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Da Vittorio

Il canone classico italiano

Fare ed essere “classico”, oggi e, soprattutto, in Italia, rappresenta una scelta molto più coraggiosa di quanto possa non essere, invece, l’avanguardia. Non solo perché il classico implica il continuo e indefesso rapporto – e raffronto – coi giganti, ma anche perché le maglie entro le quali si muovono la mano, la mente e la materia del cuoco sono così strette da rendere impossibile, almeno apparentemente, qualunque movimento, qualunque novità. Eppure, non c’è mai stato tanto movimento e, di conseguenza, tanto respiro nella cucina classica italiana come in questo momento storico e il pranzo che stiamo per raccontarvi ne rappresenta, come vedremo, la perfetta epitome.

Da Vittorio risiede sulla sommità di una collina circondato da quello che potremmo definire, piuttosto semplicemente, invero, un giardino all’italiana contemporaneo. La sontuosa villa e il suo altrettanto sontuoso dehors che, vista la stagione, sarà anche la nostra sala, ci accolgono in una dimensione alta e altra del mondo, una dimensione in cui perfino il tempo acquisisce un andamento suo proprio, scandito dalla danza di una sala che è tuttora una delle più rigorose ma, al contempo, più distese e disinvolte del panorama contemporaneo.

L’Olimpo in terra

Una sala cui sono ancora affidati gli impiattamenti e le rifiniture, eseguite al tavolo, la cui cultura del servizio e disinvoltura nell’eloquio fanno apparire tutto fuorché retriva e la cui innata urbanità enfatizza anzi la sensazione di trovarsi in una sorta di Olimpo della ristorazione italiana; e, qui, arriviamo al punto: perché a onta del momento storico dianzi trascorso dai fratelli Cerea albergano ancora e forse ora più che mai una grazia e una felicità sopraffine, una estaticità che si ritrova in ciascuna delle portate, concepite con una precisione e una pulizia nuove e, in una parola, felici. Dal cherubico tourbillon delle entrée, in cui spiccano l’uovo all’uovo, evoluzione di una ricetta di cinquant’anni fa, la meravigliosa oliva bergamasca e l’insalata di tonno e ovoli, passando per il cacciarolo ripieno di polenta e fino al serafico risotto, impeccabile per cottura e mantecatura.

Ma non solo. Perché questo è anche uno dei pochi ristoranti italiani dove ancora saggiare – e godere – della più grande e più nobile materia prima: una materia tra le più selezionate, le più ricercate e, di conseguenza, tra le più onerose dello Stivale. È precisamente questo elemento, crediamo, a identificare il canone del ristorante classico così come noi lo intendiamo da sempre ed è esattamente questo il senso, e il gusto, unico, dello straordinario e raffinatissimo moro antartico con crème brulée di wasabi e avocado.

Medesima, beata ispirazione si ritrova anche nella sezione dei dolci, da sempre una delle più felici e caratterizzate dell’universo olimpico, esclusivo ed elitario che alberga Da Vittorio.

La Galleria Fotografica:

Il club milanese dedicato agli amanti del vino, finalmente

Lo scorso 17 ottobre presso l’Emporio Armani Ristorante è stato presentato un progetto che coinvolge la città di Milano in prima persona: il Milano Wine Club, primo Members Club italiano dedicato agli amanti del vino, ideato da Federico Gordini, Presidente di Milano Wine Week, con la collaborazione del nostro Andrea Grignaffini (tra le altre cose Docente di Alma e curatore della Guida I Vini de L’Espresso), Luciano Ferraro (firma del vino del Corriere della Sera), il team di WineTip (distributori vinicoli e wine merchant milanesi) e la stessa Passione Gourmet, nella persona di Orazio Vagnozzi, Direttore della sezione vini.

 

I suoli modelli? Quei club che riuniscono le élite di appassionati come il Pall Mall di Londra o il Wine & Business Club di Parigi: “l’idea – suggerisce Federico Gordini – non è lavorare sul tecnicismo ma sulla leva emozionale, poliedrica del vino, con un approccio al networking.

L’obiettivo, concretamente quello di mettere in contatto i migliori produttori del territorio, i player della ristorazione e l’ospitalità e il consumatore di fascia alta, in particolar modo rivolto ai membri del Club, che potranno accedere agli  eventi, alle degustazioni, alle cene e agli happening in forma privilegiata, quando non esclusiva. In questa ottica, ciascuna delle esperienze del Club sarà costruita attraverso la collaborazione coi viticoltori, selezionati grazie al contributo dei fondatori del Club: per il momento, circa quaranta collaborazioni, che verranno ufficializzate nel corso dell’evento di apertura.

L’identikit del membro del Club è l’esperto, il collezionista così come colui che, mosso dalla precisa volontà di accrescere il proprio bagaglio conoscitivo, si appresta a vivere esperienze molto approfondite, quando non immersive.

Saranno requisiti essenziali di selezione caratteristiche quali la passione, la curiosità, lo spirito di condivisione e la propensione al networking. Per diventare soci del Club, in questa fase iniziale, si può presentare richiesta di membership alla mail members@milanowineclub.com che dovrà essere approvata dal board. Successivamente si potrà accedere al Club soltanto tramite presentazione da parte di due elementi, già membri.

Milano è preparata per affrontare quest’ascesa – afferma Federico Gordini – dal movimento generato dalla Milano Wine Week. Per rivoluzionare la sua comunicazione il vino ha la necessità di avvicinare la propria comunicazione ad altre eccellenze, come la moda. Un accostamento che trova un approdo naturale nella scelta della location, legata a doppio filo con il mondo del fashion com’è l’Emporio Armani Caffè e Ristorante, che ospiterà il lancio nonché il fitto calendario di iniziative del nostro Wine Club.

Il primo evento ufficiale del Milano Wine Club si terrà il 3 dicembre 2019, proprio nell’Armani Privé. Un party dedicato ai membri del Club in cui le aziende partner faranno degustare i loro vini di punta, esclusivamente in grandi formati, e nel corso del quale sarà presentato il calendario delle attività per il primo trimestre del 2020.

Mai aspettarsi che la manna arrivi dal cielo.
Meglio rimboccarsi le maniche: gli aiuti, più o meno divini, giungono sempre inattesi.
E così in cerca di degno ristoro tra le millanta insegne di Milano ecco che -non tanto all’improvviso, ma con una certa, piacevole, sorpresa ed un passo avanti rispetto alla nostra scorsa visita- si arriva a Manna.

L’ambiente è raccolto e sobriamente minimal: pochi tavoli, arredi misurati e pannelli che si affacciano dal soffitto per un’acustica sostenibile, ma qualche dettaglio, come le tinte pastello delle sedie e i bicchieri dell’acqua colorati, lo rendono accogliente quanto basta.
Una boccata d’aria fresca, questo luogo della tavola che va dritta al sodo, che punta al gusto, che ama i sapori schietti e decisi, ma che sa anche il fatto suo in quanto a tecnica -sviluppatasi negli anni- e crea dunque le condizioni affinché i piatti alla fine risultino apparentemente massivi eppure assolutamente leggeri. Una cucina sostanzialmente italiana e meneghina nel cuore, giocata sulla combinazione ragionata di pochi ingredienti, che rispecchia in pieno il cuoco(ne) che la propone: Matteo Fronduti, sguardo e fisico da biker e sorriso, sotto il baffo, sornione.

Una cucina senza fronzoli ma curata, che diverte e si diverte. A cominciare dai nomi delle proposte in carta, degni di un titolista d’eccezione. Evocativi, enigmatici, ironici, allusivi (da “Uè, testina” passando per “Contro il logorio della vita moderna”), racchiudono ciascuno l’essenza di ciò che verrà presentato, anticipando alla lettura un quid di buonumore. Che non ci abbandona, ma che anzi viene rinforzato ogni volta che si è chiamati alla prova, assaggio dopo assaggio: insomma la cucina fa sul serio, e l’ospite si diverte. Il sorriso si allarga proporzionalmente alla soddisfazione delle papille e al conforto che si produce quando tra aspettativa e realtà effettiva il gap è prossimo allo zero.
E si mangia anche con gli occhi: presentazioni pulite, con volumi studiati, colori calibrati e brillanti. A tal proposito emblematici sono “Libero e privo di impedimenti” (puntarelle, sgombro marinato e datteri, con lucidissima livrea azzurro metallizzato del pesce, in evidenza tra il verde croccante della cicoria cimata e il nocciola soft dei datteri, bilanciato poker di agro-dolce-amaro-iodato) e “Merenda hardcore V.M.18” (vedere e gustare per credere! Sogno-incubo golosamente proibito post-Moretti), portate in ogni caso pensate anche quando volutamente provocatorie.

Est modus in rebus, e Manna ha trovato il proprio.

Libero e privo di impedimenti. Puntarelle, sgombro marinato e datteri.
sgombro, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Uè, testina. Bollito di testina di vitello, salsa verde e giardiniera.
Uè testina, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Grunt. “Prosciutto” di cinghiale fatto Qui, erbe amare invernali e mela verde.
Grunt, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Contro il logorio della vita moderna. Maccheroni, carciofi, gambero rosso, lardo e timo.
Maccheroni carciofi, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Autarchia. Pasta fresca all’uovo, ragù e parmigiano vecchio.
Autarchia, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Tutto fumo. Spaghetti, cime di rapa, aringa affumicata e rafano.
Spaghetti, cime di rapa, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Quasi Milano. Riso, pistilli di zafferano e midollo di bue crudo.
Riso, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Kunta Kinte. Insalata di radici arrosto, maionese di cavolfiore e senape.
Kunta Kinte, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Riassunto di cassoela. Costina, verzino, crocchetta di piedino, musetto, verza e cotenne.
Cassoela, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
De sera e de matina. Baccalà mantecato, polenta taragna e chutney di arancia e spezie.
Baccalà, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Bistecchina?!?! Reloaded. Pannicolo di manzo, radicchio affumicato e miele di castagno
bistecchina, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Vai via dottore. Tarte tatin, gelato alla vaniglia.
Tarte tatin, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Nocciola più. Nocciola soffice, nocciola croccante, sorbetto di cacao e caffè.
Nocciola più, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Virgin colada. Ananas al naturale, lime e cocco.
Virgin Colada, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Merenda hardcore V.M.18. Cioccolato fondente, tabacco cubano, whisky torbato e frollini.
merenda hardcore, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano

Perché andare al Calandrino se facendo gli stessi chilometri, perché il paese è lo stesso, Rubano, si può fare l’esperienza tristellata delle Calandre? A meno che non si arrivi in loco intorno alle 12/13 e, in virtù del fatto che le Calandre siano chiuse in quella fascia oraria, si debba ‘ripiegare’ e prendere, per così dire, ciò che passa il convento.
In molti potrebbero pensarla così.

In molti continueranno a pensarla così, se non abbandoneranno il pregiudizio o la facile associazione mentale che spesso fa collegare un diminutivo all’idea di una prestazione inferiore, e sceglieranno di non varcare la soglia di quello che dall’esterno sembra un bel bar-bistrò affacciato sula strada, con tavolini di legno, un ambiente luminoso e un’atmosfera confortevole eppur di stile, poltrone comode, un banco di pasticceria ben assortito e invitante e il personale sorridente.

Certo non vogliamo dire che cenare alle Calandre o mangiare al Calandrino sia la stessa cosa. Ma ci si consenta il paragone automobilistico: chi avrebbe pensato che una Smart avesse senso quando è stata concepita e immessa sul mercato, in un mondo pieno di utilitarie (in primis Mercedes Classe A)? Eppure, bella esteticamente, tecnologia Mercedes, facile da parcheggiare (anche verticalmente rispetto agli spazi appositi), piacevole da guidare per via dello sprint e comoda (per non dire assai spaziosa, considerando che si tratta di una biposto), la piccola auto ha mantenuto fede al nome che porta, e ha conquistato in breve tempo il pubblico più variegato per il riuscito e inossidabile connubio di design ed efficienza.
Insomma il Calandrino non è figlio di un dio minore; è, in scala, lo specchio della casa madre. Considerandone la natura di bar-bistrò, c’è tutta una cura per gli ingredienti, un pensiero d’autore nella costruzione della ricetta, del gusto e dell’impiattamento che non ci si aspetterebbe, ma che ha personalità e rimanda immediatamente una firma inconfondibile: Alajmo.

Traspare ad esempio nelle sorprendenti, quanto appetitose, patate al carbone con acciughe bottarga e crema alle erbette, nelle rassicuranti tagliatelle con asparagi, burro affumicato e salsa di tartufo nero, dove la pasta è un velo di nerbo insolito, l’affumicatura è perfetta per intensità e finezza, la mantecatura precisa e la salsa al tartufo nulla di più lontano dalla banalità o dalla pretestuosità. Il numero misurato di piatti in carta, la loro essenza consente di realizzare un percorso più o meno articolato che rivela una sintassi di fondo impeccabile, così da spaziare nel mondo dei sapori nelle geometrie, temperature e consistenze delle pietanze e degli ingredienti, con grande piacevolezza e invidiabile leggerezza con piena soddisfazione per il palato. Ciò grazie anche a uno staff, di cucina e di sala, assai preparato, concentrato nel portar al tavolo al meglio, anche in fatto di tempistiche, ogni proposta, pronto a metter a proprio agio gli ospiti con un’attenzione e una cordialità mai ‘impostate’.
Una vera sorpresa (ma, pensando che nulla dagli Alajmo è lasciato al caso… bisognava aspettarsela), provare per credere!

Pizza al vapore, con piselli e prosciutto .
pizza, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Patate al carbone con acciughe, bottarga e crema alle erbette.
Patate al carbone, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Merluzzo di fresca salatura con salsa all’origano e pomodoro fresco.
Merluzzo, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Tagliatelle con asparagi, burro affumicato e salsa di tartufo nero.
tagliatelle con asparagi, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Carré d’agnello al tartufo nero con patate saltate alla cipolla.
Carrè d'agnello, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
La tartara del Calandrino.
tartare, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Brioche con gelato di nocciole e crema (eccezionale).
brioche, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
Crema bruciata all’orzo Santoleri e fava di Tonka con gelato al caffè, anice e liquirizia.
crema bruciata, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano
I vini che hanno accompagnato il nostro pranzo.
vino, Il Calandrino, Massimiliano Alajmo, Sarmeola di Rubano