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Cantina Terlan: una leggendaria verticale di Rarity

Vino
Recensito da Leila Salimbeni

Il Terlaner alla sua acme

Chi conosce i vini dell’Alto Adige sa quanto il termine longevità sia calzante nel descriverne la tempra, soprattutto in riferimento ai bianchi del territorio. Parlando di uve a bacca bianca, tuttavia, è pure interessante riconoscere che gli altoatesini hanno imparato a misurarvisi tardivamente, ovvero solo dopo il 1920: fu infatti in questo momento che da estremo sud dell’Impero austro-ungarico l’Alto Adige è diventato l’estremo nord di un Regno, quello d’Italia, che a livello vitivinicolo ha proiettato su di lui la necessità di uve più a bacca bianca che a bacca rossa, decretando di fatto la sua (e la nostra) fortuna. Oggi, Cantina Terlan è forse la più autorevole realtà in materia non soltanto di vini bianchi ma anche, in particolare, di pinot bianco.

Come già scrissi altrove, però, e nonostante la prescienza con cui il mercato, qualunque mercato, sembra innamorarsi di alcuni vitigni in luogo di altri, è curioso notare come la fascinazione contemporanea intorno al pinot nero non abbia mai investito, per estensione, il pinot bianco, che del primo altro non è che la filiazione. Del resto, benché il loro Vorberg sia ecumenicamente considerato tra i migliori pinot bianco d’Italia, è pure vero che molto raramente la critica o il collezionista gli abbia dedicato un’attenzione che non fosse legata alla sola fotografia dell’annata. A livello produttivo, infatti, le velleità della longevità vengono proiettate di preferenza sulla linea Rarity che, però, può cambiare sensibilmente il proprio profilo organolettico di anno in anno, privilegiando una volta il blend – come stiamo per raccontarvi – oppure il vitigno in purezza, com’è accaduto la scorsa primavera con Rarity 2009, pinot bianco in purezza (appunto).

Questo splendido ma delicato vitigno appare, infatti, più eloquente in relazione che da solo, mostrando una natura intimamente gregaria codificata anzitempo proprio da Terlan che, per interposta persona del suo visionario Kellermaister, Sebastian Stocker, nelle cuvée più importanti decise di combinarlo con chardonnay e sauvignon blanc e dare vita, da questa relazione, a Nova Domus, Terlaner I e alla Cuvée Terlaner oltre che, come detto, alla straordinaria Rarity.

Rarity: una questione di metodo

Evitando di ricorrere a facili tautologie, è d’uopo dire sin da subito che l’eccezionalità di Rarity coincide con una peculiarissima combinazione di natura e cultura: a fronte, infatti, di annate eccezionali, dal 1979 la cantina preleva le migliori partite di vino per farle maturare, anche fino a 30 anni, sulle fecce fini, in fusti di acciaio, secondo un metodo congegnato proprio da Sebastian Stocker.

Un archivio liquido, questo, che consente loro di scegliere, ogni anno, se utilizzare un singolo vitigno (vedi Rarity 2009) oppure perpetuare la storica cuvée del Terlaner che, dopo la fermentazione, matura 12 mesi in botti grandi di rovere prima di raggiungere i fusti di acciaio da 2500 litri dove sosta sulle fecce fini per un periodo compreso tra i dieci e i 30 anni. Oggi, che il testimone è passato all’enologo Rudi Kofler, i vini sottoposti a questa particolarissima forma di evoluzione sono circa 18 e le bottiglie prodotte, per ogni annata, circa 3300.

La degustazione

Prima di addentrarci in questa straordinaria verticale di Rarity, però, una premessa la meritano i vigneti che inerpicano le proprie radici nel suolo vulcanico di Terlano e sui ripidi fianchi delle montagne col loro substrato di porfido quarzifero. Questo terreno così prodigo di scheletro e di argille sabbiose appare invece, per contro, scevro di carbonato di calcio: un’assenza, questa, responsabile di valori di pH piuttosto acidi, cui si aggiunge la composizione del terreno, naturalmente drenante, con scarsa disponibilità di sostanze nutritive.

È questa combinazione, responsabile tra l’altro di una vigoria equilibrata della vite, con rese naturalmente contenute, a determinare una reazione a dir poco interessante: complici, infatti, le condizioni vegetative stressanti, la vite reagisce producendo un particolare tipo di polifenoli, forieri di quella spiccata sapidità, quella tensione e quella profondità che, assieme alla densità del vino – una cremosità perseguita ed enfatizzata anche in fase di vinificazione mediante frequenti bâtonnage, ovvero movimentando i lieviti – ne determina non solo la concentrazione che ha catturato, negli anni, l’attenzione degli appassionati di tutto il mondo, ma anche la straordinaria longevità.

Terlaner Rarity 2008

(85% pinot bianco, 10% chardonnay, 5% sauvignon blanc; titolo alcolometrico 13,5%, residuo zuccherino 1,6 g/l, acidità totale 5,8 g/l)

L’annata 2008 si è guadagnata l’attenzione della critica pressoché a tutte le latitudini. In Alto Adige, complice l’inverno, mite e secco, e la primavera, fredda e umida, s’è determinato un ritardo tanto in fase di fioritura che di allegagione. Un ritardo provvidenziale nel determinare una maturazione lunghissima, enfatizzata da una vendemmia tenutasi in concomitanza con l’estate di San Martino. Dal vino si leva così una concentrazione e una progressione importante già in fase olfattiva: una nube di incensi, sia orientali che di sagrestia, su un giardino di erbe aromatiche, sali e pietre spezzate. Al palato cresce ancora, articolandosi su più direttrici, orizzontale e verticale, e sviluppandosi sia in larghezza che in lunghezza tanto che difatti non chiude, dopo il sorso, ma anzi s’apre su imperative note empireumatiche e un’incalzante, tannica piccantezza, leggermente fumé, come di tè Lapsang. È giovanissimo e, pertanto, ancora felicemente contratto. 94/100

Terlaner Rarity 1991

(Cuvée di pinot bianco, chardonnay, sauvignon blanc; titolo alcolometrico 13%, residuo zuccherino 1,3 g/l, acidità totale 5,9 g/l)

Considerata dalla vulgata un’annata degna di scarsa nota, la 1991 ha però dimostrato, nel tempo, d’essere completamente sopra le righe. La primavera fu secca e fredda, l’estate tarda, fortemente irraggiata e torrida, la vendemmia, “bagnata”. Condizioni antipodiche che ci hanno consegnato un vino energico, giovanissimo di contrasti ed energia: il naso viene irretito dapprima in una trascinante festa di frutti tropicali che s’avvita, poi, su più acute note di agrumi verdi, tè nero e, solo dopo, dal perfetto connubio, già incontrato, tra l’incenso della cristianità e quello dell’Oriente. Al palato è arioso, slanciatissimo e ascensionale: la salinità è tutta in levare e la piacevolezza disarmante, pur nell’importanza del sorso. La cremosità è evanescente e persistentissima al contempo. Misterioso, questo vino è il felicissimo esito del lavoro di tre persone – Sebastian Stocker in vendemmia e vinificazione, Hartmann Donà nell’evoluzione, Rudi Kofler nell’imbottigliamento – per un totale di 25 anni sui lieviti e 6 anni di bottiglia: Klaus Gasser (direttore commerciale e marketing di Cantina Terlan) e Rudi Kofler, l’enologo, giurano che, da quando è stato imbottigliato, non è mai cambiato… 96/100

…dall’archivio storico…

Una personalità enigmatica, quella di Sebastian Stocker, che sin dal primo anno della sua attività, ovvero dal 1955, si è divertito a nascondere circa 500 bottiglie l’anno in nicchie murate o sotterrate al fine di veder sopravvivere la propria opera e, con essa, una parte di sé. Una velleità simile, quella di superare i propri limiti terreni, condivisa con gli Antichi Egizi e forse con tutti gli artisti, eternata oggi in un tesoro – non del tutto svelato – di circa 120.000 bottiglie, presaga di una tradizione intelligentemente perpetuata e alimentata: quella che vuole che, ogni anno, siano messe da parte numerose bottiglie, spesso anche in Magnum, a futura memoria.

Terlaner 1971

(Cuvée di pinot bianco chardonnay, sauvignon blanc; titolo alcolometrico 13%)

La 1971 fu un’annata da vendemmia tardiva in tutto il territorio del vecchio Impero austro-ungarico. Terlan non fa eccezione e consegna al degustatore un vino straordinariamente profondo, smussato nelle durezze dalla fermentazione malolattica che si manifesta anche al naso nella combinazione di frutta dolce – melone bianco e mela cotogna – e note di frutta secca (pinoli) e latte. Con l’ossigeno diventa evidente anche l’influenza di erbe aromatiche molto balsamiche e pepe Timut mentre, nella combinazione col sorso, s’appalesano antichi ricordi di conchiglie e fumo di camino. Colpisce, anzi tramortisce per l’impatto della sua presenza scenica al palato che, tuttavia, ha durata minore rispetto a quella dei suoi predecessori. 92/100

Terlaner 1966

(Cuvée di pinot bianco chardonnay, sauvignon blanc; titolo alcolometrico 13% nel 1966)

Un’annata che racchiude l’anima di Stocker, così la definiscono Rudi Kofler e Klaus Gasser. Il primissimo naso ricorda, per progressione e compattezza, addirittura quello, giovanissimo, della 2008. A poco a poco si svela, tuttavia, un’originalità e una bellezza senza pari, che sarebbe riduttivo descrivere nelle note di latte rappreso, tè nero affumicato, melone bianco, cera d’api e susine gialle, mentre al palato è ancora imperativo e indiscutibilmente nordico. Imponente, maschera la sua densità in un’intelaiatura nervosa e minerale, un’acidità siderale che lo percorre e lo vivifica dall’interno, magnificando un retrolfatto abitato da note di zabaione e caffè. Un vino eccezionale, cui razionalmente si stenterebbe a credere dati i suoi 56 anni. 98/100

Terlaner 1955

(Cuvée di pinot bianco chardonnay, sauvignon blanc; titolo alcolometrico 13%, acidità totale 5,8 g/l)

Un’80% di malolattica svolta racconta di un vino molto ben evoluto, cui l’ossidazione occhieggia solo, e delicatamente, nelle note di pomodoro essiccato da cui si levano eco provenzali di erbe aromatiche essiccate, ancora molto definite, a tratteggiare un carattere olfattivo insolitamente mediterraneo. Al palato non appare minimamente scarnificato, anzi si stratifica in una trama acido-salata molto concentrata, con decise eco vinose. 90/100

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