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Il Foro dei Baroni

Quella sottile linea ideale tra trattoria e ristorante si disegna qui a Puglianello, sul confine tra le province di Caserta e Benevento. Il Foro dei Baroni, d’altronde, ha nella sua storia il DNA del locale gourmet ma anche quella solida aspirazione della cucina evocativa, di tradizione, di quelle insomma che gastronomicamente fanno la ricchezza vera delle province meridionali.
Raffale D’Addio, lo chef patron con il fratello Mario, è certezza matematica di qualità, in un luogo dove spesso ci si accontenta di riempire stomaci e di rabboccare calici.

Così oggi il locale, luminoso ma mai freddo, rustico ma mai approssimato, curato e non stucchevole, coincide sempre più con la sua cucina. Tufo e legno per la sala, un bel giardino per i pranzi estivi e la classica piazza del paese come ingresso in questa che costituisce un’imprescindibile tappa in un territorio ricco di suggestioni culinarie e vitivinicole.
La carta, è composta da proposte riconoscibili ma di stimolante modernità, una sorta di trasversale narrazione del Sannio e delle sue consuetudini, con costi davvero contenuti. L’offerta dei vini, filosoficamente limitata alla sola produzione campana, riserva qualche piacere anche per i bevitori più esigenti e qualche sorpresa per i curiosi.
Tra le righe, i piatti raccontano di un radicato legame con quel territorio che parla di orti, colline e acqua dolce, vestiti tutti in maniera elegante, impiattati con gusto e eseguiti con la padronanza tecnica di uno chef che, a volte, ci piacerebbe poter vedere volare più alto.

L’antipasto, per esempio, è una bella prova di mestiere che prevede la cottura -glassata- del petto di quaglia, la confittatura della coscia e l’accompagnamento davvero centrato di un’insalata realizzata con la trota e quinoa. Il piatto di pasta che segue è la linguina del Pastificio dei Campi di Gragnano che appare come dominata, soggiogata e quasi trattenuta dalle chele dal grosso gambero di fiume. All’assaggio poi la dolcezza del crostaceo, con la bisque del suo corallo e con il pomodoro confit, è sapientemente mitigata dagli agrumi.

Tutto gira intorno a questa attenzione, al completamento del piatto seguendo l’elemento protagonista, quel riprendere le rotondità di una cucina casalinga attraverso la dinamica suggerita dai contorni nelle loro diverse preparazioni.

Così è infatti, incorniciata dall’azzurro dello smalto della mattonella quadrata, anche per quella carne di manzo posato sul suo fondo, denso, rinforzato da una maionese di salsa verde e dalla cipolla grigliata, con gli zuccheri della patata ancora una volta confit e la nota amara dei carciofini sott’olio. Una semplice partitura dove sembrerà di dover cercare un ritmo con la forchetta. Il dessert chiude con la stessa cura il percorso con una fresca zuppa di melone, il crumble di nocciola e l’allungo di liquirizia.

La sala. Luminosa ed accogliente.
Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Il giardino per le serate estive.
giardino, Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Pani. Qui già ci si smarca dalle semplici trattorie.
pane, Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Caccia e pesca sul Volturno: petto di quaglia glassato, la sua coscia confit ed insalatina di quinoa e trota salmonata. Forse più un secondo che un antipasto, comunque di esecuzione lavorata e in corretto equilibrio.
quaglia, trota, Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Il gambero di fiume: linguine con gambero di fiume e panuria di agrumi. Dolce, acido, ancora toni concertati, equilibrio.
gambero di fiume, Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Miseria e nobiltà: reale di manzo con patate confit, salsa verde, carciofini e cipolla ramata grigliata. L’attenzione all’impiatto, gradevole, e la precisione dei contorni.
Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Cantalupo e liquirizia: zuppa di melone con gelato alla liquirizia e crumbe alla nocciola. Dessert estivo di grande freschezza. Semplice ma di grande piacevolezza.
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Al Kresios non ci arrivi per caso. A dispetto del nome della città, qui non si vedono flussi copiosi di turisti in cerca di relax termale.
Al Kresios, e a Telese Terme, ci devi andare apposta.
E questo aspetto è stato chiaro a Giuseppe Iannotti sin dall’inizio. Abbiamo avuto un tormentato esordio con lui. Tormentato perché alcuni anni or sono trovammo un cuoco giovane, quasi trentenne, scalpitante e convinto, molto convinto, di sè. Ma come può un giovane ragazzo del Sannio non essere convinto di sè per aprire un ristorante importante, con cucina gourmet, in un luogo come questo?
Giusta dose di convinzione, di tenacia, che però riteniamo fosse alquanto prematura, fintanto eccessiva. L’irruenza del giovane Iannotti va perdonata, forse anche compresa. Nel frattempo però lui e la sua cucina ne hanno fatta di strada. Forse l’ascolto, forse la volontà estenuante di emergere, e certamente un pizzico di talento l’hanno incanalato sulla strada giusta.
Una strada che, badate, è solo all’inizio e tutt’altro che terminata. Ma un percorso che fa intravedere spunti interessanti, originalità che immaginavamo persa nel tempo, idee che ci portano a credere che qui può risiedere un giovane ed interessante talento, non solo del Sud ma dell’Italia intera.

Un percorso, dicevamo, che è cominciato sotto gli auspici di una buona stella. Quella conquistata due anni or sono, che oggi è meritata più che mai.
Ma il percorso è ancora arduo e tortuoso. Il giovane cuoco dovrà saper trovare e ricercare, tra la sua strabordante veemenza, una maturità ed un equilibrio quanto mai necessario. E lasciare da parte l’estrema convinzione nei suoi mezzi, mettendosi al cospetto di una crescita ed una maturità ancora da trovare.
Abbiamo goduto di una cena che ci ha trasportato su un ottovolante. Piatti concettualmente e praticamente tra l’interessante e il francamente spiazzante. Nuove idee, originali, altalenate a stimoli e déjà vu plateali (di cui forse il cuoco sannita non ha veramente bisogno). Strabordanza, esuberanza, iperproduzione. Con alcuni passaggi davvero di classe, di grande tecnica, e di centrato equilibrio gustativo.
Il gioco iniziale delle piccole tapas, o amuse bouche che dir si voglia: un terzo interessanti, quasi geniali; due terzi poco centrate e concentrate, dai sapori sbilanciati e a tratti evanescenti. Frutto di un ragionamento “sulla carta” dell’abbinamento, ma che poi non aveva un riscontro oggettivo al palato. Un esempio? Bon bon di gorgonzola, amarena e cioccolato. L’uso del cioccolato al latte al posto di un cacao più acido, puro e maschio (criollo ad esempio) è stato motivato dal fatto, giustissimo, che a questo punto del menù non avrebbe avuto senso una bomba palatale, troppo virante sull’amaro. Bene, valutazione anche condivisibile.
Risultato? Un bon bon troppo dolce, in cui l’amarena e la grasso-dolcezza del cioccolato non compensavano la dose di gorgonzola, accennato appena. La mente e il ricordo va immediatamente a Luciano Tona e al suo cioccolato bianco e gorgonzola. Un’esplosione in bocca, con note acide-grasse e piccanti che si rincorrono in un turbinio sensoriale tanto intenso quanto devastante. Servito come predessert, e non come entrata.
Per non parlare invece, nel pasto completo, di uno stratosferico sgombro marinato nell’agro di mele, con una cottura non-cottura da manuale, affiancato da zenzero in chips, pepe rosa, aneto, e la lisca e la testa fritte a puntino. Amaro, grasso-goloso del fritto che rincorre le note acetiche e accomodanti del filetto. Con le spezie a chiudere il cerchio. Chapeau! Piatto che vale il viaggio.
Così come uno straordinario uovo marinato, il cui rosso riscopre una textura mirabolante come evoluzione post cracchiana, nappato da una salsa tonnata e polvere di capperi.
E poi che dire di una lingua dalla textura fondente (fondant come direbbero i cugini d’oltralpe). In cui si riscopre un ingrediente feticcio dell’alta cucina italiana e lo si eleva ancora. Una cottura che, per tempi e metodi, rende questa lingua di una texura sensuale come Sharon Stone in Basic Instict. E gli abbinamenti, polveri e salse, centratissimi.
Si continua con un risotto ai funghi in cui la cottura, al limite per un uomo del Sud ma formidabile per noi, e una mantecatura con rilascio di amidi perfetta era esaltata da una lieve nota di funghi e rosmarino. Che elegantemente, ma mai in modo invasivo e prorompente, si insinuavano tra le pieghe di questa pietanza davvero estrema.

Originali ma ancora prototipali due piatti: il brodo di katsuobushi di vitello e la terrina di triglia, così come l’abbiamo soprannominata. Due piatti ancora grezzi, su cui lavorare a nostro avviso, ma che hanno indubbie potenzialità per diventare stupefacenti, di altissimo livello; il brodo, ancora in divenire, perché troppo etereo. I dashi provati in Giappone ci dicono tutt’altro.
E la triglia per una mancanza di contrasto vivo, necessario in quella proporzione e servizio per consentire ad un cliente, alla bisogna e a sua scelta, di trovare un punto di rinfresco e di appoggio gustativo.
Spaghetti allo scoglio troppo poco umidi invece, e poco persistenti al palato. E un fritto misto che, seppur buono e goloso (ma come fa a non esserlo un fritto?), è scivolato via con una apparente cifra stilistica di tono inferiore.
Dolci molto interessanti, davvero molto interessanti e ben studiati. Ottimi per essere al cospetto di un cuoco di origine salata.

Tutto ciò appena descritto, l’ottovolante dei piatti, è sintomatico di un sentimento, e di un percorso, che proseguirà così per tutto il pasto. Quasi fosse più a tratti il palato mentale a governare del palato naturale. Quasi fosse la cultura, l’intelligenza, l’abbinamento tecnico-elaborativo a guidare più dell’anima, della pancia, dell’istinto.
Iannotti è un ragazzo molto intelligente, decisamente colto. Vediamo spesso prevalere in lui quest’anima, assecondata dalla componente razionale. Che emerge nella dettagliata descrizione dei piatti, che sciorina una preparazione ed una conoscenza di tecniche ed ingredienti invidiabile.
Ma proprio per questo, per non rimanere imbrigliati nelle cervellotiche evoluzioni tecnico-mentali, il cuoco diventa grande cuoco quando lascia spazio all’istinto, al palato naturale. Disperdendo le tecniche, semplificando i passaggi, diminuendo gli ingredienti. E lasciando libero sfogo, con naturalezza e sicurezza, alle sue doti naturali.

Questo crediamo sia il passaggio, doveroso, che Giuseppe Iannotti debba ancora intraprendere. Che sia capace di farlo solo il tempo ce lo dirà. Abbiamo intravisto grandi potenzialità in questo senso, non sempre appunto soddisfatte, in un luna park emozionale davvero interessante. Quindi per ora gli diamo fiducia, con riserva però. Ma consigliamo a chiunque abbia la nostra passione di tuffarsi nel Sannio più profondo e di andare a trovare Giuseppe Iannotti e il suo Kresios.
Un plauso infine per la sala, governata da due giovanissimi autoctoni che, pur essendo appena (o quasi) entrati nella mondo del lavoro hanno una stoffa e un talento che di rado capita di trovare. Un’intelligenza ed una sensibilità davvero fuori dal comune. Ricordatevi in particolare di Alfredo Buonanno, ne sentiremo certamente parlare nel prossimo futuro.

Inizia la serie degli amuse bouche: carota fermentata.
amuse bouche, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pelle di baccalà soffiata e paprika amara.
pelle di baccalà, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Zucchine, caviale di tartufo nero e menta.
benvenuto, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pollo arrosto.
pollo arrosto, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pizza (panino a vapore, concentrato di pomodoro e pasta d’acciuga, polvere di oliva).
pizza, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Bon Bon di gorgonzola, amarena e cioccolato.
bon bon, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pop corn di animella.
pop corn di animella, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Raffaello di foie gras.
raffaello di foie gras, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pancia di maialino, rose in polvere, caviale di montagna e timo.
pancia di maialino, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
A tutto sgombro, gran bel piatto.
sgombro, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Tonnato: tuorlo d’uovo marinato, maionese di tonno e cappero.
Tonnato, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Pomodoro, acciuga e origano
pomodoro acciuga e origano, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Voluttuosa la lingua di bue, salsa di papaccelle, bagnetto verde liofilizzato e sale di bambù.
lingua di bue, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Piuttosto anonimo lo spaghetto allo scoglio. Qui umido al punto giusto, ma in un’altra occasione troppo asciutto (foto sotto).
spaghetto, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
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Risotto ai funghi e rosmarino.
risotto, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Katsuobushi di vitello.
Katsuobushi, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
katsuobushi, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Bistecca di triglie.
bistecca di triglie, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Piccione.
piccione, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Fish & chips, alquanto ordinario.
fish&chips, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
‘O raù, piatto reso intenso dall’estratto di cardamomo.
'o raù, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Didascalica la ricciola hamachi, crema di piselli, insalata con sesamo e olio di nocciola.
Ricciola, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Mojito.
Mojito, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Omaggio al Kentucky di Benevento.
omaggio al kentucky, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Zucca, cardamomo caffè, malto e zafferano.
zucca cardamomo caffè, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Kiwi, meringa, gel di aceto di uva e lemon curd.
Kiwi, meringa, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento
Petit fours.
piccola pasticceria, Kresios, Chef Giuseppe Iannotti, Telese Terme, Benevento

Telese Terme è luogo ameno, distante pochi chilometri dal confine con la provincia di Caserta, ma lontano, molto lontano dal degrado che caratterizza la zona a nord-est del capoluogo.
Ed è qui che Giuseppe Iannotti ha voluto investire e inaugurare un anno e mezzo fa una struttura sicuramente ambiziosa, hi-tech, ad offerta multipla: un negozio con prodotti eno-gastronomici selezionati con grande cura, un bistrot per una sosta veloce ma di qualità, ed un ristorante “gourmet”, con pochi tavoli ad accogliere le creazioni della cucina a vista.
Un bel paesaggio campestre circonda l’isolato, il giardino ed il terrazzo sono curati, le viti ordinate, i monti del Matese sullo sfondo.
Tutto predispone al meglio, compresi i numerosi attestati di stima che giungono da più direzioni in favore del giovane cuciniere.
Non esitiamo, quindi, ad affidarci totalmente allo chef ed a selezionare il menù degustazione più ampio, denominato “a mano libera”.
Si parte con una triade di appetizer, non propriamente “facili” per iniziare un pasto: crocchetta con pasta ai quattro formaggi, chips di lardo e gola di baccalà fritta. La gola è servita quasi fredda e la sensazione di avere le papille sature ancor prima di aprire le danze si fa strada.
La falsa partenza, però, non era un caso isolato. Troppe perplessità si susseguono una all’altra, come la proporzione nella composizione di lingua e fegato grasso, o la concezione di un gelato di mozzarella fritto panato, con gazpacho di pomodoro, che sfodera una dolcezza estrema e poco comprensibile a questo punto del pasto.
Solo discreti i crudi (ma perché metterci il salmone con tutto il ben di Dio che le nostre coste hanno da offrire?), accompagnati da semplici insalatine e da una crema d’aglio non addomesticata che crea, all’olfatto e al palato, contrasti disarmonici di difficile lettura.
L’incerto percorso è confermato dal risotto agli agrumi, dove la dolcezza della vaniglia permea il tutto, e da una passata di ceci con anguilla affumicata di scarso mordente.
Finalmente un piatto di caratura notevole nel cervo con pera cotta, sospinto verso l’alto da un piacevolissimo sentore di brace, quella buona.
Purtroppo resterà l’unico spunto di rilievo di un pranzo che ha tradito le attese. Il cervo è una dimostrazione di classe sulla quale Iannotti, speriamo, potrà costruire il suo futuro radioso, che gli auguriamo di cuore.
Allo stato attuale, però, la linea di cucina non è propriamente compiuta, caratterizzata dall’utilizzo di materie prime altisonanti, ma priva di profondità, di finezza e centralità gustativa.
Lo stesso percorso “a mano libera” è privo di un filo conduttore, i piatti si susseguono senza una particolare logica, per lo più caratterizzati dalla quasi totale assenza di acidità e pervasi dalla nota dolce davvero eccessiva.
Attendere la maturazione dello chef, senza caricarlo di eccessive aspettative, appare ai nostri occhi l’unica strada per far emergere le sue doti. E visti gli innumerevoli attestati di stima che provengono da più parti ci sentiamo di arrotondare per eccesso la valutazione, sperando in una crescita futura e nel conseguimento della necessaria maturazione.
Ai posteri l’ardua sentenza.

Crocchetta con pasta ai quattro formaggi, chips di lardo, gola di baccalà fritta. Uno start un po’ più soft, per aprire le danze, sarebbe stato gradito.

I pani, i grissini e l’olio, tutto di buona qualità.

Lingua di bue, gelatina di birra, foie gras mantecato al pepe verde, aceto tradizionale di Modena 70 anni. Decisamente squilibrato verso le note grasse del fegato, nascosto al di sotto della lingua, quantitativamente davvero eccessivo. Aceto e gelatina non riescono a fornire adeguati contrappunti acidi.

Crudi di pesce. Tonno, capasanta, rana pescatrice, gambero rosso, astice blu, salmone. Materia prima solo discreta, ma incomprensibile è la crema d’aglio, fastidioso orpello gusto-olfattivo. Non è dato ravvedere alcun legame con il sapore di mare, che inevitabilmente viene annichilito. Interessanti, invece, i capperi in polvere, esaltatori di sapidità.

Gelato di mozzarella fritto in panatura aromatizzata, con gazpacho di pomodoro. Il piatto che meno ci ha convinto, sia per l’esecuzione, non perfetta, sia per la concezione. Un antipasto così dolce, finanche stucchevole, è quasi spiazzante a questo punto del menù.

Passatina di ceci con anguilla affumicata, polvere di caffè, porcini secchi, olio alla brace. L’idea è buona, l’esecuzione meno. La crema, volutamente (a detta dello chef) insipida, non riesce a creare un legame con gli altri ingredienti. Da rivedere.

Risotto agli agrumi con battuto di astice blu, aria di prezzemolo. Tralasciando il “gioco” dell’aria, abbiamo riscontrato un notevole accento dolciastro, conferito dalla vaniglia (non annunciata, così come lo zafferano). Quasi impercettibile il sentore agrumato, che avremmo preferito maggiormente accentuato.

Fagottino ripieno di faraona, salsa al burro e parmigiano, bucce di pomodoro essiccate. Piacevole intermezzo, carico di sapore.

Cervo, pera cotta, fondo di cottura. Senza alcun dubbio la portata migliore, finalmente di livello adeguato alle aspirazioni dello chef. Gradevolissimo il sentore di brace. Cottura perfetta.

Marshmallow di limone, aria di carota, gratta checca al sedano. Pre-dolce non perfettamente centrato. Si nota la ricerca di giochi di consistenze, ma è il gusto ad essere latente, quasi sottotraccia.

Cannolo scomposto. La rivisitazione, purtroppo, non riesce a reggere il confronto con la ricetta classica. Peccato per il quadrotto di sfoglia, poco croccante. Crema al pistacchio, cioccolato fondente, e frutta candita completano la bella composizione.

Altra rivisitazione di un grande classico, la delizia al limone. Anche in questo caso operazione non riuscita. Il bignè all’interno non è fragrante, la gelatina di limone, alla base, quasi incollata al piatto.

Piccola pasticceria, ben fatta.

Sala

Tavolo

Giardino, ben curato, ulivi e viti.