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I Portici

E’ questo indubbiamente il periodo delle dissonanze, dell’amaro sfacciato, dell’acido: sono queste le cucine che raccolgono con maggior facilità le attenzioni degli addetti ai lavori (non necessariamente del pubblico, ma questa è tutta un’altra storia).
Le cucine morbide, arrotondate, che poggiano tutto sulla potenza del gusto e sulla qualità assoluta degli ingredienti, certamente convincono, ma arrancano nel guadagnare la luce dei riflettori. Possono raccogliere grandi consensi, ma devono faticare il doppio per raggiungerli.
Agostino Iacobucci subisce un po’ questa situazione.
A Bologna mancava da tempo un ristorante di questo livello e di questa ambizione. Una piazza importante che, per molto tempo, si è specchiata nel suo passato, appagandosi di storia e luoghi comuni.
Non è più così, qualcosa si è mosso e si sta muovendo, e i Portici rappresentano senza dubbio la punta di diamante del rinnovamento della cittadina felsinea.
Una solidità stupefacente quella dei Portici, in tutti i suoi componenti. Niente colpi ad effetto, urla o terremoti gustativi.
Ma una concretezza tremendamente efficace, un viaggio all’interno del sapore degli ingredienti assolutamente convincente.
Si potrebbe cenare a occhi chiusi con la certezza di indovinare tutti gli ingredienti: quel fagiolino sarà un concentrato di sapore, i piselli sembreranno i più gustosi mai mangiati.
Una cucina “quotidiana”, di cui non ci stancherebbe mai, un ristorante in cui, volendo, si potrebbe ritornare settimanalmente. Proprio per l’apparente semplicità della proposta e l’assoluto piacere che regalano queste preparazioni.
La tecnica c’è, ma non si vede, completamente asservita alla riuscita gustativa.
Si può lavorare ancora sulla varietà delle consistenze e sulla ripetitività di alcuni ingredienti (ad esempio i crostacei) ma sono dettagli, anche perché è difficile stancarsi quando ci si trova davanti a ingredienti ricchi (foie gras, astice, scampi) e di tale qualità.
Iacobucci che, ricordiamo, è cuoco giovane che ancora deve raggiungere gli “anta”, può e deve spingere ancora di più nel portare a tavola la sua personalità e le sue idee, nel creare in maniera inequivocabile un suo stile, che permetta al suo pubblico di distinguerlo da tutti gli altri colleghi.
Siamo all’inizio, ma la strada è ben tracciata.
Tenete gli occhi ben puntati su questo cuoco e sul suo ristorante: siamo convinti se ne parlerà molto e bene, nel prossimo futuro.

Davvero ottimo e vario il pane…
pane, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
…e un concentrato di sapore queste sfoglie al riso: nero di seppia, zafferano, alghe.
I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Il saluto della cucina è di gran livello:
Crocchetta di baccalà.
Pane, burro e alici, eccezionale.
Spugna di piselli e pecorino.
Macaron di pistacchio e mortadella, davvero perfetto.
Spuma di ricotta di Rosola e pomodori.
spuma di ricotta, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
macaron, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
pane burro e alici, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Spaghetti in acqua di mozzarella e pomodoro
spaghetti in acqua di mozzarella, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Scampo imperiale, caviale, maionese al passion fruit, rapa marinata nel vermouth.
Scampo imperiale, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Ostrica, gelatina di Campari e mango.
Ostrica e gelatina, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Seppia e piselli versione 2015.
Ascè di seppia, gelato di piselli, olio, caviale, germogli di piselli.
Seppia e piselli, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Ascè di gambero rosso, erba cipollina, uovo alla colatura di alici e arance.
Asco di gamberi, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Spaghetto con elisir di crostacei, bergamotto e foglia d’ostrica.
Ecco un grande primo piatto: spaghetto di Gragnano molto al dente, bisque di crostacei misti (gamberi, astice, scampi, canocchie) limone ed erba ostrica. Ottimo, per gusto e consistenze.
spaghetto, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Tortelli di piselli e astice.
Tortelli di piselli, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Raviolo di coniglio alla genovese con salsa di provola affumicata di bufala e verdure di campo.
Altro gran colpo, sfoglia perfetta.
ravioli di coniglio, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Tonno rosso del mediterraneo con cremoso di fagiolini, veli di pomodoro, salsa di pinoli tostati e finta maionese al limone. Ingredienti di gran livello.
Tonno rosso, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
tonno rosso, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Foie gras all’ amarena, mandorla, schiuma di bitter bianco.
Predessert di questo livello non se ne trovano tanti in giro. Moderna classicità.
Foie gras, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Kiwi, asparagi, cetriolo, gin, crumble salato e gelato alla capra.
kiwi, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Il babà a tre lievitazioni.
Uno dei migliori babà del globo terracqueo, senza se e senza ma.
babà, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
Piccola Pasticceria, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
E’ possibile richiedere un accompagnamento al calice.
Vino, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
vino, I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna
I Portici, Chef Agostino Iacobucci, Bologna

E’ inutile nasconderlo: stiamo seguendo Luigi Taglienti al Trussardi alla Scala con grande interesse, convinti sin dalla prima visita che da queste parti si stia facendo un lavoro molto interessante.
La domanda che era legittimo porsi è se la forte personalità dimostrata dallo chef sin dalla partenza, alle redini di questo prestigioso locale milanese, sarebbe stata mantenuta o avrebbe dovuto venire a patti con una piazza più incline, in fatto di cucina, alle mode che alle avanguardie.
Possiamo, dopo questo ennesimo passaggio, essere tranquilli sul fatto che cuoco e proprietà sono riusciti a trovare un difficile equilibrio tra un’offerta più classica e adatta a una clientela in gran parte d’affari, specie a pranzo, e una proposta gourmet di rara originalità, capace di spingersi su territori rari di questi tempi. Una proposta che, per dircelo chiaramente, rende questa tavola una delle più interessanti della cucina italiana contemporanea.
L’appassionato in cerca di emozioni può, cosa difficile, provarne davvero dando carta bianca allo chef, soluzione che, pur da refrattari alle degustazioni chilometriche, in questo caso caldeggiamo decisamente.
Taglienti è riuscito a darci un’esperienza unica, condita di propensioni individuali (una predilezione per l’amaro che non è solo moda avanguardista di questi tempi), richiami al classico come modello insuperabile (la lièvre à la royale e il babà sono pezzi di bravura da table parigina d’altri tempi), provocazioni (un germano dalla frollatura “gore” accompagnato da una tagliatella panna e tartufo di consistenza morbidamente transalpina). Un campionario originale e ambizioso, mai velletario anche nei momenti più anomali (e ce ne sono diversi), fotografia di uno chef molto sicuro di sé.
Se gli si può imputare qualche “scorciatoia” (la presenza del pompelmo nel dare acidità e amaro potrà avere in futuro alternative più originali) è solo perché riteniamo che, da queste parti, ci si possa attendere in futuro persino qualche passo in avanti, perché tutti i “reparti”, dagli amuse bouche ai petits-fours sono già oggi in grado di soddisfare qualsiasi palato.
Oltre alle belle prove già citate e meglio descritte in seguito con le relative foto, ci sembra indispensabile rendere omaggio a uno dei piatti più interessanti provati nell’intero 2013: il crudo e cotto di minestra campana, in cui l’associazione popolare di broccolo campano, sottocotenna e un fenomenale pomodoro si fa alta cucina, italianissima e la povertà degli ingredienti diventa oro nelle mani di uno chef sapiente, che non si spaventa di dare all’amaro un ruolo centrale.
Servizio giovane molto felice di raccontare i piatti che propone e carta dei vini per portafogli carrozzati.
Imperdibile.

In apertura: confini ai profumi d’autunno, una cialda sulla quale sono adagiate suggestioni di stagioni tra mare e terra. Sporcatevi le mani e cominciate il percorso!

Cozze, midollo e carote: giochi di consistenze e stimoli acido-amari a presentare da subito quello che vi attende
cozze, midollo, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Peperone e bagna cauda: concentrazione spintissima. Con 10 grammi di materia prima si può fare un gran piatto, di intensità tendente a infinito
peperoni, bagnacauda, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Stoccafisso e topinanmbour. Aspetto più monastico che semplice, ma cotture e abbinamento impeccabili
stoccafisso, topinambur, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Crudo e cotto di minestra campana. Già detto, qui siamo al fondo scala della cucina italiana
crudo e cotto, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Raviolo di zucca ripensato da un ligure (con amaretto e mostarda di chinotto). Facile pensare a Checco Zalone, ma il boccone è di rara persistenza
raviolo di zucca, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Risotto con bergamotto, ruta e lumache di mare: sul risotto non si può scherzare. Nemmeno Taglienti lo fa…

Petto di piccione e tiramisù di porri e polenta. Presentazione lussuriosa e preparazione d’alta scuola
petto di piccione, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Salmì (chitarra di rapa rossa, salmi di fegatini, cognac e cappero). Piatto di rara potenza, con la componente alcolica in primissimo piano, senza concessioni alla tanto sbandierata ricerca dell’equilibrio. Qui si propende per un sano squilibrio, ed è un colpo da KO
salmì, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Germano reale. Vegetariani astenersi anche dalla sola vista
germano reale, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
…e la tagliatella, come se fossimo al Ritz o da Chez Maxim
tagliatella, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Lièvre à la royale. Se da sempre c’è un motivo per andare per ristoranti, sono piatti così
lievre a la royale, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Soufflé-glacé, carciofo, Cynar. Un pre-dessert? Originale, quantomeno
soufflè, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Miele, granita al limone, origano e capperi. Frutti di mare al dessert, per chiudere il cerchio
miele granatina, limone, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Babà, perché un pasto memorabile va chiuso con una grande preparazione di pasticceria tradizionale. E questa è una grandissima prova
babà, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Alcuni dei fragranti, riuscitissimi, pani
pane, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano
Chiusure dolci. Sì, un cannelet è già stato divorato, d’altronde quelle rare volte che lo si trova ed è fatto a regola d’arte come si fa a resistere?
piccola pasticceria, Trussardi alla Scala, Chef Luigi Taglienti, Milano

Un giorno di marzo del 1973, un uomo suona alla porta del ristorante Pic a Valence, dove officia il quarantunenne Jacques, figlio d’arte e erede di una lunga tradizione familiare. Sua moglie Suzanne dice allo sconosciuto che la maison è chiusa il mercoledì, senza riconoscerlo: si tratta di André Trichot, direttore della guida Michelin e non è lì per mangiare.
E’ lì per annunciare a Jacques Pic la terza stella, come l’aveva presa suo padre André nel 1934.
Quasi quarant’anni dopo, e a quasi venti dalla scomparsa di Jacques, le tre stelle brillano ancora da queste parti ma al piano c’è una piccola grande donna. Anne-Sophie, che non lo sognava da bambina, ma che dal 1996 ha deciso di consacrare la sua vita alla continuazione di questa fantastica epopea gastronomica sino a riprendere il massimo riconoscimento gommato nel 2007.
Passando da queste parti, il rischio sarebbe di perdersi nei ricordi, nel mito, celebrato dalla vetrina in cui si raccolgono le “rosse”, ma approcciandosi con il dovuto rispetto a questa tavola la domanda era: è un posto che valga la pena di visitare per la sua cucina, oggi?
La risposta è senz’altro sì, come sintetizza il voto in alto, avendo chiari un paio di presupposti: qui si fa alta cucina, contemporanea, ma ancorata nella classicità (quindi: astenersi se cercate scoop); il conto da pagare è salato, a meno di non venirci a pranzo optando per il menu midi/plaisir che, invece, ha un prezzo davvero interessante.
Il percorso fino alla tavola è il più lungo della storia, ma all’arrivo sarete messi comodi in una sala luminosa governata da un’équipe di professionisti abilissima nell’assecondarvi senza eccessive piaggerie ma senza la minima sbavatura.
Il menu è di quelli da tre stelle, che emozionano anche per qualche presenza “storica” in carta (ah, la bar de ligne…), ma l’idea era quella di stare sul contemporaneo e magari verificare se la partenza di Philippe Rigollot (MOF che officiava ai dessert) aveva fatto danni.
Preceduto da piccole golosità di bellezza e bontà notevoli, notiamo che l’amuse bouche è lo stesso provato da chi ci ha preceduto due anni fa: sarebbe un male, se non fosse che la crème brûlée al foie gras con mousse di granny smith è, senza possibili discussioni, perfetta.
L’entrée è di gran lunga il piatto più bello visto da tempo ed è anche molto interessante nella concezione: l’”uovo di pollo e chipirons”, nasconde sotto una bellissima copertura di oeuf mollet un cuore liquido di piccoli calamari in un quasi ketchup di pomodoro, capperi, galanga e miele millefiori. Molto elegante, fresco, giusto un po’ trattenuto sulle note acide per essere perfetto.
La triglia cotta dolcemente sulla pelle, con piselli, gallinacci e bouillon spumoso alla cannella e caffè è una preparazione d’alta scuola: la triglia rispettata nella cottura millimetrica, gli accompagnamenti di verdure e bouillon dosati con maestria. Il genere di preparazione che situa una tavola nei quartieri più alti della ristorazione.
Ai dessert riservavamo i dubbi maggiori: Rigollot è ormai ad Annecy a curare la sua pasticceria (chiusa ad agosto, per nostro grande disappunto) e al suo posto c’è Audrey Gellet, sua allieva, dal 2007 chez Pic con passaggio nella sede svizzera e rientro a casa nel 2011. Ed è un altro fenomeno, Audrey, capace di farci provare in successione dei piccoli capolavori tra cui svettano i piccoli babà al rum con coulis di fragole “mara des bois” aromatizzato alla menta. Questo, insieme alle altre delizie riportate in basso e alla piccola pasticceria finale, è il prototipo del dessert d’alta scuola, sempre più una rarità (e un classico dessert da pasticcere e non da chef, una cosa difficile da trovare da noi anche ai più alti livelli).
Carta dei vini non impressionante per altisonanza dei nomi (ci sono, ovviamente, grandissimi flaconi ma meno numerosi che in altri tristellati) e, invece, lodevolmente aperta a vini interessanti e più abbordabili: a poco più di una sessantina di euro ci accompagna benissimo il Vouvray 2006 Haut Lieu di Huet.
No, non è un’esperienza che stravolgerà le papille dei gourmet più smaliziati: ma quanta cura, quanta precisione, quanto mestiere.
L’alta cucina classica ai giorni nostri, ed è bello ogni tanto farsi coccolare in un posto così, a prova d’errore.

Il momento più bello

Piccole meraviglie per fare conoscenza

Quante ne avrà viste…

La crème brûlée di foie gras

Uovo e chipirons

La triglia

I petit-fours

I piccoli babà

Una piccola bavarese al cassis per la commensale meno golosa

Albicocca e crema alla vaniglia

Cremoso acidulato di yogurt alla vaniglia e mirtilli confit

390

Questa recensione aggiorna la precedente  valutazione che trovate qui

Difficile stare al passo quando tutto corre a velocità siderale.

Servizio, location, ospitalità, materie prime: ogni cosa al Don Alfonso gira come un orologio svizzero.

3 giorni passati qui, tra le bellissime camere, la piscina, una colazione da re, una visita all’orto più bello del mondo, danno la sensazione di trovarsi in un’oasi di pace

Basterebbe vedere come si illuminano gli occhi di tutti i dipendenti quando parlano di lui, “Don Alfonso”.

Tutto perfetto.

Tutto tranne la cucina.

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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Ristorante Top in Italia o semplicemente un ottima cucina di pesce come ce ne sono altre (anche se non tantissime) in Italia?

Personalmente, noi non ci eravamo mai stati. Facciamo ammenda.
Ma siamo assai curiosi e seguaci di San Tommaso. E quindi lunedì 7 dicembre a pranzo, da Napoli ci siamo diretti verso Vico Equense. E, per quanto ci riguarda, abbiamo sciolto l’enigma.

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