima pulizia del gusto. Non c’è bisogno di altro, salse, riduzioni, aromi o ulteriori elementi commestibili per caricare di gusto – o anche esteticamente – il piatto.

Il risvolto amaro è ben celato tra gli ingredienti e riequilibra dolcezze, sapidità e voluttuosità.

Nel caso del Carpaccio di aragosta (dal profondo sapore marino), l’ibisco e lo yuzu si scalzano a vicenda tra un saliscendi di aromaticità e acidità. Poi si assaggia l’eccellente Rombo, scoprendo che vien cucinato in maniera tradizionalissima, alla francese, con la componente grassa che viene attenuata in una nota di freschezza dal finto raviolo di finocchio e liquirizia (ancora amaro, ma elegante).

Ci si diverte anche con le carni, nessuna bassa temperatura e tanta padella, e ancor più con i dessert, poco zuccherini e molto freschi, preceduti da un goloso connubio di Blue Stilton,  cioccolato bianco e crumble al cacao nero, a spezzare i confini ormai sempre più labili tra dolce e salato.

Non è una cucina accomodante, ma è impeccabile la modalità di esecuzione e sorprendente il momento postumo dell’esperienza, quando ci si ritrova leggerissimi, soddisfatti e appagati anche mentalmente.

La cucina di Bo Bech è molto vicina a una forma d’arte, è essenziale e senza fronzoli. E ci piace tanto.

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La versione 2.0 di una delle più esclusive esperienze gastronomiche dell’ultimo decennio

Prima regola di René Redzepi: vietato concepire un semplice ristorante…

Il Noma aveva chiuso i battenti un anno fa, nell’entusiasmo generale per l’aspettativa del trasferimento del ristorante in una dimensione potenziata. Facevano da preludio intriganti e uniche escursioni fuori dai confini nordici, a sperimentare e cimentarsi con un clima diametralmente opposto a quello familiare, come la ricerca di ingredienti semi-sconosciuti nella giungla del Messico, che insieme all’esperienza del pop-up australiano ha probabilmente indotto Redzepi a reinventare la sua cucina e il suo Noma.

Invero, René Redzepi non si è mai fermato. Oggi il Noma non è nè un ristorante, nè una brigata, è un’esperienza, anzi, una Comune con decine di persone che, ogni santo giorno, mettono anima e corpo in quel che fanno, che sia cucinare o piuttosto stampare i menu o piegare con cura i tovaglioli.

Si respira un magico entusiasmo a 360 gradi, che proietta il commensale in un’esperienza unica nel suo genere. A cominciare dalla straordinaria accoglienza di tutti coloro che vivono e lavorano in questo ristorante, laboratorio di idee in cui, con il passare del tempo, l’asticella si alza sempre di più.

All’arrivo del taxi ti aspettano sul ciglio della strada, conoscono il tuo nome e la tua nazionalità. E sanno che l’emozione è grande. Ti accompagnano per una passerella in legno in cui ti spiegano e illustrano cosa succede nelle serre-laboratorio dove si sperimenta in continuazione, tra nuovi piatti, studio di ingredienti e tecniche di lavorazione. E, nel frattempo, René Redzepi e i suoi fedelissimi ti vengono incontro per darti il caloroso benvenuto. Giunti alla porta d’ingresso del ristorante, ti chiedono di aprire ed entrare come fosse casa tua. Cuochi e camerieri ti danno un benvenuto ad alta voce, sorridendoti, come se fossi l’unico ospite del giorno.

Tre percorsi concettuali ogni stagione: una sfida nella sfida

La location è spettacolare. Un ex magazzino-bunker incendiato, situato nello stesso distretto della comunità hippy di Christiania, è stato trasformato in un’imponente struttura di design, con annessi orti e laboratori hi-tech, che conserva opere d’arte appositamente pensate per questo luogo: si va da Tomàs Saraceno a Olafur Eliasson.

I posti a sedere sono una quarantina di cui quattro, ogni sera, sono riservati a studenti (a un prezzo di circa 130 euro a persona).

Il menu, appena andato in scena, è interamente incentrato sul mare e i suoi frutti. Il prossimo verterà su verdure e vegetali senza l’utilizzo di ingredienti animali, mentre quello autunnale avrà come protagonista la selvaggina.

Si va da molluschi centenari – pescati nei fondali delle acque delle Isole Fær Øer da un avventuriero sub scozzese – a meduse,  cozze giganti,  alghe marine sconosciute, ma anche erbe spontanee ricercatissime, pesto di formiche, reinterpretazioni scandinave del curry. E si chiude con sofisticati dessert con gelati di alga kelp, pigne selvatiche e plancton.

Si percepisce sotto tutti i punti di vista la scelta premiante e complessa di ricercare il prodotto raro ancor prima che eccellente, come se si rincorresse una chimera (pensate che la materia prima costa un quarto del prezzo complessivo del menu, pari a circa 320 euro). È impressionante la profondità e la consistenza di ostriche, cozze e altri molluschi, ingredienti che approdano dalla rete direttamente nel piatto per apprezzare appieno la loro intensità naturale.

E i piatti meravigliosi sono più di quelli interessanti, ma più ostici. Quella di Redzepi è pur sempre una delle cucine più sperimentali che ci siano in circolazione.

Lo testimoniano preparazioni come la Testa di merluzzo glassata con una salsa di ali di pollo, a metà strada tra un teryaki e una salsa bbq, con intingoli e condimenti di accompagnamento da urlo, come il famoso pesto di formiche, dalla prorompente acidità citrica, e ancor prima, due meravigliose preparazioni in cui l’innovazione si fonde alla perfezione con sapori più tradizionali, con lo Stufato di cozze (che sembra un ragout speziato dal sapore spagnoleggiante) e il Calamaro – dalla consistenza perfetta – appena laccata da un delicato burro alle alghe. Il momento migliore la riserva l’Insalata di erbe e lumache con sottaceti e petali di rosa essiccati, una preparazione che lascia molte sensazioni in bocca rinfrescando piacevolmente il palato sul finale.

Tante, tantissime novità che, ovviamente, interessano anche il sistema di prenotazioni. Al momento della conferma del tavolo si paga interamente il costo della cena pro-capite. Circostanza che consente di fare cassa già dai 3 mesi precedenti alla prenotazione.

La sala e la cucina vengono gestite con meticolosa attenzione e professionalità da giovanissimi talenti; il cameriere incaricato di coccolare il nostro tavolo parlava perfettamente tre lingue, oltre a essere di una simpatia rara.

Prima di lasciare il ristorante, si viene accompagnati in un giro in cui si scopre che, quello che si era immaginato è in realtà ancora più grande e complesso, dal momento in cui sono oltre settanta le persone che fanno girare questa incredibile macchina dei sogni.

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Un tristellato allo Stadio

La voce “antidivo” sulla Treccani recita: “Personaggio che, pur godendo di grande notorietà e popolarità si dimostra schivo di quegli atteggiamenti esibizionistici ed eccentrici che sono solitamente tipici della categoria dei divi”. A Copenaghen, Rasmus Kofoed, “all’ombra” del divo René Redzepi e del suo nuovo Noma, interpreta nel suo ristorante Geranium una cucina nordica caratterizzata da eleganza, bellezza, creatività, ossessione per l’organic e la stagionalità.

Copenaghen rappresenta oggi una delle capitali più dinamiche dal punto di vista culinario: le stelle nella città continuano a crescere, ma (inaspettatamente per alcuni, a ragion veduta per altri foodaholics), il primo e al momento unico ristorante che può vantare il massimo voto della Michelin è appunto Geranium. Situato appena fuori dal centro cittadino e all’ottavo piano del complesso che ospita il bellissimo stadio della capitale danese (chi lo avrebbe mai detto!), il ristorante si presenta come una vetrina d’eccezione sullo skyline e sul verde del vicino Fælledparken. Di giorno le ampie vetrate conferiscono lucentezza a un ambiente sobrio ed elegante in cui, tra i toni scuri delle pareti, le tonalità chiare del pavimento e il bianco delle tovaglie, spiccano diversi elementi di marmo. Tra tutti, la cucina posta in fondo alla sala perfettamente integrata a creare un unico spazio senza barriere.

Il servizio di sala è garbato, meticoloso e al tempo stesso leggero, a tratti informale. Tante nazionalità tra il personale, per mettere il più possibile a proprio agio il cliente, raccontare e far vivere l’esperienza al meglio. La nostra guida e compagno di viaggio è Mattia Spedicato: salentino, a Geranium da qualche anno. Alle spalle la classica la gavetta di chi è entrato come “ultimo della classe” e ha saputo giocare bene le sue carte diventando prima sommelier e poi assistant manager del ristorante.

Lo chef e la sua brigata, a pochi passi dai tavoli, si muovono tra i grandi blocchi di marmo della cucina con estrema discrezione ed eleganza: poche parole, tanti sguardi e comunicazioni lampo, un meccanismo coordinato e perfetto che trasmette calma e serenità e coinvolge gli stupiti spettatori quando più volte dalla cucina lo stesso chef esce per rifinire i piatti al tavolo.

È in questi momenti che Rasmus Kofoed si svela agli occhi dei suoi clienti. Non con un semplice racconto del piatto, ma evidenziando ogni singolo ingrediente biologico, che provenga dal sottobosco o dalla vicina fattoria. Non si spiegherebbe altrimenti la presenza di tre statuette del Bocuse d’Or all’interno del ristorante. Lo chef, da capitano della nazionale danese vanta, unico caso, tre partecipazioni al prestigioso premio. Ha vinto il bronzo (2004), l’argento (2007) e infine l’oro (2011).

L’Universo primaverile un piatto dopo l’altro

Nessun menu, ma un unico percorso stagionale. Ogni singolo piatto di Spring Universe è un continuo richiamo alla natura, al luogo di origine, alla biodinamicità. E ci sarebbe poco di cui meravigliarsi, se non fosse che ogni piatto si rivela come un piccolo grande capolavoro: la pulizia e la bellezza emozionano e stupiscono.

Il menu, a partire dagli appetizers, regala gustosissimi piatti caratterizzati da grande “semplicità”, come i Crispy Leaves, Walnut Oil & Pickled Walnut Leaves (Foglioline Croccanti, Olio di Noci & Foglie di Noci Sottaceto) e complesse e stupefacenti realizzazioni come “Beetroot Stone” Scallop & Horseradish (“Pietre di Rapa Rossa” con Capesante Norvegesi & Rafano).

Un autentico capolavoro è la ricostruzione dei cannolicchi di mare con la creme fraîche (“Razor clam” with minerals & Sour Cream): il gusto è pieno, avvolgente, a tratti inebriante. È un assaggio di mare esaltato dall’utilizzo del dragoncello e della panna acida.

Acidità è la parola chiave nella cucina di chef Kofoed, a volte accompagnata da interessanti affumicature come nel caso del Celeriac, Sol & Juice from smoked yogurt (Sedano Rapa, Alga Söl & Siero di Yogurt Affumicato). Il pane di grani antichi e con i cereali giunge nel mezzo del pranzo, prima delle portate principali, accompagnato da un delizioso e irresistibile burro di pecora. Ma l’apice lo si raggiunge con il “Marbled” Hake, Caviar & Buttermilk (Merluzzo “Marmorizzato”, Caviale e Latticello). Piatto firma dello chef è assieme gusto, eleganza e bellezza.
Le portate principali terminano con un tanto succulento quanto aromatico agnello con pino sottaceto, topinambur e tartufo che regala un equilibrio perfetto nonostante i sapori forti e decisi che convivono nel piatto.
La chiusura del menu è affidata a un simpatico e divertente dessert “This is the End”, un minuscolo teschio nero che schiudendosi in bocca regala una goduriosa esplosione di caramello salato.

La cantina vanta vini provenienti da tutto il mondo: grande spazio è dedicato agli champagne e alla Francia in generale, con nutrite incursioni negli Stati Uniti e in Italia. Particolarità ulteriore di Geranium è la possibilità di scegliere una degustazione di succhi di frutta homemade in abbinamento al menu.

Difficile rassegnarsi alla conclusione del pranzo: l’esperienza è fin troppo emozionante, appagante e coinvolgente. Per quanto banale possa sembrare, la visita a Geranium rientra tra quelle cose che un gourmet dovrebbe fare almeno una volta nella vita.

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Fermento gourmet a Copenhagen. La modernità vintage del nuovo eclettico locale griffato René Redzepi

Oltre ad essere una tra le città più vivibili al mondo, Copenhagen è attualmente uno dei posti più interessanti dove mangiare. L’ultima trovata del geniale -ed instancabile- René Redzepi è il 108 (numero civico dell’edificio che ospita il locale in Strandgade).

Aperto da soli otto mesi e fresco di Stella Michelin, il 108 è una bicicletta nuova fiammante che nella sua modernità mantiene linee vintage ben studiate. Si viaggia veloci e leggeri senza dover rinunciare al brivido di poter percorrere sentieri meno convenzionali. Il come lo si scopre dal menù, che si divide tra veri e propri assaggi gourmet (rigorosamente in stile nordico) -su tutti i gamberi crudi, fragole verdi fermentate e acetosella e la barbabietola, cuore di vitello affumicato e ginepro- ed una proposta “comfort” a scelta tra tre piatti principali da condividere, a base di carne, pesce oppure vegetali: costola di manzo, cipolle grigliate, burro affumicato e capperi di sambuco; coda di rospo all’osso con cetrioli fermentati, alghe e salsa alle cozze; cavolfiore grigliato con salsa alle nocciole e pino.

Le opzioni di percorso suggerite sono dunque due: o costruirsi personalmente un’intera degustazione o, dopo un paio di assaggi, optare per una tra le generose portate principali (dette Livretter, parola danese che indica il “piatto preferito”), terminando con il dessert. L’offerta dei dolci si limita a soli tre piatti, comunque tutti molto interessanti su carta.

Lista vini essenziale con etichette per lo più francesi; si può acquistare la singola bottiglia oppure richiedere il calice. Il servizio è informale ma attento; la brigata tra sala e cucina mette insieme una ventina di ragazzi provenienti dalle più svariate parti del mondo, capitanati dal giovane chef trentenne Kristian Baumann (di origine coreane ma danese d’adozione), in grado non solo di seguire le orme del grande capo ma, grazie alla fiducia conquistata, capace di imporre la sua firma con personali creazioni ben realizzate come le ormai immancabili oxballs, frittelle ripiene di carne fatte con la rielaborazione di una pastella giapponese, quella dei takoyaki. Durante la bella stagione l’intero staff si occupa di foraging nei boschi circostanti, portando in cucina germogli, fiori, bacche, ortaggi selvatici e tutto ciò che di edibile offre il territorio per trasformarli in ingredienti da utilizzare in menù nel corso dell’anno. Come avveniva al Noma, i cuochi supportano il lavoro in sala prendendo parte al servizio ed interloquendo direttamente con il cliente, disponibili a racconti e spiegazioni dettagliate.

Traspare la voglia di portare avanti un concetto di ristorazione divertente e concreto, estremamente territoriale ed essenziale, con tante piccole attenzioni. Una cucina ricca di dettagli che tende a valorizzare l’ingrediente principale, incorniciandolo con una svariata serie di prodotti-auto-prodotti, tra cui polveri, oli, salse e vegetali fermentati. E non spaventino l’ambiente alquanto freddo e la scelta di tenere i tavoli piuttosto ravvicinati, al 108 si sta bene e si mangia ancora meglio. Inoltre, visto e considerato che ci troviamo in Danimarca, i prezzi sono più che accessibili, perfettamente in linea con la qualità del cibo e del servizio offerto.

Manfred’s & Vin è un posto che, sinceramente, non conoscevamo. Eravamo a cena al Relæ quando il giovane sommelier italiano, chiedendoci con le cortesi domande di rito come stesse andando la nostra permanenza in terra danese, ci consigliò un indirizzo, a suo avviso, “molto particolare” in cui pranzare l’indomani.
Come in molte capitali europee, la domenica è il giorno di chiusura dei ristoranti gourmet. “Siete andati al Manfred’s vero? Se non siete ancora andati ci dovete andare! È uno dei ristoranti più alternativi della città“. “Chi è lo chef?” chiediamo noi. “Nessuno chef, solo una decina di pazzi che si cimentano in accostamenti strani e innovativi e sperimentano ingredienti nuovi. Il cliente è una sorta di cavia“, ribadisce il ragazzo. Solo un istante dopo, capiremo che il posto in questione, ubicato proprio di fronte a noi, è “l’altro” ristorante del gruppo di imprenditori che sta dietro al Relæ di Christian Puglisi. Un luogo dal concept simile a quello del suo gemello, ma in chiave decisamente più informale (si, ancora di più).
Considerato il primo natural wine bar in città, Manfred’s offre una cucina incentrata su preparazioni rustiche che acquistano valore grazie a tecniche di preparazione più evolute. Le radici del cibo nordico non vengono certo imbastardite, sebbene non manchi una contaminazione di stili più moderni che contribuiscono ad affinarle.
Fornelli a vista con bancone e qualche posto a sedere, due piccole salette arredate in uno stile finto vintage, un bancone di vini sfusi con tanto di sommelier a cimentarsi nella degustazione olfattiva e non di diverse miscele di vini biologici. Bastano pochi dettagli per fare di un locale piccolo e sobriamente arredato, uno dei posti più trendy della città.
Ci si fa un’idea, neanche eccessivamente approssimativa, sull’autentica cucina scandinava e su quelli che sono alcuni prodotti alimentari della zona: si dà spazio ad ortaggi biodinamici di Kiselgården, radici di Lammefjorden, maiali di Grambogaard, agnello di Havregaard e tante erbe delle foreste locali.
La cantina, rigorosamente anch’essa a vista, fa mostra di etichette di vini naturali (ça va sans dire) tra i quali riconosciamo qualche rinomato produttore di casa nostra.
Interessante la scelta di creare una società di importazione fai da te chiamata Hvirvelvin (i pallet se li vanno a prendere direttamente dal produttore), gestita dal sommelier Anders Frederik Steen, il cui manifesto elogia e supporta i vignaioli eroici che lottano con passione per ottenere vini naturali.
Il menù cambia giornalmente (davvero!) e prevede due piatti di verdura, un uovo e, a scelta, un piatto di carne o di pesce. Noi, ovviamente, abbiamo assaggiato tutto per farci un’idea d’insieme, constatando, ancora una volta, un’ottima qualità degli ingredienti, verdure in primis, una cottura perfetta del piatto principale (il maiale) e un uso accentuato di erbe aromatiche. Il tutto ad un prezzo decisamente ragionevole per la città.


Pane, sempre di un tipo, sempre ottimo da queste parti.

Carote marinate ai fiori di sambuco.

Cetriolo con bergamotto e noci. Unica concessione extraterritoriale con l’utilizzo dell’agrume, tipico delle nostre terre.

Tartare di merluzzo, crème fraiche, mostarda, limone, finocchietto e pane essiccato. Segnali evidenti di territorio.

Uovo in camicia con erbette aromatiche.

Cavolo cappuccio, crema di birra e burro, finocchietto fresco. Anche qui, perfetta espressione del territorio.

Asparagi bianchi, cipolle in agrodolce e funghi.

Maiale con mostarda e pelle di maiale fritta. Eccellente la cottura della carne.

Torta di carota, crema di latte di pecora, caramello chips di carote, assolutamente di alto livello.

Tavolo

Cantina

Ingresso