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Gen Yamamoto

Lo Zen e l’Arte del cocktail alla frutta

Un viaggio in Giappone, se si ha la fortuna di tornarvi con una certa frequenza, si traduce sempre più spesso nella ricerca del perfetto shokunin, l’artigiano che trova il senso della sua esistenza nella pratica del proprio lavoro nel modo migliore immaginabile, attraverso la ripetizione quotidiana di gesti sempre più sapienti, in una tensione continua alla perfezione.

Un passaggio da Gen Yamamoto è un’esperienza molto didattica in questo senso.

L’ambiente ha la semplicità e l’eleganza che solo da queste parti si riesce a coniugare così bene: una decina di posti scarsi intorno a un antico, meraviglioso bancone di quercia. Pochi scaffali con qualche bottiglia esposta, un vaso in un angolo con un ramo fiorito. Al centro della scena, operoso ma tranquillo, lui, Gen, impeccabile nel suo smoking bianco, a preparare le sue meraviglie.

Cocktail che danno alla frutta del Giappone il risalto che merita, accompagnandola con i contrappunti alcolici più adeguati per un risultato finale sempre originale, sorprendente e appagante.

La proposta è declinata in due possibili menu “degustazione” da 4 o 6 bevande, spiegate con dettaglio di particolari nell’ottimo inglese del protagonista che ha vissuto a lungo a New York.

E se tutto è inevitabilmente eccellente, quello che più colpisce è l’armonia generale, il senso profondo che un’oretta da queste parti regala, immancabilmente ogni volta che si ritorna in questi pochi metri quadrati. Un piccolo tempio in cui si officia, ogni giorno, una cerimonia di bellezza e semplicità che regala un’ora magica a chi vi partecipa e mostra quanto in questo meraviglioso paese si riesca sempre a costruire novità che poggiano su “strati” di storia. Senza sfoggi, senza concessioni alle mode, lasciando agli ospiti e alla loro curiosità lo spazio giusto per cercare di farsi loro stessi attori di questo rituale.

Imperdibile è aggettivo abusato per le esperienze da queste parti, ma in casi come questo è difficile trovarne un altro.

Paco Meralgo
Parco Meralgo, Barcellona
La rilettura in chiave “haute cuisine” del classico tapas bar. Tutto è addobbato a festa in questo locale che gioca con le parole “para – comer – algo”, tradotto “ per mangiare qualcosa”: dall’arredo, decisamente più fashion del medio tapas bar, alla presentazione dei piatti.
Tapas di buon livello, eppure qualcosa stride nel meccanismo: sembra mancare un’anima a questo locale che cerca di darsi un tono senza riuscirci fino in fondo. Gamberi di Palamòs non degni della loro fama, ostriche senza infamia e senza lode, da non perdere invece le favolose crocchette di seppia. Non basta una bella scatola a rendere interessante il regalo.
Parco Meralgo, Barcellona
Parco Meralgo, Barcellona
Parco Meralgo, Barcellona
Insalata Paco Meralgo.
insalata, Parco Meralgo, Barcellona
Patate bravissimes.
Patatas Bravas, Parco Meralgo, Barcellona
Crocchette di pollo e prosciutto e Crocchette di seppie “Obama”.
Crocchette, Parco Meralgo, Barcellona
Crocchette, Parco Meralgo, Barcellona
Pan y tomate.
Pan y tomate, Parco Meralgo, Barcellona
Asparagi verdi grigliati.
Asparagi, Parco Meralgo, Barcellona
Gamberi di Palamòs alla piastra.
Gamberi, Parco Meralgo, Barcellona
Ostriche galiziane.
Ostriche, Parco Meralgo, Barcellona
Cannoli alla crema.
Cannoli, Parco Meralgo, Barcellona
Crema catalana.
Crema Catalana, Parco Meralgo, Barcellona
Melone.
Melone, Parco Meralgo, Barcellona

Dry Martini
Dry Martini, Barcellona
L’indizio su cosa ordinare sta nel nome del locale stesso.
Questo cocktail bar di gran fascino fa parte dal 1996 dell’impero di Javier de las Muelas, ma è stato aperto nel 1978 da Pedro Carbonell. A quell’epoca veniva servito solo ed esclusivamente dry martini, e in questi 37 anni ne sono stati serviti più di un milione (c’è un conteggiatore alle pareti).
Dry Martini, Barcellona
Un dry martini eccezionale, difficile trovare di meglio.
Dry Martini, Barcellona
Buoni anche gli altri cocktail disponibili in carta, più o meno classici.
Kumquat Mojito.
cocktail, Dry Martini, Barcellona

Cala del Vermut
Cala del Vermut, Barcellona
Nonostante la posizione estremamente centrale e il conseguente afflusso turistico, questo locale mantiene una identità molto forte ed è anche frequentato da autoctoni.
Buona qualità delle tapas, semplici ma ben fatte, di impostazione decisamente rustica.
Pochi fronzoli, tanta sostanza, per un locale quotidiano
Una tortilla da urlo, ma è da provare assolutamente il vermut.
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
prosciutto, Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona
Vermouth, Cala del Vermut, Barcellona
Cala del Vermut, Barcellona

Negro Carbon
Negro Carbon, Barcellona
Davvero buono l’hamburger di questo locale a due passi dalla fermata della metro Barceloneta che, oltre ai panini, serve carne alla griglia di ottimo livello.
Bella atmosfera, servizio cordiale: un ottimo indirizzo per un pasto veloce di grande soddisfazione a poco più di 10 euro.
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Negro Carbon, Barcellona
Negro Carbon, Barcellona
Don Pollo: petto di pollo con cipolla, lattuga e peperoni (con pane ciabatta).
Don Pollo, Negro Carbon, Barcellona
Don Pollo, Negro Carbon, Barcellona
Gringa: Bacon grigliato, formaggio cheddar e Emmental, cetriolo sottaceto, lattuga e pomodoro. Accompagnto da anelli di cipolla e salsa Barbacoa N.C.
Gringa, Negro Carbon, Barcellona

E, per finire, una carrellata di indirizzi segnalati come interessanti, purtroppo non testati direttamente da noi.

Bar Canete – Carrer de la Unió, 17 – aperto dalle 13 alle 24 1

Tossa –Carrer de Nàpols 291 tossabcn.com. Aperto lun-ven 7am-11pm, Sabato 7am-5pm

Quimet i Quimet
Carrer del Poeta Cabanyes 25, Aperto lun-ven 12-4pm, 7pm-10.30pm, Sabato 12-4pm

Maitea
Carrer de Casanova 157, maitea.es. Aperto lun.sab 11am-24

Casa Jacinta
Carrer de Tamarit 154, Aperto lun.sab 11.30am-4pm, 6.30pm-24, Dom 11.30am-4pm

Bar Bodega Quimet Carrer de Vic, 23

Morryssom, Calle Girona, 162

Dos Palillos, http://www.dospalillos.com/home.php?rest=1&lang=es ,Carrer d’Elisabets, 9

Casa de Tapes Canota http://casadetapas.com/contacto/
Carrer de Lleida, 7

Mundial Bar, Plaça Sant Agustí Vell 1, Aperto dal martedì alla domenica 13-16.30 e 21-23.30

Can Kenji, Carrer del Rosselló, 325,
http://www.cankenji.com/

Bacoa Universitat (hamburger)
Ronda de la Universitat, 31 oppure Carrer del Judici, 15

Barcellona

Abbiamo dovuto uccidere la bestia. Dopo tanti anni, avevamo paura che la passione morisse”.

Lo disse qualche tempo fa Albert Adrià. Parlava del Bulli, ovviamente. Per fortuna, però, lui e il fratello si erano sbagliati di grosso. La loro passione per la cucina non è mai stata accesa come adesso.

Tutto ciò che si può scrivere oggi su Ferran Adrià, dopo tutto quello che è stato detto, scritto e pensato da quando il genio catalano è entrato in scena cambiando radicalmente il volto della cucina creativa mondiale, potrebbe essere retorico. È dato certo che in pochi hanno avuto il privilegio di provare la sua cucina.

Sedere ad uno dei tavoli nel leggendario ristorante di Cala Montjoi è stato per molti, compresi alcuni di noi, un miraggio di indefinita durata. Non nascondiamo che, per chi non c’è riuscito, la mancanza di un’esperienza gastronomica di tale peso resterà forse il più incolmabile cruccio di questa passione.

Data l’impossibilità, almeno per ora, di mangiare in quel luogo, i geniali fratelli di Roses hanno trovato una degna soluzione: la cucina esperienziale di El Bulli in un contesto raccolto, informale, innovativo e singolare, nella città catalana per eccellenza. Semplice e geniale. E non poteva essere altrimenti.
Così, a due anni dall’ultima cena servita nel più famoso ristorante dell’ultimo ventennio, ha visto la luce l’impero gastronomico di Albert Adrià che, con ben quattro (ma fra poco ne verrà alla luce un quinto) locali diversi, si sta imponendo come il nuovo re Mida della ristorazione mondiale. E, chiariamo, non è solo una questione di nome se Tickets e compagnia bella sono in overbooking tutto l’anno.
Tra tutte le sue nuove e geniali creature, merita grande considerazione il 41° Experience che ci aveva già impressionato lo scorso anno.

Ubicato in Avinguda del Paral-lel, la strada che coincide con il 41°22’34” parallelo terrestre nord, questo non è un semplice ristorante ma una vera e propria esperienza sensoriale a 360 gradi partorita da una mente perfezionista. Basta accaparrarsi, con largo anticipo, sul web uno degli otto tavolini (non è impresa difficilissima ma tocca pagare una discutibile caparra) per vivere l’essenza di un’esperienza gustativa, olfattiva, tattile, uditiva e visiva totalizzante e farsi un’esaustiva idea di cosa sia la tanto acclamata avanguardia culinaria. Tutto ciò in uno spazio piccolissimo ma confortevole, un vero e proprio cocktail bar.
Sedici coperti, un solo menù.
Del Bulli sono rimasti qualche piatto memorabile che ne ha fatto la storia, ma soprattutto lo spirito e parte del team creativo tra i quali il geniale direttore creativo argentino Sebastiàn Mazzola, ancora poco conosciuto, ma del quale si sentirà parlare nell’imminente futuro. Insieme ad Albert sono anche i creatori dell’originalissimo Pakta, che fa cucina “nikkei”, un ibrido tra la cultura giapponese e quella peruviana.

L’ambiente sembra, d’impatto, crepuscolare, ma una serie indefinita e confusa di immagini proiettate su 20.000 lastre di cristallo pendenti dal soffitto crea un’atmosfera rilassata, calda, quasi ipnotica cui ci si abitua col passare del tempo. Si tratta di un’installazione conosciuta come “Frosted Rain”, opera dell’artista spagnolo Javier Milara.
Le immagini sono accompagnate da un sottofondo musicale che muta al mutare delle portate, dando la sensazione di stare seduti all’interno di un’installazione artistica.

Questo è, più o meno, quello che si trova e vi aspetta al “Quarantunesimo”.

41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona

Tutto secondario al cospetto dei piatti-assaggi che vi arriveranno sotto gli occhi. Preparazioni di pochi centimetri di diametro, ogni piatto è un piccolo scrigno che custodisce una supernova di sapori.
Solo al momento dell’assaggio si può avere un’idea della rivoluzione culinaria degli Adrià.
Freddo, caldo, freddo, dolce, amaro, freddo, piccante, carne, pesce, frutta, poi pesce, ancora carne, infine dolce. Una palestra per il palato che azzera, o forse ridefinisce, i canoni delle priorità degli ingredienti a tavola.
Quarantuno portate per un totale di una cinquantina di snack, suddivisi in “paesaggi” geografici di tutto il mondo innestati in un preciso contesto stagionale (nel nostro caso “l’autunno”). Una cucina che consente al commensale di viaggiare tra terre e sapori che spaziano dalla rivisitazione di piatti e ingredienti simbolici della cultura italiana, alla tradizione scandinava, passando per il Messico e il Perù, spingendosi fino al Giappone, al Vietnam e alla Thailandia, senza mai trascurare, ovviamente, la tradizione catalana e i sapori mediterranei. In alternanza verranno serviti cocktail, vini e birre. Anche il mariage cibo-bevande è studiato nei minimi dettagli, così come le singolari, bellissime stoviglie, parte integrante delle creazioni.
E poi c’è il servizio, capace di garantire il medesimo lasso di tempo – circa 4 minuti di attesa – tra un piatto e l’altro (avvertiteli se dovete assentare), sempre pronto a pulire il vostro tavolino ed eliminare ogni briciola dopo ogni portata.
Un servizio realmente su misura. Corale, preparato, multilingue (il nostro cameriere parlava benissimo anche l’italiano) e pronto a raccontare ogni minimo dettaglio del singolo piatto, nonché la storia dietro l’idea, contribuendo attivamente a rendere quella del 41° un’esperienza davvero unica, da fare almeno una volta nella vita.

Picnic Cocktail, a base di fiori di sambuco e more.
Pia nic, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Paesaggio autunnale: ricordiamo lamponi caramellati con wasabi, pistacchio con miele di pistacchio; uva con lime e timo.
paesaggio autunnale, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Pere infuse in succo di barbabietola e arancia.
pere infuse nella barbabietole, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Perla al sesamo nero.
perla al sesamo nero, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Olive ripiene di acciughe (un classico del Bulli).
olive ripiene di acciughe, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Cozze marinate con patate soffiate e polvere di salsa “espinaler”.
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Vermouth.
Vermouth, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Con il “pizzicato five” (omaggio ad un gruppo pop giapponese la cui musica era in sottofondo) arrivano le chips piccanti di tentacoli di piovra e mais…
Pizzicato Five, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
…e alghe croccanti con quinoa.
alghe croccanti, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Inizia il viaggio in Italia con la divertente mini burrata fatta in casa (che pecca solo di una accentuata sapidità della pasta filata)…
Mini burrata, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
…e la rivisitazione in perfetto stile “bulliano” della pizza che sprigiona prima olfattivamente, poi in bocca, ogni singolo ingrediente (pomodoro, mozzarella disidratata, gelatina di olio d’oliva e basilico fresco).
pizza, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Chiude il trittico italico il gustoso sottobosco autunnale: porcini disidratati e cannolo con crema di parmigiano.
sottobosco autunnale, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Si fa un passo nel passato al Bulli anno 2004: air baguette con prosciutto iberico gran riserva “Joselito”.
Joselito, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Inizia il “paesaggio nordico” con il fantastico salmone affumicato con uova di salmone e panna acida, adagiati su una pellicola che nasconde un fumo di pino molto denso.
salmone affumicato, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Accompagnato da un succo di frutti rossi.
Frutti rossi, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
“Shot Caviar”: variazione di uova con caviale beluga, nocciola e melanzana.
shot caviar, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Toast and carrots. Ecco le carotine baby…
Toast and carrots, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
e il toast con carne cruda, scalogni, aneto e caprino.
toast con carne cruda, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Dai toni freddi a quelli calienti: ecco il “paesaggio messicano”: tequila sferica…
tequila sferica, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
…accompagnata da succo di agave.
Agave, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Una birra spagnola: Shipa India Pale Ale…
indian pale ale, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
…accompagna l’eccezionale taco coni gamberi “aguachile” (peperoni, lime e cipolle).
gamberi, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Si va in Vietnam: il panino Banh Mi, farcito con maialino iberico cotto per 36 ore. Non siamo nemmeno a metà, ma da qui inizia il meglio della cena.
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Ecco il Perù. Un fantastico cocktail rivisitato: l’atahualpa 2.0 (Cachaca, ananas, pesca, zucchero e lime).
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Ceviche norteno.
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Uno dei paesaggi migliori, quello giapponese. Si parte con il pregiatissimo sakè Sohomare Kimoto Junmai Ginjo.
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Temaki fritto ai ricci di mare. Boccone di puro piacere.
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Anelli di cannolicchi con salsa di soia. La tradizione delle tapas incontra il Giappone con un’eterea tempura.
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Cannolicchio che viene riproposto in un’altra raffinatissima preparazione, in scapece con ciccioli di maiale.
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La vetta più alta del piacere si tocca con il “paesaggio Thai”. Magnifica la zuppa di calamari e insalata di mango.
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Il delizioso agnello piccante.
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Per la serie le sorprese non finiscono mai.. udite udite, è l’ottimo Frappato di Cos ad accompagnare…
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…il “mountain fideua”, ricetta andalusa mari e monti, a base di tipici funghi spagnoli (simili ai finferli) e seppia tagliata tipo vermicelli.
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Pane, formaggio e tartufo bianco d’Alba.
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Un calice di Palo Cortado Vors trentennale accompagna l’ultimo boccone salato.
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La tartelletta al foie gras e mandorle.
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Si apre lo show dei desserts. Entra la postazione mobile di ghiaccio e azoto liquido…
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…per il Nitro Pineapple: una crema di vaniglia, ananas e rhum trasformata in gelato espresso.
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Seguito da una micro pesca disidratata al mango. Esplosione di piacere.
41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Fichi.
fichi, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Oroley Martini. Fatto con una qualità oro della Lavazza.
trolley Martini, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Banana Musubi.
41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Nido al passion fruit, anch’esso esplosivo.
nido al passion fruit, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Non una cupcake ma una incredibile torta al limone. Con il pirottino che è in verità una finissima pellicola di zucchero.
torta al limone, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
Si chiude con i cioccolatini.
cioccolatini, 41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona
41° Experience, Chef Albert Adrià, Sebastiàn Mazzola, Barcelona

Dovendo citare i cinque ristoranti più cool in Europa di questi tempi, il The Jane non potrebbe mancare. All’interno di una chiesa sconsacrata, la nuova avventura di Sergio Herman dopo la chiusura dell’Oud Sluis ha tutto per piacere alla gente che piace: spazi enormi nel ristorante al piano terra, con menù degustazione prezzati in maniera abbordabile al grande pubblico (il più ampio a 85 euro), arredo rock-chic, bar/neobistrot al piano superiore con bancone attorno alla cucina e vista dall’alto sulla splendida sala.
Nell’impossibilità di trovare posto al ristorante, nonostante un tentativo di prenotazione di diversi mesi prima, abbiamo voluto comunque provare l’Upper Room Bar e, complessivamente, non ce ne siamo pentiti.
L’offerta è, di fatto, quella che oggi va di più: una carta ristretta di piatti o un menù degustazione non troppo ampio, accompagnati da una selezione di vini piccola ma mirata e da un’ampia proposta di cocktail, spesso eseguiti con basi ricercate e in maniera irreprensibile.
A prepararla, fianco a fianco, chef e camerieri-barman, questi ultimi professionali ma anche molto glamour (tatuaggi e tagli all’ultima moda costituiscono una condicio sine qua non della mansione).
Spiegato il contesto, è doveroso concentrarsi sul cibo che è, senza giri di parole, piuttosto buono.
La proposta del menu è all’insegna di materia prima e piatti tradizionali, soprattutto mediterranei, eseguiti con la perizia di una tavola con ambizioni superiori ed è tutto convincente, a parte la burrata non appassionante in accompagnamento al pomodoro (sbucciato e tagliato con cura giapponese) e all’emulsione di basilico in una caprese più bella che riuscita. Da segnalare tra i picchi, le strepitose ostriche Gilardeau e i dessert di fattura davvero eccellente. Nota di merito per l’attenzione data alle temperature di servizio (il crostino iniziale al prosciutto di Bigorre è servito solo al momento di perfetta scioglievolezza, e così i dessert) e ai pani, tra cui spiccano degli eterei grissini da applauso.
Locale, naturalmente, stipato anche al piano superiore, in un piovoso martedì agostano e, considerato il prezzo e la qualità complessiva dell’esperienza, culinaria e “mondana”, ci sembra del tutto giustificato.

Crostino con pomodoro e noir de Bigorre: pintxo degno di uno dei migliori bar di San Sebastian.
Crostino con prosciutto, the Jane Upper Room Bar, Chef S. Herman, Anversa
Pomodori (rossi e gialli) burrata e basilico: purtroppo la burrata a queste latitudini non potrà mai essere perfetta (cosa che rende inspiegabile capire la moda, che dura da anni, di servirla).
Pomodori, The Jane Upper Room Bar, Chef S. Herman, Anversa
Meravigliose ostriche Gilardeau con ginger e mela ghiacciata.
Ostriche, The Jane Upper Room Bar, Chef S. Herman, Anversa
Patatas bravas con aioli e salsa al pomodoro: nulla da eccepire.
Patatas bravas, The Jane Upper Room Bar, Chef S. Herman, Anversa
Ragù di seppioline con fagioli, chorizo e verdure: rusticamente impeccabile, davvero goloso.
Ragù, The Jane Upper Room Bar, Chef S. Herman, Anversa
Tortino di cioccolato e rosa con frutti rossi e cialda alle noci pecan: davvero un dolce di ottimo livello.
Tortino, The Jane Upper Room Bar, Chef S. Herman, Anversa
Buon tiramisù ai frutti rossi, leggero e non stucchevole al palato.
Buon Tiramisù, The Jane Upper Room Bar, Chef S. Herman, Anversa
Qualche scorcio del bellissimo locale.
Scorcio, The Jane Upper Room Bar, Chef S. Herman, Anversa
The Jane Upper Room Bar, Chef S. Herman, Anversa
The Jane Upper Room Bar, Chef S. Herman, Anversa

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La migliore pizza di Milano (senza se e senza ma e ce ne prendiamo la responsabilità, per lo meno sino all’arrivo del grande Pepe ?) la fanno in un locale molto trendy dove, probabilmente, un’alta percentuale di clienti passa la serata bevendo degli eccellenti drink.
L’insegna recita “Cocktails & Pizza”: un blend geniale e tutt’altro che scontato al quale, effettivamente, nessuno aveva ancora pensato, almeno in città. Del resto, pensare a Milano senza l’aperitivo è come pensare ad una cielo senza stelle; tutti i locali della città che si pregino di avere una bella location o un’ubicazione strategica, a prescindere dal fatto che abbiano dei bravi barman, sono sempre stracolmi di gente, in tutte le stagioni. Lo stesso discorso vale per le pizzerie, unica tipologia di ristorazione che pare immune alla crisi.
Due format di successo, in questo caso racchiusi tra le stesse mura.
L’idea nasce da quel gruppo di imprenditori e professionisti già dietro al brand Pisacco. Guidati dall’esperienza gastronomica di Andrea Berton, essi hanno portato una ventata di freschezza in Via Solferino, trasformandola in un piccolo polo gourmet con due locali modaioli, ma pregni di concretezza ed economicamente alla portata di tutti.
Era matematico che, ben presto, Dry avrebbe funzionato a meraviglia grazie alla sua formula vincente (un locale studiato per diverse generazioni che sfoggia un servizio attento, pizze di qualità con ingredienti ricercati e un’immancabile location di design). Un concept che, siamo certi, vedrà molti cloni in città.
Forse gli unici a storcere il naso, a livello popolare, sono i tradizionalisti, ossia quelli che stentano a sostituire la birra (o la coca-cola) con altro beverage in accompagnamento alla pizza. Ora sembra apprezzatissimo anche l’abbinamento con le bollicine. Certo è che il concetto del cocktail sembra una sfida per la quale non resta che lasciare al pubblico l’ardua sentenza. Qualsiasi sia il desiderio del cliente, comunque, da Dry potrà essere esaudito: ci sono birre, poche ma ricercate, qualche etichetta interessante di vini, anche francesi, qualche champagne dall’ottimo rapporto q/p e, ovviamente, una lista sterminata di cocktail particolarmente buoni e pensati dal promettente Guglielmo Miriello, ex bar manager alla Maison Pourcel di Shangai.
A Simone Lombardi invece, allo stesso tempo chef e pizzaiolo, è affidato il compito di sfornare delle grandi pizze.
A seguito di una breve ma intensa esperienza a Napoli dal maestro Enzo Coccia e di una più duratura e di pari importanza a San Bonifacio dall’altrettanto geniale Simone Padoan, Lombardi ha lavorato e condotto uno studio approfondito sugli impasti, abbandonando i metodi a lievitazione diretta e indiretta con lievito madre e optando invece per il metodo poolish (ormai in voga in ambito gourmet). Con tale metodo, detto anche “a biga”, si riesce a conferire al prodotto finale maggiore leggerezza grazie ad un elevato tasso di acidità dell’impasto.
Si parla di una fermentazione della durata di un giorno a 16°; a questa prima fase di preparazione, nella quale il volume dell’impasto triplica, ne segue una seconda che vede l’innesto di nuova farina (una miscela di farine di tipo 0 e 1 macinate a pietra, selezionate con cura direttamente dallo chef) e di sale. L’impasto finale subisce quindi un’ulteriore lievitazione di altre 24 ore. Un procedimento complesso che garantisce una pizza croccante e fragrante.
Anche gli ingredienti utilizzati hanno una marcia in più: troviamo prodotti di qualità, tra i quali primeggiano un pomodoro pugliese dolcissimo e persistente e la mozzarella fiordilatte dal caseificio di Gennaro Fusco di Agerola, che vengono cucinati con grande rispetto, senza alterarne i sapori in cottura. Il segreto è l’utilizzo della tecnica partenopea di cottura ad una temperatura più elevata della norma (450° circa) con gli ingredienti che vengono infornati per un tempo inferiore al minuto.
Il menù offre tre tipologie di pizza: quelle chiamiamole “tradizionali” e personalizzabili, ossia margherita e marinara (alle quali è possibile aggiungere qualche accessorio per accontentare i gusti personali, come origano e capperi, olive taggiasche, ventresca di tonno, cipolla stufata, prosciutto crudo o cotto), e le focacce e le pizze dello chef. Ciascuna tipologia presenta caratteristiche diverse, ma un unico comune denominatore: la facile digeribilità, vero elemento di discrimine tra la “pizza comune” e la grande pizza.
Anche il capitolo prezzi fa sorridere, per due pizze e una birra è possibile spendere meno di 20 euro a persona. Troppo bello per essere vero? Infatti lo è.

Partiamo dalle basi: la margherita con bufala, servita curiosamente con un’oliva taggiasca.
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Scalogno al sale con provola affumicata e ciliegini arrostiti.
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Interessante quella con salmone affumicato con composta di pomodoro e fior di latte che forse pecca di eccessiva dolcezza per via del sapore troppo stucchevole della composta di pomodoro.
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Tra le migliori pizze dello chef c’è quella Pancetta arrosto con fior di latte e pepe di Sarawak. Un gusto più delicato di quanto si possa immaginare.
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Apriamo il capitolo focacce con quella ai datterini affumicati. Leggera, croccante, semplicissima.
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Non è da meno la focaccia con stracciatella di Bufala e prosciutto crudo 24 mesi “I Tigli style”.
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E’ altrettanto intrigante la focaccia con Vitello tonnato e polvere di cappero, classico esempio di pizza gourmet,
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come il Calzone bianco farcito con scarola brasata, pinoli, uvetta e ricotta di bufala, con ripieno compatto e dal gusto equilibrato. Anche in questo caso si prova un senso di leggerezza non indifferente.
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Infine la Marinara, in cui si può pienamente apprezzare la dolcezza della passata,
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sulla quale abbiamo aggiunto la cipolla brasata e le olive taggiasche.
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E il nostro beverage… da tradizonalisti
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Interni
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Ingresso.
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