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David Toutain

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Un po’ Passard, un po’ Aduriz. Tanto Toutain.
Aspettavamo il suo ritorno sulla scena parigina dopo la dipartita dalla tanto acclamata cucina dell’Agapè Substance: il nuovo locale ha il suo nome, è in una delle zone più cool della capitale francese, ha poco più di due mesi ed è già sulla bocca di tutti.
Quercia, vetro, cemento: l’ha voluto così il suo nuovo spazio di vita. Un locale semplice e confortevole, alla moda e decisamente più accogliente della vecchia insegna in cui officiava lo chef.
Non è un bistrot no frill, è un bel locale con un servizio curato. Servizio “in giacca e cravatta”, ma amichevole e décontracté in linea con tutto lo spirito dell’ambiente. Il prezzo è invece decisamente accattivante per la media parigina (noi abbiamo scelto il menù a 68 euro).
Alle volte è Toutain stesso a portare il piatto in tavola, nel nostro caso anche una giovane cuoca italiana che evidentemente officia in Rue Surcouf: una gentilezza ben apprezzata per farsi spiegare nel dettaglio ingredienti e preparazioni.
Il menu è un carta bianca, come ormai in tutti i giovani locali parigini più interessanti.
2 proposte, a seconda della voglia di spesa, e si parte verso un mondo fatto di tecnica e misura.
Quello che rende Toutain estremamente interessante è la capacità di sperimentare la potenzialità degli ingredienti, anche con abbinamenti arditi, ma senza mai mettere in confusione il cliente.
E’ il caso del cavolfiore con cioccolato bianco, vaniglia e cocco: un azzardo alla lettura, eppure talmente logico in bocca da sembrare un classico.
Sapori ben identificabili, molta lunghezza in bocca. Una cucina a volte dolciastra, ma sempre complessa e articolata. Che non ha paura di usare le tecniche più disparate al servizio di sua maestà il Gusto. Toutain evidentemente cerca di piacere a molti e per questo non sempre preme sull’acceleratore come potrebbe, mantenendosi in molte portate sul filo della classicità e della morbidezza.
Ma sa anche sconvolgere con capolavori veri: l’anguilla affumicata con mela verde e sesamo e un piatto da fuoriclasse. Così come quel brodo fatto con le bucce di patata: il sapore all’ennesima potenza.
Un’apertura da tenere sott’occhio e magari provare e riprovare anche nei mesi a seguire, quando il rodaggio sarà stato completato.

Gli ottimi pane e burro
pane e burro, Restaurant David Toutain, Parigi
burro, Restaurant David Toutain, Parigi
Testa di granchio soffiata, avocado
testa di granchio soffiata, Restaurant David Toutain, Parigi
Brioche affumicata, zabaione al limone
brioche affumicata, Restaurant David Toutain, Parigi
zabaione al limone, Restaurant David Toutain, Parigi
Uovo cotto a bassa temperatura con crema di mais e cumino
uovo cotto a bassa temperatura, Restaurant David Toutain, Parigi
Gnocco di patata, foie gras, brodo di buccia di patata e broccoli: lo gnocco è una sfericazione di patata e una volta morso rilascia il tubero liquido. Brodo da standing ovation.
gnocco di patata, Restaurant David Toutain, Parigi
Branzino, funghi, caffè, crema di sedano rapa e crumble di nocciola
branzino funghi, caffè, Restaurant David Toutain, Parigi
Anguilla affumicata con mela verde e sesamo nero
anguilla affumicata, Restaurant David Toutain, Parigi
Maiale, cavoletto, carota
maiale, Restaurant David Toutain, Parigi
maiale cavoletto carota, Restaurant David Toutain, Parigi
Cavolfiore, cioccolato bianco, vaniglia, cocco
Cavolfiore, Restaurant David Toutain, Parigi
Limone: meringa, crumble, gelato di pera e biscotto all’olio di oliva. Un grandissimo dessert.
limone, meringa, Restaurant David Toutain, Parigi
Restaurant David Toutain, Parigi
Restaurant David Toutain, Parigi

Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad una vera e propria riscossa delle donne in cucina e sono sempre di più i ristoranti di successo che vedono al timone cuoche giovani e brave.
Sul tema, oggi parliamo di Alba Esteve Ruiz e del “fenomeno” Marzapane.
Lei è spagnola, giovane, graziosa e a 20 anni non ancora compiuti era già uno dei capo partita niente di meno che del ristorante del Celler il ristorante dei Roca a Girona (che come saprete bene se non è il miglior ristorante del mondo poco ci manca).
Marzapane è il piccolo Bistrot aperto circa un anno fa a Roma in posizione felice tra via Veneto e i Parioli. Un vero fenomeno. Che ha fatto letteralmente impazzire i gourmet e i blogger capitolini e in brevissimo tempo ha conseguito lusinghieri riconoscimenti anche da parte della più paludata critica delle guide cartacee. Un successo fulmineo, dunque, grazie al quale oggi il locale – abbastanza piccolo – è praticamente sempre pieno e se non si prenota in anticipo trovare posto è davvero un’impresa.
All’interno spicca la bella cucina a vista ma il contesto in verità è alquanto caotico e rumoroso e i tavoli abbastanza vicini (forse troppo).
Ma l’abito casual è probabilmente voluto. Il Marzapane è un locale nel quale si viene per la cucina. E quindi poco male se il servizio va spesso in affanno e se per dare un occhio alla carta dei vini è necessario aspettare che al tavolo a fianco abbiano finito (perché non ne stampino qualche copia in più resta un mistero).
E poi c’è la cucina. E qui una premessa è d’obbligo per evitare ogni fraintendimento. La Ruiz è una cuoca capace che sa il fatto suo e su questo non ci piove.
Ma proprio per questo non possiamo non rilevare come nelle ultime visite la cucina ci sia sembrata un po’ seduta sugli allori. Come se ci fosse meno entusiasmo, meno voglia di rischiare. Con una prevalenza nei piatti di toni dolci un po’ monocordi.
Ma anche l’esecuzione e, più in generale la fase della preparazione di qualche piatto ha manifestato qualche lacuna. E così, la sabbiolina nella linguina con le vongole è una “leggerezza” difficilmente perdonabile da parte di una cucina che ha giustificate pretese di eccellenza. E così, la coppa di alici è piatto esteticamente bello e anche concettualmente pregevole ma non è facile armeggiare con le alici crude; la riuscita del piatto in questo caso non può prescindere da una materia prima che dovrebbe essere quasi viva. E nel nostro caso così non era.
Probabile che si sia in presenza di una semplice crisi di crescita, e che qualche inciampo sia dovuto anche ai numeri importanti che il locale in breve tempo si è trovato a fare.
Noi almeno ce lo auguriamo e continueremo a seguire con scrupolo il lavoro di Alba Esteve Ruiz e il “fenomeno” Marzapane.

Battuta di gambero rosso, burrata, crema di melanzane affumicate, confettura di senape con pomodoro e brut ma bon al pistacchio.
battuta di gambero rosso, Marzapane, Chef Alba esteve Ruiz, Roma
Coppa di Alici, peperoni canditi, crema di prezzemolo, mandorle tostate e alli-oli.
coppa di alici e peperoni canditi, Marzapane, Chef Alba esteve Ruiz, Roma
Spaghettone con uvetta, pesce spada, lardo e pane aromatizzato, piatto per noi eccessivamente dolce.
spaghettone con uvetta e pesce spada, Marzapane, Chef Alba esteve Ruiz, Roma
Polpetta di bollito selezione “La Granda” con verza e salsa BBQ semi piccante.
polpetta di bollito, Marzapane, Chef Alba esteve Ruiz, Roma
Le Crucifere… e sono cavoli… semplicità e ottima tecnica, il piatto migliore senza dubbio, bella la croccantezza e le diverse sfumature di gusto.
crucifere, Marzapane, Chef Alba esteve Ruiz, Roma
Linguine con cedro, polvere di camomilla e vongole veraci, purtroppo un po’ sabbiose e anche sbilanciate sui toni dolci del cedro candito.
linguine con cedero, Marzapane, Chef Alba esteve Ruiz, Roma
Assoluto di cioccolato. Non scopriamo niente, uno dei pezzi forti del Maestro pasticciere Andrea de Bellis. Chapeau!
assoluto di cioccolato,Marzapane, Chef Alba esteve Ruiz, Roma

Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi

Ne ha fatta tanta di strada Giovanni Passerini.
Chissà che se quel giorno in cui lasciava “Uno e Bino” a Roma, destinazione Ville Lumière, pensava a quello che il futuro gli avrebbe riservato. Un locale di un italiano acclamato da critica e pubblico d’Oltralpe: quasi un’utopia fino a qualche anno fa, ora realtà grazie a lui e giovani leve come Simone Tondo e il suo Roseval (Tondo che, guarda caso, ha lavorato a lungo con Passerini).
E chissà cosa passa in quella testa oggi, pochi capelli ma tante idee: quanto entusiasmo nelle sue parole, quanta convinzione. E quel sorriso contagioso: forse è anche questo il segreto del suo successo. Far stare bene la gente è un dono che va gestito con cura, Giovanni questo dono ce l’ha e sembra esserne consapevole.
Rino è diventato in questi anni un punto di riferimento per la ristorazione parigina: personaggi del calibro di Jean-François Piège non fanno mistero di ritenerlo il loro locale preferito.
Locale spartano che di più non si può, ma così pieno di energia da poterla inscatolare e venderla al dettaglio.
Quindi, hai un locale di successo, lavori come un pazzo, tutti ti osannano, che fai?
Lo vendi.
Il ragionamento non fa una piega se la tua mente viaggia talmente veloce da essere sempre un passo avanti. Rino officerà il suo ultimo servizio il 22 marzo corrente anno.
Ha voglia di più spazio Giovanni Passerini, ha voglia di gestire una carta, ha voglia del carrello dei dolci. Ha voglia di uscire dalla mischia “bistrottara” parigina, fatta di menu fissi, di mangiate gomito a gomito, di 5 portate o niente.
Sembra incredibile, ma tra la nouvelle vague parigina è difficile trovare un grande cuoco che ti faccia uno o due piatti alla carta: sono rimaste solo le tavole blasonate da cento euro a piatto.
Forse ha voglia di godersi anche la imminente piccola Passerini, ma questo è un altro capitolo.
Un luogo fisico ancora non c’è. Ma c’è sicuramente quello mentale perché forse sarà davvero questo il locale che ha sempre desiderato. Lo sta pensando, sognando e plasmando con cura.
Gli concediamo ogni gesto scaramantico, ma siamo assolutamente certi che sarà un successo.
Giovanni Passerini è oggi un cuoco maturo, che sa muoversi con agilità su tutto lo spettro gustativo. Non ha paura dell’amaro, ma nemmeno del dolce. Negli anni di apprendistato parigino (da Passard fino a Nilsson) ha imparato a cuocere davvero la carne: niente sotto-vuoto, lui ama fuochi e padelle e i pezzi cotti interi. Base vegetale ed erbe aromatiche sono elementi ricorrenti tra i bistrot parigini del momento ma lui sa mettere della personalità nei suoi piatti e questo sarà quello che lo terrà a galla anche nella sua prossima avventura.
La cronaca della nostra serata è una carrellata di saperi e sapori.
In bocca al lupo, Giovanni Passerini e a presto.

La cucina (o angolo cottura?)
Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Cacio e Pepe: gli italiani sanno improvvisare.
cacio e pepe, Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Ravioli di zucca e ricci di mare con brodo di zucca.
ravioli di zucca e ricci di mare, Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Rombo liscio, indivia, mostarda riccia, bergamotto, barbabietola bianca affumicata.
rombo liscio indivia e bergamotto, Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Tortellini di germano reale, tartufo, brodo di germano, sedano rapa e rosmarino.
tortellini, Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Fricassea di lumache, cuori d’anatra e bietoline: boom…
fricassea, Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Mela, spuma di fieno, gelato ai cereali, kumquat cotto a freddo (congelato e poi tagliato): un viaggio nel mondo del whisky a cui il dolce si ispira.
mela whisky,Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Le Haut des Clous – Domaine Saint Nicolas: uno chenin blanc di ottima beva.
Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi
Rino, Chef Giovanni Passerini, Parigi

Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona

Cosa c’è di meglio da fare a Barcellona in un sabato mattina quando fuori c’è un diluvio universale di fine autunno? Il consiglio più vivo che ci sentiamo di dispensare è quello di percorrere la Rambla (di corsa e possibilmente senza scivolare) e, a metà del viale più pittoresco della città, infilarsi nel fantastico mondo della Boqueria. Un mercato unico nel suo genere, affollatissimo e pieno di chicche di ogni genere, il luogo ideale per il vostro pranzo. C’è davvero l’imbarazzo della scelta: dalle cornucopie di jamon iberico tagliato al momento, ai fantastici mega cannolicchi fritti, dalle polpette di baccalà ad una serie infinita di pintxos.
La Boqueria, purtroppo, la domenica è chiusa.
Considerato quanto sopra, cosa c’è di meglio da fare a Barcellona in una domenica mattina quando fuori c’è un diluvio universale di fine autunno che imperversa dal giorno precedente? Beh, proviamo a darvi qualche consiglio.
In città la domenica è il giorno di riposo di gran parte dei ristoranti e il primo pensiero ricade sulla tradizione e sui tapas bar. Ma di posti aperti, neanche l’ombra. Ecco allora l’aiuto provvidenziale da parte di un amico del luogo che ci consiglia un locale molto raccolto e piacevole, in una zona che scarseggia di proposte interessanti e in cui primeggiano doner kebab, sushi bar poco invitanti e qualche tavola etnica di apparente basso livello. Siamo a El Raval, nella zona più a ovest della città vecchia. E’ qui che, da un anno e qualche mese, ha aperto i battenti il Suculent. Un tapas bar (in verità è più bistrot nelle proposte) dove oltre ai più popolari piatti della tradizione catalana, non manca un pizzico di creatività. Ai fornelli c’è un giovane cuoco di 26 anni, Antonio Romero, ma il timone del comando è nelle mani dall’esperto Armando Anta, ex cuoco, ormai imprenditore, con esperienze sul campo all’Alkimia e al Mugaritz che garantisce un servizio gentile e di grande efficienza.
Il Suculent è una piacevole scoperta che propone ingredienti di qualità ad un costo contenuto e consente di fare un incontro ravvicinato con i più tipici tapas della regione rivisitati in maniera divertente ma senza troppi stravolgimenti. La tradizione, infatti, è solo il pretesto per creare qualcosa di nuovo lasciando spazio all’impavida creatività dello chef e al suo bagaglio tecnico acquisito al Bulli e da Arzak. Forse in qualche passaggio si rischia di strafare con pretenziose creazioni che, nell’intento di presentare interessanti variazioni e novità al cliente abituale, diventano dei più comuni déjà-vu sotto la lente critica del girovago gourmet (vedi il piccione del racconto fotografico). Quella di Romero è comunque una cucina ben eseguita che, vista l’età e considerate le evidenti basi tecniche riscontrate, lascia intravedere un sicuro margine di crescita.
Inoltre, non escludiamo che una deriva creativa possa far discostare questo locale dalla nostra categoria di valutazione (ora come trattoria), rivelandosi in futuro più un ristorante a tutti gli effetti che un tapas bar travestito da bistronomia creativa. Per il momento, quello che a nostro avviso prevale maggiormente dai piatti assaggiati è una fedele riproposizione, certamente più raffinata ma sempre nel solco della tradizione, dei famosi piattini spagnoli.
Il locale è davvero minuscolo. Proprio come si vede in foto. Il nostro era l’ultimo tavolo della sala. Una curiosità: sul piccolo soppalco ogni giorno si esibisce una band che allieta e diverte i commensali realizzando un sottofondo musicale con pezzi pop e rock di ogni epoca, eseguiti in una piacevole versione soft.

Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
Qualche stuzzichino senza pretese per iniziare. Qualche vino è presente in carta, ma riteniamo che la birra sia un compagno sicuro per le tapas.
stuzzichino, Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
Un buon pane, servito con l’olio.
Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
Buone le “mejillones escabechados” con cubetti di prosciutto Maldonado, con la piacevole marinatura che stimola l’appetito.
Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
Ceviche di gamberi rossi con avocado, cipollotti e lime. E’ il piatto dello chef. Raffinata rivisitazione della tradizione e grande materia prima.
ceviche di gamberi, Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
Irresistibile nella sua golosità la crocchetta di coda di bue e funghi trombetta dei morti.crocchetta di coda di bue, Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
Così come le gustosissime patatas bravas, con immancabili salse al pomodoro piccante e maionese.
patatas bravas, Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
I piatti principali hanno una buona percentuale di raffinatezza. Tonno scottato, pomodori confit e salsa allo chorizo.
tonno scottato, Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
Ci si sposta sul versante francese il piatto di carne del giorno: piccione con barbabietola, frutti rossi e patè di fegatini.
carne, Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
Dai “postres”, sorbetto allo yuzu (molto usato da queste parti).
sorbetto allo yuzu, Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
La cheesecake con brie e gelatina al moscato. Preparazione non scontata negli ingredienti.
cheesecake, Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
Tavoli.
tavoli, Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona
Ingresso.
ingresso, Suculent, Chef Antonio Romero, Barcelona

La corte del re, Gallarate, Varese

Ogni tanto anche noi ci prendiamo una pausa tra reportage di esperienze gastronomiche assolute, cucine concettuali da provare almeno una volta nella vita e speciali sui grandi ristoranti del Sol Levante.
Ogni tanto sentiamo il bisogno di normalità, di un posto adatto a tutti e per ogni tasca, in cui è possibile trascorrere una serata gradevole in un ambiente confortevole.
Un locale in cui non si viene per fare la grande esperienza gastronomica ma semplicemente per mangiare bene in un ambiente curato e per trascorrere una serata che non abbia necessariamente il cibo al centro.
Sembra una legittima aspirazione non difficile da esaudire, ma in realtà forse non lo è. Anzi, paradossalmente si rischia di sbagliare molto meno se si cerca una grande tavola. Oggi i grandissimi ristoranti sono segnalati da qualsiasi guida degna di questo nome (certo non nello stesso ordine, ma i nomi alla fine quelli sono).
Ma trovare un posto dove trascorrere una bella serata spendendo il giusto senza essere avvelenati o affogare nella mediocrità di cibi precotti e materie prime dozzinali, non è semplice.
Questa volta segnaliamo un grazioso bistrot in pieno centro a Gallarate. L’ingresso è nella corte di un elegante palazzo storico e nella bella stagione è possibile mangiare nel suggestivo dehors.
A dirigere le operazioni dividendosi tra sala e cucina, un personaggio d’altri tempi, il vulcanico Giovanni Mastroianni, instancabile ricercatore di materie prime d’eccellenza e di prodotti tipici provenienti da tutte le regioni d’Italia. E basta un rapido sguardo alla carta per capire che qui tra uova di Parisi, salumi di cinta senese, lumache di Cherasco e carne di Chianina (e potremmo continuare) non si fanno mancare nulla.
All’interno l’ambiente è gradevole, i tavoli ben distanziati, le luci giuste, insomma si sta bene. Il servizio è rapido e cortese. La mise en place è del tutto informale con tovagliette all’americana.
Della bontà delle materie prime si è detto, aggiungiamo che la cucina, assai semplice, non delude. In carta molti classici dal vitello tonnato alla pasta e fagioli con le cozze, dalla lingua in salsa verde al fritto misto, tutto è eseguito in maniera più che corretta e servito in porzioni generose.
Ci dicono che la carta dei vini è in allestimento e non fatichiamo a crederci. Molte bottiglie indicate non ci sono, qualche annata non corrisponde, alcune bottiglie ci sono ma non sono elencate. Su questo punto c’è da lavorare.
Un indirizzo prezioso, da annotare in agenda. Non vi deluderà.
Ad Majora

Ottimo Prosciutto di Modena 15 mesi, gentilmente offerto.
crudo, La corte del re, Gallarate
Sott’olio artigianali.
sott'oli artigianali, La corte del re, Gallarate
Vitello tonnato al modo piemontese, molto delicato, in porzione maxi.
vitello tonnato, La corte del re, Gallarate
Pasta e fagioli con cozze.
pasta e fagioli, La corte del re, Gallarate
Gnocchi fatti in casa con zola e noci tostate, il piatto migliore, davvero perfetto. Gli gnocchi si sciolgono in bocca, il formaggio è di gran qualità e la nota croccante e aromatica delle noci fa la sua parte.
gnocchi fatti in casa, La corte del re, Gallarate
Fritto misto all’italiana, asciutto e fragrante.
fritto misto, La corte del re, Gallarate