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Mc Turiddu

Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia

Il “mc” dell’insegna non è un prefisso gaelico, né un indizio per un fast food. E’ semplicemente l’acronimo del termine siculo “mè cumpari”, che lascia presagire il trattamento rispettoso e sincero che la famiglia Capizzi riserva ad ogni commensale di questa piacevole trattoria.
Ci troviamo nella barocca Catania. A due passi dal Teatro Massimo Bellini, nell’affascinante centro storico, da poco più di un anno è nato questo locale che mette in tavola la grande tradizione siciliana in un piacevole ambiente volutamente stereotipato. Una trattoria che sta conquistando gli etnei facendo loro apprezzare i prelibati presidi gastronomici dell’isola. Nel menu compaiono prodotti come lenticchie di Ustica, aglio rosso di Nubia, carciofo spinoso di Menfi, fagiolo badda di Polizzi, oliva minuta, masculina da magghia (le tipiche alici che dalla zona di Capo Mulini, Aci Trezza e San Giovanni li Cuti, nel Golfo di Catania, arrivano fino ad Augusta) e tanto altro. C’è scritto ovunque Slow Food, forse con l’intento di voler sensibilizzare anche il commensale più distratto nel pretendere cibo buono, tradizionale, cucinato con la preziosa e singolare materia prima regionale.
La sala è piccola, con qualche coperto di troppo, ma curata, a partire dai particolari; ci si ritrovano affisse, a metà strada tra un set teatrale e gli interni della trattoria di una volta, le locandine dei capolavori del cinema italiano, dal neorealismo alla commedia all’italiana, alternati a pomodori secchi e corone d’aglio appese.
C’è molta sostanza, voglia di fare e di far conoscere. Ma ancor prima c’è la ricerca appassionata dei migliori ingredienti locali, il freschissimo pescato proveniente direttamente dal mercato del pesce e le carni tipiche della zona; a tal riguardo, se il maiale nero dei Nebrodi può suonare inflazionato, questa può essere la giusta occasione per assaporare le carni simbolo della città, come quelle di cavallo e di asino, qui proposte in diverse varianti.
I piatti sono fedeli riproposizioni della tradizione gastronomica, catanese e non solo. Gran parte delle paste e i ravioli sono fatti rigorosamente in casa. Le cotture sono apprezzabilissime, soprattutto quelle delle carni. Certo, c’è sempre quel piccolo difetto dei condimenti sovrastanti (come tradizione vuole); inoltre, non farebbe male proporne di diversi per ogni portata. Durante il nostro pranzo, infatti, la patata schiacciata ci ha fatto compagnia per gran parte del pranzo, un po’ per nostra scelta, un po’ per scelta della cucina.
Dalla ragionata carta dei vini si possono pescare ottime etichette regionali a prezzi onestissimi. E’ sorprendente, infine trovare un dinamico, sveglio e giovanissimo servizio di sala, pronto a rispondere a curiosità e richieste rivolte dai commensali.
Mc Turiddu è davvero una bella novità in città, perfetto per il turista colto, per il gourmet e per i catanesi, sempre sul pezzo quando si parla di cibo.

Divorzio all’italiana.
Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Il pane fatto in casa: panino con olio e origano, scacce, grano arso e bianco.
pane, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Accompagnati da olive e pomodori semisecchi.
pomodori e olive, pane, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Buoni Moscardini affogati.
Moscardini affogati, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Tortino di carciofo spinoso, patate, salsiccia di maialino nero dei Nebrodi e ragusano.
tortino di carciofo, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Ottime Caserecce (con farina Senatore Cappelli) con pesto di mandorle, pistacchi, scorze di limone e ragusano.
caserecce, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Spaghetti alla Turiddu con mascolina da magghia, olive minute, aglio rosso di Nubia, crudaiola di pomodoro ciliegino, capperi di salina e “muddica atturrata”.spagehtti, capperi, mollica, aglio rosso, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Zuppa di lenticchie di Ustica.
zuppa di lenticchie, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Involtini alla messinese farciti con pistacchio e pepato, buoni, carne tenerissima, ma un po’ monocordi.
involtini alla messinese, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
“A Ricchia du Liotru” – così è chiamata la statua settecentesca sita a Piazza del Duomo raffigurante un elefante in basalto, emblema cittadino – è un omaggio alla famosa “orecchia di elefante” milanese. In questa versione viene proposta una costata morbidissima di asino con una perfetta e croccante panatura. Davvero buona.
orecchia di elefante, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Tortino di patate e carciofi.
tortino di patate e carciofi, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
L’ottimo nerello di Guccione.
nerello di guccione, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Biancomangiare, eseguito a regola d’arte.
biancomangaire, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Piccola pasticceria (secca).
piccola pasticceria, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Tavolo.
tavolo, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia
Locandine.
520
Ingresso.
ingresso, Trattoria Mc Turiddu, Catania, Sicilia

“Una terra provvista di duplice natura: fatata e inafferrabile come un paesaggio nella nebbia; concreta quanto può esserlo pane e culatello. Una terra che però si può facilmente riconoscere anche in un solo volto, quello buono e accigliato di Giovannino Guareschi. Un luogo dove il bere e mangiare, in fondo, non sono che un modo per essere sentimentali.”

Queste righe, tratte dal libro “Nella dispensa di Don Camillo”, sono la maniera migliore, nonché quella più breve ed incisiva, per descrivere la bassa parmense, cupa ed afflitta nei suoi paesaggi contadini del dopoguerra (che il Guareschi, con il suo “Mondo Piccolo“, ha reso celeberrimi in tutta Italia) quanto schietta, sincera e genuina se si parla di cucina o meglio, di tavola, perché una buona parte della sua tipicità è data dalla convivialità, prima ancora che di ingredienti o ricette.
Ma più che di alta cucina, da queste parti è bene parlare di “alti prodotti”, ottenuti attraverso secoli di esperienza, valorizzati da grandi e capaci selezionatori, portati a tavola nella maniera più tradizionale possibile: precursori ed al vertice assoluto, oramai inarrivabile, di tutto ciò sono stati Peppino e Mirella Cantarelli che, da un foglio bianco, proprio mentre l’Italia sorrideva con le storie del prete di Brescello, hanno scolpito la storia della ristorazione di questa zona e non solo.

Fatte le debite proporzioni (per meriti assoluti dei Cantarelli, non certo per demeriti di Dallabona) attualmente la Stella d’Oro di Soragna è il ristorante che meglio rappresenta questa filosofia di cucina, che schiera il terzetto vincente composto da eccellenza delle materie, fedeltà alla tradizione e accoglienza calorosa. Nonostante l’ambiente serio e curato suggerisca il contrario, non approcciatevi a questo locale come ad un ristorante, piuttosto come ad una trattoria: parlate con Marco, non consideratelo come uno Chef ma piuttosto come un cordiale Oste, attento in cucina quanto abile a destreggiarsi tra i tavoli. Dimostratevi curiosi ed appassionati, domandate, ascoltate e lasciatevi guidare da lui in una appassionante scoperta della bassa, dei suoi superbi culatelli, del fantastico crudo, del Parmigiano e le sue stagionature, della sopraffina carne di cavallo, degli anolini, della Savarin…

…ma, fermatasi la giostra della memoria, emergono alcune imperfezioni. Non possiamo non considerare che siamo seduti ad una tavola da una sessantina di euro procapite, una cifra a causa della quale l’aspettativa inizia a farsi sostanziosa. Coerentemente alla tradizione, ed in questo caso è un purtroppo, la linea di demarcazione tra i notevoli antipasti e primi, e i secondi degustati, è davvero netta. Nulla di errato nella concezione o nell’esecuzione, ma il vero problema è il livello assolutamente inferiore delle proposte di secondi e dolci, ulteriormente appiattito dall’ottima qualità di tutte le portate che li anticipano.

Ma attenti a non farvi frenare da questo aspetto. E’ totalmente fuor di dubbio che, all’interno del simbolico triangolo Busseto-Soragna-Zibello, nomi fortemente evocativi per ogni appassionato, splenda una vera stella della ristorazione tradizionale della zona: d’Oro zecchino.

Il pane.

Iniziamo con uno Champagne consigliatoci da Marco, proveniente dalla cantina davvero smisurata. Divertente per qualsiasi tipologia di vino, è una tra le migliori a livello nazionale per disponibilità di bolle, italiane o francesi. Un consiglio, leggetela con tutta calma, un vero peccato sarebbe non dedicarle la giusta attenzione.

Terrina di foie gras d’oca, composta di mele e mandorle, gelèe di mela verde, emulsione di zucca e passion fruit.
Una partenza che ci lascia basiti, inizialmente straniti poi sorpresi in positivo. La terrina è eseguita impeccabilmente (nessuno dei due a tavola va a nozze con il foie, eppure è finito in un istante), e interessanti sono i bocconi in accompagnamento. La mano c’è anche al di fuori della bassa, dunque.

Scaglie di Parmigiano.

Il Culatello tipico di nostra selezione e lunga stagionatura.

Un crudo notevolissimo, oltre 60 mesi di stagionatura. E’ riuscito a farsi terminare prima del culatello.

In risposta al nostro apprezzamento per il crudo, ci viene servito il medesimo ma affettato sensibilmente più alto. Una meraviglia, nettamente meglio della fetta più sottile.

Sequenza di tartare: cavallo/sanato/chianina, cialde, pomodorini piccadilly rafano e schiuma di olio emulsionato.
Cavallo che spicca nettamente per qualità e riesce a mortificare le (comunque buone) altre due carni.

Al nostro apprezzamento per il cavallo (lezione: fate apprezzamenti a Marco! :-D) ci viene servita, in maniera decisamente “raw”, una fetta della carne usata per la tartare, rigorosamente cruda e semplicemente affettata. Memorabile…

…unica concessione, un filo d’olio.

Anolini della Bassa in doppio brodo ristretto del nostro bollito.
(vecchia tradizione solo pane e parmigiano)
Semplicemente, se così si può dire, buonissimi. Da averne a disposizione un piatto per ogni giornata di freddo e pioggia, vita natural durante.

Finita la bolla, continuiamo con una chicca pescata in carta, dopo attenta ricerca…

Il vero Savarin di riso…
(con lingua salmistrata e salsa classica in ricordo di Mirella e Peppino Cantarelli)
Un piatto simbolico anche solamente per le colonne a cui è dedicato. Rispetto ad altre visite passate, in cui ci era parso così così, ora è perfetto: mantecatura ricca e lingua morbidissima.

Nido di pappardelle al salamino fresco con fonduta di formaggi.
Indovinate un pò…?

Piccione alle due cotture, spuma di patate e rapa rossa cipollotto caramellato e infuso di melograno.
Oltre al piccione dichiaratamente (“…se lo presento rosso i miei clienti me lo tirano dietro!”) troppo cotto, impiattamento un pò dozzinale con i puré che, all’atto di tagliare la carne, vanno qua e là per il piatto, mischiandosi.

Suprema di faraona caramellata all’aceto balsamico, con sedano mele e ribes rosso.
Anche in questo caso l’eccessiva cottura, complice anche il sensibile spessore della faraona, è causa della consistenza -praticamente bollita- della carne.

Fondente al cioccolato con crostata di nocciole cruda e salsa vaniglia.
(Omaggio al ricordo di un grande chef, amico e maestro “Georges Cogny”)

Zuppa inglese con zabaione caldo, amaretti ai due modi, gabbia di zucchero filato.