Passione Gourmet Bruno Petronilli Archivi - Pagina 2 di 4 - Passione Gourmet

Schöneck

Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano

Sinceramente non sappiamo se sia più appagante venire qui da Schöneck in inverno, quando una coltre di candida neve ammanta il paesaggio circostante, o d’estate, quando il tripudio di fiori, colori e profumi ti fa compagnia nella veranda esterna.
Di una cosa siamo sicuri: in qualunque stagione si visiti, questo ristorante non tradisce mai le aspettative. E’ una sicurezza, da ben 25 anni.

In tempi non sospetti c’eravamo accorti che Schöneck è la dimostrazione tangibile della quarta regola della morale epicurea: il benessere è facile da ottenere.
Altrimenti non si spiegherebbe perché in tanti anni di frequentazioni non abbiamo mai avvertito un dubbio, un fremito, una promessa mancata: Schöneck, nell’affollato e prezioso universo di quel miracolo gastronomico che si chiama Alto Adige, è stato protagonista fin dal primo momento. E non ha mai tradito.
Il benessere, si diceva. Già perché è difficile trovare una parola diversa che in un solo termine sintetizzi il perché ci siamo spinti così tante volte fin quassù.

L’ambiente ovviamente, splendido, caldo, confortevole: dall’antica stube, con il suo fascino discreto che sembra un ristorante nel ristorante, alle ampie sale della struttura, ariose ed eleganti.
Il sorriso dei nostri protagonisti, Karl Baumgartner, sua moglie Mary e suo fratello Siegfried. Mai una caduta di stile, mai un momento d’incertezza. Un servizio ineccepibile, amichevole, professionale, da vera Spa gastronomica.
La carta dei vini: confessiamo che negli anni è stato un incentivo gradito per decidere di inerpicarsi fino a Falzes. Quante scoperte e quante piacevoli chiacchierate con Siegfried, molto più di un sommelier, uno che il vino lo ama davvero.

Ed eccoci al nodo gordiano di questo benessere, la cucina di Karl. Tecnica ma non troppo, ricercata ma comprensibile, rispettosa della tradizione ma anche dei dettami di un’offerta attuale, gourmand e gourmet al tempo stesso.
Karl parla con un vocabolario fatto di espressioni chiare e convincenti, traduce grandi materie prime (locali e non) con il lessico del poliglotta, rifugge astrusi voli pindarici presentando linearità e semplicità, e magari sa stupire il palato con un tocco nascosto, una salsa, uno spunto acido o amaro, che non ti aspetti e che ti fa capire che dietro c’è tanto mestiere, gusto e intelligenza.
Se avete bisogno di un antidepressivo naturale, la porta della “clinica” Baumgartner è sempre aperta.

Una delle confortevoli sale del ristorante.
sale del ristorante, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Il bancone bar in attesa del pianista…
bancone, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
La bella stube.
stube, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Elegante mise en place.
mise en place, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Cestino del pane.
Cestino del pane, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Come amuse bouche il Tirtl, molto tradizionale farcito con spinaci, ricotta e formaggio.
amuse bouche, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Uno dei nostri vini preferiti…
riesling, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Tonno di Sicilia, in tartare e battuta con marinata di yuzu e salsa di soia.
tonno di sicilia, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Ravioli di rape rosse ripieni di mozzarella di bufala, mascarpone e wasabi. Ci siamo divertiti.
ravioli di rape rosse, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Tartare di manzo di razza Sprinze. Una varietà quasi dimenticata della Val Pusteria che Karl propone praticamente “nature”: saporita e gustosa.
tartare di manzo di razza piemontese, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Fondo di carciofo, ripieno di uova di quaglia e chorizo. Avevamo storto il naso prima di assaggiarlo, ci siamo ricreduti.
fondo di carciofo ripieno di uova, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Gnocchi di zucca, crema di spinaci e spuma di gorgonzola. Anche qui abbiamo avuto il sorriso stampato per qualche minuto.
gnocchi di zucca, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Ravioli al succo di sambuco, ripieni di capriolo stufato, mostarda di mirtilli rossi. Se non fosse stato per il piatto successivo avremmo indicato questo come il migliore della serata.
ravioli al succo di sambuco, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Nocetta di camoscio della Valle Aurina, salsa al vino, purè al sedano rapa, tuberi locali. Senza dubbio il piatto migliore, semplicemente perfetto: succulenza della carne, acidità nei condimenti, verdure croccanti, difficile fare meglio.
nocetta di camoscio della valle aurina, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Variazione di mandarino, un filo sotto la qualità delle portate precedenti.
variazione di mandarino, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano
Petit fours.
petit fours, Schöneck, Chef Karl Baumgartner, Falzes, Bolzano

Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York

Il nome di questo accogliente ristorante al centro della Grande Mela ci suggerisce di fare il “punto” sulla nostra cucina a New York. La capitale del mondo è piena di ristoranti italiani, e le ragioni sono evidenti a chiunque. Dopo qualche visita a molti locali tricolore (più o meno noti) l’equazione “cucina italiana=qualità” non ci è sembrata affatto scontata. Perché mai? Prescindendo dal fatto che il nostro gusto è parametrato su esperienze imparagonabili fatte su e giù per lo Stivale, a New York abbiamo incontrato lussuosi e costosissimi indirizzi dove l’anima più vera e vincente della nostra cucina è stata storpiata attraverso una serie di banalità sconcertanti. Ricette diverse fuse in un’unica preparazione, attenzione più ai nomi dei piatti che alla sostanza degli stessi, la sensazione che aprire un ristorante italiano a New York sia dettata più da lucrosi ragionamenti economici che da vere passioni o progetti di qualità.
Per carità, anche in Italia (e in particolare nelle grandi città turistiche), il tessuto della nostra ristorazione è infarcito d’improbabili “trappole per turisti”, una sgradevole e atavica costante, quasi fisiologica.
All’estero, però, questa spiacevole sensazione sembra acuirsi, dilatata forse da quella sorta di amor patrio che fa capolino esclusivamente quando si varca la frontiera, quando intorno a noi non si parla più l’italiano, quando (e soprattutto) qualcuno incomincia a parlarti di calcio o bucatini alla amatriciana.
Allora lì scatta il fervore patriottico, un ardore paternalistico in difesa delle nostre certezze insindacabili.
Vedere martoriati i capisaldi della nostra cultura gastronomica è motivo di profonda prostrazione, ma quello che rende più tristi è la mancanza di idee.
Tra menù fotocopia che recitano un copione già scritto e mestieranti che s’inventano imprenditori abbiamo avuto la fortuna di incontrare qualcuno che qualche idea ce l’ha veramente.
Antonio Mermolia è uno chef calabrese che, dopo la formazione in madrepatria, ha scelto di mettersi in gioco oltreoceano, nel ristorante Il Punto, a due passi da Times Square. Il proprietario Antonio Pecora ha chiamato il cuoco di Gioia Tauro per fare qualcosa di diverso dal solito. E ci sta riuscendo.

La cucina del Punto non è banale e anche se non perfetta migliorerà sicuramente in futuro grazie all’umiltà e alla buona volontà di Antonio. Due caratteristiche fondamentali.
Al Punto i temi cari alla nostra tradizione non sono semplicemente dati in pasto a una clientela acefala, ma vengono interpretati e comunicati con il cuore, in alcuni casi con risultati interessanti, in altri meno, ma sempre con profonda onestà.
In un ambiente bello e accogliente, che sembra trasportarti in pochi istanti vicino casa, la sincerità e la lealtà ai valori della nostra cucina ci sembrano i principi fondanti di un percorso lodevole.
E da italiani, sinceramente, una rara occasione di cui sentirsi fieri.

Sala principale.
sala principale, Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York
Primo assaggio, Zuppetta di pomodoro fresco. Corretto.
zuppetta di pomodoro, Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York
Pane, ottimo.
pane, Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York
Involtino crudo di gambero, salsa al pistacchio. La salsa, intensa, non rende giustizia alla qualità del crostaceo.
involtino, crudo di gambero, Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York
Il Branzino. Piatto interessante, il pesce, marinato, è sodo e fragrante. Buone le salse di accompagnamento (prezzemolo e limone verde), acide e aromatiche.
Branzino, Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York
Il Salmone. Piatto goloso con un buon equilibrio tra sentori grassi, affumicati e amari.
salmone, Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York
Uno dei nostri friulani preferiti.
friulano, Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York
Sigaro verde. Un gioco su un classico come il cannellone, tendente troppo al dolce (in particolare la salsa di carote che lo chef ama tanto …).
Sigaro Verde, Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York
Vitello al Marsala. Probabilmente il piatto migliore della serata: carne cotta alla perfezione, interessante panatura di funghi disidratati, salse indovinate in acidità.
Vitello al marsala, Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York
Un classico semifreddo, molto goloso, per chiudere.
semifreddo, Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York
E via… New York non dorme mai!
Il Punto, Chef Antonio Marmolia, New York

Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone

E’ una città piena di storia Bressanone, pardon Brixen. Tra l’altro è anche strategica come punto di appoggio per golose scorribande nell’Alto Adige versante gourmet, vista la sua posizione al centro della Valle Isarco da cui è facile raggiungere la sempre più nutrita comitiva di chef stellati tirolesi.
Passeggiando per le stradine del borgo vescovile si respira realmente l’aria di un luogo ad alto tasso culturale e i negozi del moderno sistema consumistico sono ben incastonati in un quadro dominato dall’architettura medievale e dall’austerità degli edifici.
Chiese e torri, affascianti e robuste, come il palazzo che ospita l’Oste Scuro, una delle costruzioni più antiche della città che affonda le sue radici addirittura al 13° secolo.

La genesi che ci porta oggi in dote l’Oste Scuro è una serie di avvicendamenti curiosi, cominciati nel 1743 quando in questi ambienti riservati ad abitazione dei canonici del vicino Duomo si faceva di tutto tranne che dimorare: il realtà qui c’era una vera e propria Osteria, in cui i canonici stessi servivano il vino dei contadini ottenuto come tributo. All’imbrunire in teoria era vietata ogni attività, anche quella di accendere le luci, ma in pratica si continuava a bere serenamente anche al buio, da cui il nome Oste Scuro.
Alla fine del 1800 la proprietà passò nelle mani di Anton Mayr e da allora due caratteristiche dell’Oste Scuro sono rimaste pressoché immutate: la gestione della famiglia Mayr (oggi c’è Hermann al comando) e la frequentazione di personaggi famosi che hanno reso celebre questa elegante Osteria.

Che un locale sia meta prediletta di alti prelati o importanti politici, di solito, è un chiaro indizio che siamo lontani dalle alte pretese di un gusto squisitamente gourmet. Ma non è il caso dell’Oste Scuro, che al netto delle foto degli ingombranti ospiti che vi avranno preceduto negli anni, saprà invero garantire una cena o un pranzo veramente piacevoli. Sale calde e accoglienti, estrema cortesia e professionalità nel servizio, buona carta dei vini e un menù costruito con intelligenza sulla tradizione gastronomica locale: in particolare le carni, la selvaggina, le paste ripiene e i formaggi, il tutto confezionato con attenzione e dopo una buona ricerca di produttori locali.

Alle volte non serve poi molto per accendere un po’ di luce in luoghi apparentemente “oscuri”.

Una delle belle sale dell’Osteria.
Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone
Pani e grissini da farina biologica.
pane e grissini, Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone
Dal momento che siamo singoli avventori un gradito segno di cortesia con l’offerta di giornali e riviste da leggere in attesa delle pietanze.
Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone
Testina di Vitello (pancia e lingua) con croccante di formaggio “Graukäse” e vinagrette di verdure, chutney di cipolla rossa.
testina di vitello, Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone
Variazione di caprino del Maso “Blauschmied” con chutney di zucca.
variazione di caprino, Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone
“Schlutzkrapfen” ai spinaci con formaggio “Graukäse” della Valle Aurina.
schlutzkrapfen, Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone
Filetto di cervo della riserva di caccia di Funes, con salsa al pepe, patate alla mela (il piatto migliore).
filetto di cervo, Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone
Canederli dolci alla ricotta e nougat con zuppetta di mela cotogna.
canederli dolci alla ricotta, Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone
Particolare della sala principale.
Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone
La Stube in cui era solito consumare i pasti un cliente importante…
Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone
La foto ricordo di un’altra visita “importante”: sembra che quel giorno ci fosse solo un menù vegetariano per fortuna…
Oste Scuro, Chef Hermann Mayr, Bressanone

Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo

Il nome di questo famoso ristorante di Tokyo sembra stridere al cospetto delle mille luci del distretto di Roppongi, lì a due passi. Districarsi in quel dedalo accecante di Night Club, anche per il turista dichiaratamente assuefatto al tema, non è affatto facile: troppe le promesse di serate piccanti, troppo elevato il sospetto che gli statuari uomini dai tratti afroamericani che invitano ad entrare nel loro locale notturno siano lì solo per dispensare bidoni. Comunque la visita a Roppongi merita, senza dubbio, un paio d’ore di passeggiata: Tokyo è anche questa, e non solo.

Può capitare che in Giappone, passate le prime clamorose sbornie di godimento tra un Maestro di Sushi e l’altro, arrivi il fatidico momento in cui all’indole golosa del gourmet incominci a mancare qualcosa. E’ una sottile perversione assimilabile a una sorta di saudade gastronomica, la malinconica declinazione di un fenomeno che colpisce esclusivamente i soggetti di nazionalità italiana in trasferta all’estero da più di quattro giorni. E mai nessuno meglio del compianto Guido “Dogui” Nicheli l’ha definito alla perfezione con quel suo fatidico “richiamo dello spago che riecheggia nel ventre”.

Per carità, a Tokyo è possibile fare sublimi esperienze di cucina italiana ad alti livelli, ma quello che cercavamo dopo il rutilante giro a Roppongi era un locale d’intimità familiare. Abbiamo così seguito l’istinto (e qualche consiglio) e ci siamo spinti incuriositi di fronte a questa insegna dall’aria serafica e francescana. Il riferimento al rinomato vino friulano è molto più che un caso fortuito: il nome Vino della Pace è un omaggio convinto all’etichetta di punta dei Produttori di Cormons. Ma c’è di più.

Questa bella osteria è il regno di Kazuo Naito, distinto signore innamorato perdutamente dell’Italia, paese che ben conosce per averci vissuto tra gli anni ’80 e ’90. Esperto sommelier, ha girato in lungo e in largo la nostra penisola, assimilando la nostra cultura enoica fin al punto di decidere, una volta tornato nel 2000 nel Sol Levante, di aprire un’osteria italiana con tutti i crismi del caso. Il nome è stato quasi obbligato, vista la sua passione per quel vino e anche perché la traduzione letterale di Kazuo è proprio “Pace”.

L’interno è un susseguirsi di casse e bottiglie di vino, in ordine apparentemente disordinato, che creano la giusta atmosfera. Kazuo, in perfetto italiano, si muove con atteggiamento compassato e tipicamente nipponico, ma quando deve declamare le sue passioni è avvinto da un fervore dialettico così inusuale in Giappone ma ben conosciuto dalle nostre parti.

La carta dei vini è ovviamente il fulcro del locale, ma anche la cucina è un capitolo interessante e per niente banale. La mano precisa di uno chef dagli occhi a mandorla si sposa con il gusto profondamente italiano, senza ammiccare a questo o a quel territorio, semplicemente seguendo l’ispirazione e la bontà. Pesce, paste ovviamente, ma anche carni, succulente e ben cotte. L’insegna recita “servizio griglia” e questo la dice lunga sullo spirito del locale. Riflettendo, se date uno sguardo in una qualsiasi cucina di un ristorante italiano di livello e non vi trovate un giapponese intento a rubare con gli occhi piccoli e grandi segreti, può significare solo una cosa: forse qualcuno è appena tornato nel Sol Levante, novello ambasciatore del nostro universo culinario, ora fuso con un mondo gastronomico altrettanto arcaico e prezioso.

Come quello che è successo a Kazuo Naito, padron di un’osteria che sa di buono, in una stretta via vicino a Roppongi.

Una parte delle piccole due sale dell’osteria.
sala, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Non potevamo esimerci…
vino, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Pane, di buona qualità e fattura.
Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Maitake fritto.
maitake fritto, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Sgombro marinato ai fichi (il piatto migliore).
sgombro, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Pasta fresca al ragù di polpo.
primo piatto, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Zuppa di verdure e legumi.
primo piatto, zuppa di verdura, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Maiale e porcini: ottima la cottura della carne, morbida e succulenta.
Maiale e porcini, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo
Il tiramisù.
tiramisù, Vino della Pace, Mishiazabu Minato-Ku Tokyo

EMP01BP

Soho è uno dei quartieri più affascinanti di New York, non lontano da Little Italy e da Wall Street. Siamo a Lower Manhattan, nella zona dello shopping per antonomasia, anche se negli ultimi anni Soho è diventata anche meta residenziale e culturale, grazie ad un attento recupero che l’ha salvata da un pericoloso degrado sociale. E’ una delle tante anime della “città universo”, quella New York che rimane la fiera permanente delle meraviglie e delle fobie del mondo, lo specchio abbagliante della nostra civiltà, con tutto il suo fascino e la sua asprezza.

Non è difficile ambientarsi a New York, un repentino cambio di vita nella Grande Mela è spesso sinonimo di successo. Certo bisogna sottostare alle sue regole, avere una mentalità vincente e, soprattutto, “convincente”, ma a New York le possibilità sono per certi versi ancora infinite. Come quella di inserirsi nella nutrita comunità di ristoranti italiani che popolano ogni angolo dell’isola, e trovare il proprio spazio. Così ha fatto Markus Dorfmann, altoatesino, a New York dal 1995, e con L’Emporio di Soho alla sua terza esperienza di ristorazione “made in Usa”.

La sua ultima impresa nasce, infatti, nel 2009 e questo dato è già di rilievo, visto che stare sulla piazza per 4/5 anni qui significa essere un indirizzo “storico”. Già perché le parole chiave negli Stati Uniti sono “project”, “concept” o “reastaurant chain”: tutti termini che nel microcosmo delle osterie italiane probabilmente non si sono mai udite. Ma un pizzico di questa nostra cultura di provincia, intima e familiare, Markus l’ha portata proprio nel cuore di Soho.

Arredamento semplice e corrispondente allo spirito della bottega italica, il grande bancone, i tavoli di legno. Si parla beatamente il nostro idioma, anche se condividiamo lo spazio con un intellettuale di colore dai capelli rasta, con studenti asiatici e giovani manager in giacca e cravatta dai tratti tipicamente anglosassoni.
L’ambiente è quindi di rara piacevolezza e con la giusta compagnia ti vedi “costretto” a trascorrere più tempo di quello richiesto per consumare un pasto. Il menù non è il solito (come testato personalmente in locali molto più blasonati e costosi di questo) incomprensibile e spesso irritante potpourri di tutto ciò che identifica banalmente la cucina italiana: qui si parte dalla pizza (farine selezionate e lente lievitazioni) come spina dorsale dell’offerta, con gradite digressioni figlie soprattutto della cultura e delle predilezioni di Markus. Pochi piatti (paste e carni su tutti), ottima ricerca di materie prime provenienti sia dall’Italia sia dalle “farm” locali, buona carta dei vini con etichette non ordinarie.

In sostanza un posto ideale, anche per un italiano disilluso e pretenzioso, a zonzo per la Grande Mela.

Tavoli semplici e confortevoli.
tavoli, L'Emporio, New York
Il bel bancone.
sala, L'Emporio, New York
Piacevoli incontri a New York…
vino, friuli, L'Emporio, New York
Focaccia all’uva.
focaccia all'uva, L'Emporio, New York
Crocchette di riso.
crocchette di riso, L'Emporio, New York
Pizza Margherita.
pizza margherita,L'Emporio, New York
Pizza con speck (le origini di Markus vengono fuori…).
pizza, L'Emporio, New York
Maltagliati di farro con funghi (il piatto migliore). Come a casa…
maltagliati al farro, L'Emporio, New York
La succulenta e ottima Grass Fed Bone In Rib Eye, patate fingerling e peperoncini shishito.
carne, secondo piatto, L'Emporio, New York
contorno, patate, L'Emporio, New YorkL'Emporio, New York
Pannacotta.
pannacotta, L'Emporio, New York