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D.O.M.

Provocazione o desiderio di affrancazione?
Orgoglio brasiliano o voglia di stupire?
Non abbiamo reale contezza del motivo che ha spinto il celebre (a ragion veduta) chef del D.O.M. a proporre, stabilmente, nel suo menu piatti adornati da simpatiche formiche rosse originarie della foresta amazzonica.
Per taluni è oltraggioso offrire insetti, per talaltri è una boutade.

Per noi, sparuta minoranza, alla continua ricerca di nuovi sapori e odori, instancabili globetrotter della tavola, è solo l’affermazione, provocatoria, dell’identità di un popolo che Atala ha, con coraggio, veicolato attraverso la “maniwara red ant”.
Sgombriamo il campo dai dubbi, la formica, superato il naturale scoglio psicologico, non è buona, è buonissima. Acidità spinta, retrogusto di lime, persistenza, strepitosa combinazione con la meringa al cocco. Complimenti davvero a chi è riuscito a sdoganarla nell’alta ristorazione.

Ben vengano, dunque, le sperimentazioni che alimentano il nostro bagaglio culturale gastronomico e le provocazioni che gettano luce su un movimento altrimenti in perenne cono d’ombra della grandeur europea.
La cucina è evoluzione, si guarda al futuro con un occhio sempre rivolto al passato, e la riscoperta delle tradizioni amazzoniche (le popolazioni locali mangiano le formiche da millenni) e dei suoi ingredienti ne è fulgido manifesto.
Il Brasile sino a pochi anni fa era tagliato fuori dalla critica gastronomica internazionale, sia per la lontananza geografica dalla fucina europea, che sforna ciclicamente le nuove tendenze culinarie, ora dalla Spagna, ora dalla Scandinavia, più raramente da Francia e Italia, sia per l’assenza di cuochi che, seppur bravi, potessero avere un appeal internazionale.
Atala ha compreso che per far sentire la propria voce non poteva competere con le centinaia di locali che proponevano in città cucina di stampo europeo, doveva distinguersi, emergere, offrendo ai suoi ospiti il meglio che il Brasile potesse offrire.
Si narra che gli ingredienti utilizzati nella sua cucina provengano da tutti i 26 stati del Paese, e non facciamo fatica a crederlo, tali sono state le diverse (e sconosciute) sensazioni gustative al nostro palato.
Da San Paolo è partita la silenziosa rivoluzione verdeoro, con Atala prima ed Helena Rizzo del Manì poi, che sono riusciti a far capolino nelle, spesso criticate, classifiche globali.

Il D.O.M. non è solo formiche, quindi. È un ristorante con una cucina straordinaria, come ce ne sono poche al mondo.
Una forte impronta classica e sopraffine tecniche di cottura lasciano spazio a contaminazioni di altri continenti, quasi a simboleggiare il crocevia di culture che tuttora rappresenta il Brasile.
Basti pensare che San Paolo è la più popolosa città “italiana”; secondo alcuni studi demografici, almeno 6 milioni di abitanti hanno discendenti del Belpaese.
Scevri da condizionamenti di sorta, abbiamo goduto con un brodo a base di tucupì (sostanza tossica se non bollita) come, per la sua incredibile intensità, solo a Tokyo abbiamo avuto la fortuna di assaggiare, e che ha dato lustro ad un pesce d’acqua dolce del Rio delle Amazzoni; con uno stinco di vitello eccezionale per bontà delle carni e cottura, e il suo fondo da leccarsi i baffi -magari trovarlo in Baviera!- l’Aligot più buono mai provato, che neanche in Aubrac, alla corte del re Bras.

Il nostro percorso è stato un crescendo di sapori ed odori, di erbe, radici e foglie sconosciute che in alcuni casi hanno anestetizzato le papille (jambu), poi resuscitate dalla potenza della priprioca, in altri le hanno avvolte e carezzate.
Atala giostra perfettamente le spinte acide, con mirabile maestria esegue i grandi classici della tradizione calmierando le rotondità, nulla sembra lasciato al caso, neanche la più piccola fogliolina di “ora pro nobis”.
Il dolce-non dolce della torta di nocciole con gelato al whisky, rucola, cioccolato, curry sale e pepe ci ha infine dato conferma che la proporzione ed il bilanciamento degli ingredienti possano dar vita a risultati inaspettati, di bontà e persistenza infinita.

Non possiamo dirvi “accorrete numerosi”, San Paolo è 10000 km oltre l’Oceano Atlantico ma, se siete in Brasile per piacere o per lavoro, ecco, raggiungete la capitale e sedetevi a questi tavoli. Non ve ne pentirete affatto.

Mise en place.
mise en place, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Per iniziare: crema all’aglio bruciato, burro salato, formaggio del Minas Gerais (fresco ed acido) e olio d’oliva. Da spalmare, in sequenza, su pani eccellenti.
crema all'aglio, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Granita di pimenta de cheiro (peperoncino verde) con sale rosa, odori. Molto interessante l’altalena di sensazioni palatali. Freschezza, acidità, piccantezza, aromaticità. Tutto in un sol boccone.
granita di pimenta, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Da succhiare. In stretta sequenza con l’appetizer che lo ha preceduto. Cocktail molto aromatico, a leggera base alcolica (spumante) servito nella pimenta de cheiro.
cocktail, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Cuore di palma fermentato con polvere di spirulina (alga). Pregevole il gioco gustativo incentrato sulla sapidità.
cuore di palma, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Capasanta e fettuccine di cuore di palma, citronella. Molto Giappone in questo piatto: essenza del gusto e pochi fronzoli. Siamo davvero stupiti.
Capasanta con fettuccine, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Calamaro e caju (frutto dell’anacardo), alghe. Meraviglioso boccone gelato.
Calamaro e caju, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Biscotto di tapioca e bottarga del Rio delle Amazzoni.
Biscotto di tapioca, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Maccarello affumicato con patata dolce (baroa) e crema di cipolla rossa. A mani basse uno dei cinque piatti di pesce migliori che abbiamo mai provato nella nostra ancor breve esistenza. Cottura e affumicatura stratosferica, l’abbinamento con la cipolla il matrimonio perfetto. Semplicità è lusso, dicevano.
Maccarello affumicato, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Pirarucu del Rio delle Amazzoni (o Arapaima, uno dei più grandi pesci d’acqua dolce del pianeta) con tucupi e caviale di tapioca.
Pirarucu del rio, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
..e il suo bouillon. Wow! Intensità giapponesi per questo brodo da fondoscala.
Bouillon, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Bocconi prelibati: timo di vitello con salsa bernese alla yerba mate, ora-pro-nobis. Il colpo di affumicatura al tavolo pervade le nostre narici e prepara i nostri sensi ad un altro ko. Straordinario.
timo di vitello, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Stinco. Un grande classico preparato alla perfezione, con l’aggiunta del tucupi, che fa la differenza.
stinco, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
stinco, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Meringa al cocco con yogurt e formiche dell’Amazzonia (maniwara red ant). Formiche? Who cares?
meringa al cocco, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Aligot. Formaggio del Minas Gerais con patate ed aglio. Perfetto per gusto e consistenza. Un plus l’averlo mantecato e lavorato al tavolo.
aligot, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Torta brasiliana alle nocciole con gelato al whisky, curry, cioccolato, sale, rucola e pepe. Mix di profumi, sapori, consistenze. Un dolce-non dolce di altissima scuola.
Trota brasiliana, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
La cucina a vista (Atala non c’era).
cucina a vista, D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile
Il riconoscimento della 50 Best in evidenza.
D.O.M., Chef Alex Atala, Jardins São Paulo, Brasile

Di Kobe Desramaults e del suo straordinario rifugio nel bel mezzo del nulla parlammo entusiasticamente già quattro anni fa. Un luogo dell’anima, dicemmo, lieti di averlo trovato, in una sera piovosa d’autunno: la classica “impresa” che solo l’appassionato più duro e puro poteva pensare che avesse senso. Una di quelle sempre più rare epifanie che rendono viaggi, spese, litigi familiari, degli effetti collaterali facili da dimenticare.
Il tempo è passato rapido, questo locale è ormai nel radar di tutti i gourmet d’Europa e il suo artefice è unanimemente riconosciuto come il più rappresentativo esponente di una new wave fiamminga piena di giovani entusiasti, capaci e anche anticonvenzionali quanto basta per non suonare scontati. Tutto ciò è interamente meritato: si respira entusiasmo da queste parti, in cucina, in sala, nelle eleganti e scabre stanze da letto con vista mucche, nella sala della colazione che pare uscita da un quadro secentesco (e che delizie, sia dolci che salate, vi attendono al risveglio).
L’offerta gastronomica lascia poche scelte: due menu, differenti solo per la presenza in quello più ampio di tre piatti in più, e l’abbinamento degli stessi con una serie (ampia) di calici o con un altrettanto ampio set di succhi di frutti o verdure locali, talvolta fermentati; in alternativa, una bella carta dei vini.
E l’esperienza è totalizzante: quasi quattro ore di viaggio, tra la campagna locale e il vicino mare, in un saliscendi di quasi 25 piatti, dosati al millesimo di grammo per non esagerare e far sì che la cena sia “gestibile” da uno stomaco comunque allenato.
Senza descrivere nel dettaglio la sequenza (mostrata comunque di seguito) e detto che non c’è un solo passo falso, ci sembra doverosa però la riflessione, senza avere, noi di PG, una risposta certa: è davvero questa la contemporaneità in cucina?
Lo zenit dell’esperienza gastronomica è nel succedersi di bocconi divini, e unici, nello stare a tavola quattro ore in attesa dello stupore o, più semplicemente, della forchettata (o cucchiaiata) che accende la scintilla del ricordo, più spesso, o dell’inatteso?
E cos’è un grande piatto? Soprattutto: un grande piatto può, oggi, essere proposto solo in forma di singolo boccone, la cui “densità” gustativa è tale da non consentirne, da non renderne sensato il secondo assaggio?

Noi, questa volta, da In De Wulf, certi di aver visto giusto sulla grandezza dell’artefice (perché, ripetiamolo, non un singolo assaggio era sbagliato né per idea né per esecuzione) abbiamo pensato soprattutto a questo; e a quanto ci incuriosirebbe provare questa mano alle prese con un menu di 3-4 portate, tradizionale, se ha un senso dire così. Cosa sceglierebbe, nel suo vastissimo bagaglio di suggestioni, se fosse imbrigliato da quello schema, quali delle tante corde solo accennate prediligerebbe? E, soprattutto, ci stupirebbe e soddisferebbe anche di più?
Fuori dalla riflessione, non si possono non citare tutti gli chef che, nel tempo della cena, si succedono al servizio (in una formula inaugurata al Noma qualche tempo fa) con evidente orgoglio e grande cordialità: bella squadra, davvero.
In ultimo, avendolo provato per la prima volta, solleviamo qualche dubbio sull’abbinamento della cena con succhi di vario tipo, talvolta fermentati: buonissimi in sé quasi tutti, non sono affatto un’alternativa “light” alla più tradizionale sequenza enoica. Lo zucchero è tanto e, anche se talvolta l’abbinamento è davvero azzeccato, già a metà cena un senso di appesantimento e stucchevolezza ha la meglio. Torneremo pescando, poco ma bene, nella carta dei vini, piena di chicche.

Pelle di porco con ribes bianco, in coeografica presentazione “gore”
pelle di porco, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Lumache di mare e granchietti
lumache di mare, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Formidabile sgombro affumicato all’artemisia
formidabile sgombro, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
“Kerremelkstampers”, patate con panna acida
patate con panna acida, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Rosso d’uovo con radicchio e fiori
rosso d'uovo, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Gambero crudo in foglia d’acetosa, esplosivo
gambero crudo, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Il pane, cotto nel forno a legna all’esterno del ristorante. Di livello davvero notevolissimo, una crosta che inebria
pane, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Verdesca, sedano rapa e rabarbaro
verdesca, sedano rapa, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
La soave zucchina con granchio del mare del nord
zucchina con granchio, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Il piatto della serata, per noi, la razza cotta nel brodo delle sue lische. Spettacolare nella sua purezza e intensità gustativa
razza cotta, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
La “mouclade”, zuppa di cozze, prima in una sua ricostruzione vegetale con tartelette, poi in versione classica
zuppa do cozze, tartelette, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
zuppa di cozze, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Il meraviglioso astice di Audresselles, nella top 5 dei più buoni mai gustati
astice, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Lumache e porri
Lumache porri, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Funghi delle artdenne
Funghi, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Cavolfiore e salsa alle cozze
Cavolfiore e salsa cozze, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Agnello alla brace, fave pisellini, formaggio di capra
agnello alla brace, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Piccione di Steenvoorde, frollato in avena per 5 settimane. Da impazzire il crostino con le sue interiora
piccione, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
piccione, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
La notevole pizza al Maroilles
pizza al maroilles, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Yogurt, miele, mirabelle
yogurt, miele, mirabelle, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Camomilla selvatica e cetriolino
camomilla selvatica, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Ricordo dell’infanzia dello chef, l’Oud Kriekbeer, con bacche selvatiche e gelato al latte fresco
gelato, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Barbabietola con prugnola
barbabietola, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Gli ultimi fuochi…
fuochi, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
Il Forno
forno, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland
E’ bello, di tanto in tanto, pensare alle vacche…
vacche, In De Wulf, Chef Kobe Desramaults, Heuvelland

“Nel tentativo di plasmare il nostro modo di cucinare, guardiamo al nostro paesaggio e approfondiamo i nostri ingredienti e la nostra cultura, nella speranza di riscoprire la nostra storia e il nostro futuro”.
Mangiare al Noma oggi significa fare un’esperienza fuori dal comune. È riduttivo parlare soltanto di cibo. Cosi come riduttivo è limitarsi alla valutazione gustativa ed emozionale del singolo piatto senza contemplarlo – probabilmente a mente fredda – soffermandosi sulla filosofia e la costante ricerca che c’è dietro ogni preparazione. E’ solo prendendo un aereo per la Danimarca che si riesce a concepire l’incredibile successo di questo cuoco e del suo luogo. René Redzepi, fenomeno classe ’77, ha (re)inventato la cucina dei paesi del Nord, un po’ come hanno fatto i fratelli Adrià con la cucina moderna, ed il pensiero della sua NOrdisk MAd ha avuto una tangibile influenza su moltissimi cuochi e ristoranti, non solo nordici. (altro…)