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Lini 910: la verticale che non ti aspetti

Vino
Recensito da Thomas Coccolini Haertl

Una verticale inconsueta

Quando si pensa a una verticale, con ogni probabilità si sta ragionando soprattutto sui vini fermi. Magari a quelle spettacolari degustazioni di grandi toscani o piemontesi, in fatto di rossi italiani. Senza dimenticare i vini bianchi, perché in verità per molti territori e relativi vitigni, si scopre che alla fine sono più longeve le uve a bacca bianca di quelle rosse. Insomma, per fare una verticale, c’è forse una regola? Al limite, ragionando sulle bollicine, ci potremmo aspettare che so, un evento dettato dal susseguirsi di annate all’indietro di Champagne.

Anche perché noi italiani, diciamocelo, siamo sempre stati un po’ esterofili. Basti guardare il nostro parco macchine. Dunque è già assai raro incontrare degustazioni dedicate alle bolle italiane, fra Alta Langa, Franciacorta, Oltrepò Pavese e Trento DOC, che di certo non ci si aspetterebbe una verticale di Lambrusco: e invece? Eccoci qui, per un evento ONAV con Fabio Lini, Alicia fresca fresca dall’ennesima trasferta americana e Alberto, che assieme ad Alessio sono l’attuale generazione della storica Lini 910, il cui attuale logo cita proprio l’anno di origine a partire da Oreste Lini.

Alicia Lini

La storia di un progetto

Ero stato proprio recentissimamente in cantina da loro e Alicia mi ha ricordato dell’imminente evento reggiano dedicato ai loro vini. Impossibile quindi lasciarsi sfuggire una rarissima verticale di Lambrusco! Questa è un’Emilia che ci sorprende, sempre ricca di novità. Davvero in fermento, nella più diretta delle accezioni. Fabio e Massino Lini, entrambi enologi della cantina nel cuore della “bassa” reggiana, sono arrivati al metodo classico avendo studiato in Francia e hanno nobilitato le uve locali portando lo champenoise fra le nebbie padane. E non lo hanno fatto ieri, tutt’altro. La loro storia del metodo classico risale agli anni ’60, nello stesso periodo in cui da Berlucchi con Franco Ziliani nascevano le bolle della Franciacorta. In Correggio Metodo Classico è la loro linea. Giustamente fieri della cittadina di origine. Del resto, Antonio Allegri, detto Il Correggio, è stato uno dei più significativi pittori italiani del Cinquecento.

Da allora, con passi da gigante saltiamo ai giorni nostri, passando per Antonio Ligabue, il pittore e scultore che viveva nei pioppeti lungo l’argine del grande fiume, non lontano da quella stessa Correggio che – last but not least – ha dato origine all’altro Ligabue, Luciano, il Liga per tutti, che nel 1991 cantava Lambrusco e pop corn. In verità, però noi, più che mai prendiamo le distanze da quegli anni ’80 e ’90, in fatto di vino, perché le etichette emiliane delle bollicine perseguivano solo il criterio della quantità, producendo quasi esclusivamente spumanti in autoclave, sulla falsa riga del Prosecco, inseguendo mercati come quello americano con lambruschi amabili oggi sostanzialmente improponibili.

Il Lambrusco del passato

Sicché i passi da gigante li ha fatti anche il Lambrusco costruendosi un mercato creato su consumatori maturati assieme al prodotto. È la stessa Alicia Lini, costantemente in contatto col mercato USA, durante l’evento ONAV a ricordarci che gli americani di oggi che cercano il lambrusco contemporaneo, sono paradossalmente più preparati di tanti nostri concittadini sui nostri vini emiliani e sulle nostre terre dense di prodotti alimentari e di storia. Ovvero, sono consumatori divenuti palati esigenti. Schierati in degustazione per la verticale di Lini troviamo le annate 14, 12, 09, 07, 06, 05 e 04. Fantastico! Fantastico in particolare ragionando sul Lambrusco. E iniziando a sentire le annate, dalla più giovane alla più remota, fra i presenti, qualcuno ha detto: <non sembra nemmeno Lambrusco.> Certo! Non può sembrarci Lambrusco, semplicemente perché siamo stati abituati a consumare questo spumante rosso sempre molto giovane. Non è che non sia un Lambrusco. È Lambrusco evoluto e non abbiamo ancora memorizzato diffusamente le sue caratteristiche da vino maturo, spumantizzato metodo classico. Cioè non ci siamo mai dati il tempo di aspettare, di fatto seguendo le orme della nostra generazione precedente, affascinata dalla modernità dell’autoclave che inizialmente era garanzia di maggiore costanza, ma soprattutto di velocità.

Anche solo trent’anni fa eravamo ben lontani dai profumati charmat lunghi di oggi. Soprattutto nella vinificazione mancava la tecnologia, come ad esempio il rispetto del ciclo del freddo e in generale le filiere virtuose che partono da una maggiore selezione in vigna. Un tempo, i nostri nonni facevano vino con tutta l’uva che c’era e solo con la rifermentazione in bottiglia. Quello che oggi definiamo metodo ancestrale. Era un’altra epoca. Bottiglie a cui saltavano i tappi, senza il controllo delle pressioni, tanta disuniformità e una fermentazione che più che spontanea, come la definiamo oggi, era casuale.

I lieviti autoctoni non erano frutto delle cantine di oggi che rispettano criteri di pulizia e rigore; in pratica i tini aperti respiravano l’aria del posto (e tutto quello che stava in sospensione, in quell’aria, appunto…). La generazione prima della nostra è scappata via da quel modo di fare vino per necessità ed è il motivo della rivoluzione e successo dell’autoclave. Se oggi sono ritornati tantissimo i rifermentati in bottiglia lo dobbiamo proprio alla tecnologia, sana e utile, che permette di imbottigliare vini quasi limpidi, senza puzzette e difetti iniziali, in grado di supportare lunghe soste migliorando negli anni, non solo olfattivamente, ma anche per complessità gustativa e persistenza.

Alcune bottiglie di Lini 910 assaggiate durante la verticale

È giusto essere franchi, senza voler stravolgere i credo dei sostenitori dei vini naturali. La tecnologia, quella sana e utile che ho descritto, fa bene al vino e non si deve confondere con l’idea di vino artefatto. Non stiamo parlando di spumanti caricati di solfiti, oppure arricchiti di zuccheri, modificati alla sboccatura con liqueur di expedition dalle ricette segrete. Buona parte degli spumanti contemporanei ha un dosaggio basso, se non bassissimo, esaltando le durezze del vino, per palati che anni fa non avrebbero mai accettato le acidità predominanti di oggi. Dicevamo che è cambiato il consumatore. Vero: il vino di pari passo. Probabilmente la grande differenza di questi ultimi anni sta nel rispetto del territorio.

Essere biologici oggi, metodicamente, a prescindere dall’avere o meno il logo BIO in etichetta, oppure persino biodinamici, significa lavorare terreno e piante sistematicamente con il principio della conservazione e della sintonia uomo-natura. Sia chiaro, non voglio fare troppa poesia, perché non dimentico affatto che i grandi numeri della vinificazione (ovvero creare marginalità sui bilanci) tutt’ora si fanno ovviamente con l’autoclave. Ciò non toglie che anche nella terra delle grandi cooperative, nell’Emilia dei conferitori ove l’uva vale ancora troppo poco, via siano cantine virtuose come Lini che ha deciso di investire tantissimo sul metodo classico. La linea In Correggio Metodo Classico lo dimostra con 6 etichette: Metodo Classico Bianco e Rosé da uve 100% Pinot Nero, il Metodo Classico Rosso da uve Salamino in purezza -oggetto della verticale- poi il Pas Dosé e il Metodo Antico sempre da Pinot Nero e il Gran Cuvée di Lambrusco.

La degustazione

La verticale dei 100% Salamino (fa eccezione qualche annata in cui vi può essere una bassa percentuale di Sorbara), oltre a dimostrarci il potenziale di longevità di questa varietà di uva, diviene un piacevole esercizio alla scoperta dei millesimi passati. Motivo di ricordi e confronti fra le annate. Cosa facevo io nel 2004? Com’era il mondo, nel 2004? Allora la scelta diviene soggettiva. A ognuno la sua annata. Le variabili in gioco non sono tante, oltre alla vendemmia e al tempo.

Non si fanno trucchi. Quello che posso certamente dirvi è che avevo già sentito le 2005 e 2006 in altre occasioni e mi avevano entusiasmato, soprattutto per l’idea del Lambrusco d’annata. Ora mi entusiasma allo stesso modo la 2009. Anzi, in questo momento mi pare davvero in grado di portare quest’uva e questo spumante al massimo della sua espressione. Parallelamente sorprende la 2004, sia per come si è mantenuto il colore, sia per essere ancora relativamente “giovane”.

Le diverse annate di Lini 910 assaggiate durante la verticale

Le bollicine si fanno sempre più fini, andando a ritroso, divengono quasi evanescenti, ma è solo un problema di vista, mai di palato che si riempie sempre di vellutata, perlata cremosità. La filosofia aziendale di Lini è da premiare anche per gli aspetti logistici, perché non è semplice oggi fare magazzino con tante annate garantendone la vendita. Non di solo metodo classico vive l’uomo… parafrasando, sicché Lini è anche la linea Labrusca con metodo charmat di 3-4 mesi in autoclave nelle declinazioni Rosso, Rosé e vinificato in bianco, infine le altre 4 etichette Lini 910 da uve Salamino, Sorbara, Pinot Nero vinificato in bianco e Moscato tutti charmat lunghi con 6 mesi in autoclave.

Ma nelle terre di eccellenze alimentari come il re dei formaggi Parmigiano Reggiano -oggi regolarmente commercializzato dalle stagionature più giovani, fino a forme di 50, 60, 70 mesi e oltre- nelle terre del Prosciutto di Parma e Culatello di Zibello, dell’Aceto balsamico Tradizionale di Modena o di Reggio Emilia DOP (per citare solo alcune delle 44 DOP-IGP della regione), non potevamo accontentarci solo del Lambrusco di massa. E allora, c’era una volta Il Correggio, oggi c’è In Correggio. E’ la scelta di qualità della famiglia Lini, stilisticamente esemplare, che ci consente di vivere il Lambrusco spumante fino a vent’anni in bottiglia! Fresco come non mai. Affascinante metodo classico rosso. Lini non è l’unico virtuoso e questo è un bene, nell’offrire perle si qualità emiliane. La strada è aperta. C’è tanto fermento. Davvero.

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