Nel corso di un anno gastronomico ci si imbatte in una miriade di piatti capaci di convincere e, talvolta, di sorprendere. È la natura di chi frequenta con assiduità tavole di qualità – gastro-curiosi o gastro-fissati? – e che, a fine percorso, racconta ciò che assaggia cercando quasi sempre di restituirne anche una lettura personale, interpretando ciò che il cuoco ha voluto esprimere. Tra questi piatti, però, pochissimi riescono a superare l’istante dell’assaggio e a fissarsi davvero nella memoria, tornando alla mente con nitidezza anche a distanza di mesi. Non sono necessariamente i più geniali o i più complessi. Sono quelli che, per un equilibrio raro o, all’opposto, per un’emozione generata da un eccesso, lasciano un segno più duraturo. Tra tutti i piatti mangiati quest’anno ci siamo concentrati sul binomio dolce-salato, ossia due creazioni (miglior piatto salato e miglior dessert) che, per ragioni affettive, soggettive o oggettive, hanno saputo imporsi su tutti gli altri.
Leonardo Casaleno
Scegliere il piatto dell’anno senza incrociare un grande cuoco è un’impresa sempre più ardua, soprattutto quando la sua caratura rientra in quella categoria che gli inglesi definirebbero “one of a kind“. E non è un caso se, alla fine, ci si ritrova sempre a scegliere tra gli stessi tre o quattro nomi. Quest’estate, al Reale, un banale Riso, pesto di basilico, anice e limone – nome dimesso, come spesso accade, e presentazione provocatoria, quasi da mensa ospedaliera – ha sovvertito anche le aspettative più alte. Un’apparente ordinarietà che, all’assaggio, innesca un ordigno di pura meraviglia tra stupore e divertimento.
In uno dei suoi piatti più iconici, Maxime Frédéric, da Plénitude, scompone gli agrumi nei loro vettori fondamentali — oli essenziali, acidità, componenti aromatiche — e li ricompone in un profilo gustativo di assoluta coerenza. Oltre all’estetica ammaliante, consistenza e temperature passano in secondo piano lasciando spazio alla salsa Esquisse d’Endocarpe (limone macerato, camomilla, bergamotto
Il bergamotto è un agrume coltivato quasi esclusivamente in Italia, in particolare nella provincia di Reggio Calabria. Ha forma sferica o a pera ed è di colore giallo. Il frutto viene raccolto tra novembre e marzo. Non è commestibile (il gusto acidulo della polpa è assai sgradevole), ma è molto ricercato per la sua aromaticità. Se ne ricava un olio... Leggi, pensata insieme al sommo Arnaud Donckele) quale fulcro che orienta l’intera costruzione del dessert e ne determina con autorità la cifra più riconoscibile.


Alberto Cauzzi
Come definire la contemporaneità? Ragionando sull’etimologia, significa “essere con il proprio tempo”: non inseguirlo né contrastarlo, ma interpretarlo. In cucina, questo implica scegliere la sintesi tra ciò che siamo stati e ciò che possiamo diventare. Andrea Aprea opera in questo spazio dinamico, dove memoria e tecnica dialogano in un linguaggio che appartiene al presente ma non trova ispirazione solo in esso. Le Eliche in doppia concentrazione di soffritto napoletano ne sono un fulgido manifesto. Un piatto che, proprio come i ricordi gustativi dello chef, cerca di radicarsi nella memoria di chi lo assaggia: più che un esercizio di stile, un atto di permanenza.
La colazione all’albergo Cheval Blanc a Parigi è certamente una delle colazioni più moderne e futuribili del mondo. Maxime Frédéric sta rivoluzionando l’alta pasticceria francese sul morso, conseguentemente sulle strutture, sulla sottrazione di zuccheri e sulla precisione di cotture e proporzioni. Un lavoro di precisione ma di grande avanguardia, che rende questo Pain au chocolat semplicemente perfetto, inedito, travolgente. Goloso ma non eccessivo, persistente e contemporaneo ma istantaneamente filologico.


Antonello Sgobba
Rileggere ricette popolari del passato è sempre impresa ardua, migliorarle ancora di più… lo chef Mauro Uliassi è riuscito in tutto questo con La sogliola al pepe verde. L’intensa aromaticità del pepe trasferito in una gelatina lievemente piccante che accompagna un filetto di sogliola impanato e grigliato alla perfezione: piatto intenso e profondo comparso come fuori menù del Lab ’25.
La torta di arancia e cioccolato mangiata a merenda al caffè Bulgari di Roma, creazione di Pier Simone Guarino, abilissimo executive pastry chef della struttura. Una fetta di torta all’apparenza semplice con uno strato di frolla al cioccolato croccate al punto giusto e una giusta proporzione tra marmellata di arancia e cioccolato che rende il boccone piacevole, giustamente zuccherino e non stucchevole.


Luca Turner
Marco Caputi al Veritas di Napoli; radici e minimalismo. Una profondità che si fa emozione, in un gusto genuino, spontaneo e colmo di intensità. Un’esperienza che coinvolge vista, olfatto e palato, in un equilibrio di misura e verità. Il nido racchiude, nella sua essenza primordiale di custodia, uno spaghetto materico arricchito dal porro deciso, dal limone vibrante e dalla foglia di cappero: un piatto teso, vivo, lontano da ogni prevedibilità.
Fabio Silva è un cuoco autentico, dalla competenza solida e mai ostentata, che emerge con naturalezza nei suoi piatti. Il babà con chantilly alla ricotta e mandorle che realizza al Derby Grill di Monza un dolce ben costruito, in cui ogni elemento trova il proprio posto. L’impasto, soffice e ben inzuppato, sprigiona note leggere e aromatiche di rum, senza risultare invadente. La chantilly alla ricotta aggiunge freschezza ed equilibrio, mentre le mandorle regalano una piacevole nota croccante che chiude il morso con armonia.


Orazio Vagnozzi
Come chiarisce nel messaggio introduttivo rivolto ai commensali: «La cucina italiana è il perfetto equilibrio tra miseria e nobiltà: miseria nelle risorse, nobiltà nel saperle valorizzare». Complessità filologica e rigore concettuale sottendono questo percorso evocativo che presenta colpi d’ala, degni delle creazioni migliori dell’Osteria Francescana, come il primo piatto di pasta dal titolo Dove vuole andare questa pasta e fagioli? I fagioli si trasformano in un formato di pasta a forma di fagiolo, realizzata con farina di legumi essiccati. La cottura risottata e la mantecatura con midollo e brodo denso, rifinite con olio di cavolo nero e levistico, reinventano la tradizione con un risultato sorprendente ed emozionante.
Pera candita caramellata, malleolo, panna, sfoglia croccante, un dessert che sembra semplice, ma lavora in tre registri: dolcezza, freschezza, croccantezza. La pera candita caramellata è il fulcro: morbida, profumata, con una lucidità da pasticceria d’autore. Il “malleolo” aggiunge una nota lattica e quasi primitiva, che dialoga con la panna in un equilibrio inatteso. La sfoglia croccante è il contrappunto necessario — una pausa asciutta, un gesto di struttura che impedisce al dolce di scivolare nella morbidezza totale. Un piccolo capolavoro di Riccardo Camanini al Lido 84.


Giovanni Gagliardi
Della Pasta riccia, fegato di cannolicchio e sesamo tostato di Riccardo Camanini al Lido 84 si apprezza, inizialmente, la consistenza. Incredibile, al punto che masticheresti in eterno. Poi, il miracolo della dolcezza e della morbidezza di un ingrediente prezioso e sorprendente come il fegato dei cannolicchi ed il giusto contrasto dato dalla nota tostata dell’olio al sesamo. Un capolavoro!
Il dolce come deve essere al termine di un percorso di degustazione. Leggero, fresco, non molto dolce, possibilmente con una punta di acidità. La tagliatella di Davide Palluda è tutto questo e anche di più: è buonissima!


Claudio Persichella
La Triglia, patate boulangere, croco e Fumet de roche “Tanin des Failles Rocheuses” di Arnaud Donckele al Plénitude (Paris). Qui la salsa fatta con pesce di scoglio, Merlot, pastis, cognac, scalogno, brodo di granchi, fondo di selvaggina, riccio di mare, fegato di triglia e alloro, ginepro è un viaggio nel viaggio non solo per come funge da complemento a una divina e succulenta triglia ma per come essa stessa con le sue mille sfumature permeate da eleganza e concentrazione straordinarie assurge al ruolo di compiuta coprotagonista di un piatto memorabile frutto della sensibilità e della maestria di un grandissimo chef.
Il Polline, miele, cedro, yuzu
Lo Yuzu è un albero da frutto distribuito nell'Asia orientale del genere Citrus. Si pensa che sia un ibrido tra il mandarino e il papeda. Il frutto è molto aromatico, il diametro è solitamente compreso tra 5,5 e 7,5 centimetri, ma possono arrivare anche a 10 centimetri. Leggi e mano di Buddha. La bravissima Paola Mazzeo anima, insieme al marito chef Wataru Izumo del delizioso washoku ( trattoria tradizionale) Kou Kou di Roma, è una pasticciera. E che pasticciera: provare per credere i suoi dolci di cui questa torta rappresenta summa ideale: dolce, amara, acida in un susseguirsi di sensazioni che rendono ogni assaggio diverso dall’altro.


Gherardo Averoldi
Asador Etxebarri è una tavola che non ha bisogno di presentazioni. Nel tempio presieduto da Bittor Arginzoniz piatti come le noci di mare, fatte schiudere alla brace e accompagnate ai leggendari piselli lacrima, sono in grado di emozionare, nella loro apparente semplicità, grazie a un delicatissimo e ineffabile sentore di brace perfettamente integrato tra la dolcezza del legume e le note marine del mollusco.
Camouflage: la lepre nel bosco è un piatto ormai leggendario in carta all’Osteria Francescana da più di 10 anni. Massimo Bottura rielabora un classico civet in forma di dessert mixando cioccolato, foie gras
In francese significa letteralmente "fegato grasso" ed è definito dalla legge francese come "fegato di anatra o di oca fatta ingrassare tramite alimentazione forzata”. È uno dei prodotti più famosi e pregiati della cucina francese. Esistono tipologie di 'foie gras' non derivate da animali sottoposti ad alimentazione forzata. Spesso il fegato grasso è associato all'alta cucina francese e internazionale per... Leggi, caffè, polvere di erbe, spezie e per finire sangue di lepre. Un pezzo di storia della cucina d’avanguardia italiana che mostra tutt’oggi la sua straordinaria modernità.


Fiorello Bianchi
Un daino adulto, che sviluppa nel fegato una sorta di reticolo che ne rende la texture quasi croccante. La carne viene leggermente cotta e servita con olio alla nepitella e una acqua nera, lattofermentata, creata con una muffa da aspergillus luchuensis, fra l’acido e il dolce. Edoardo Tilli è un cuoco visionario, che coltiva l’istinto, in stretta connessione con la natura e il passato, che usa la scienza e la tecnica per far evolvere il suo pensiero, profondo, gastronomico.
Miglior dessert, per me, è quello provato da Enrico Marmo in quel di Balzi Rossi, prima che lo chef partisse per nuove mete, ancora da definire, una Panna al finto pepe infusa con la salvia, una tartare
La bistecca alla tartara (conosciuta anche come carne alla tartara, steak tartare o più comunemente tartare) è un piatto a base di carne bovina o equina macinata o finemente tritata e consumata cruda. La ricetta prevede che dopo essere stata triturata la carne deve o marinare nel vino o in altri alcolici oppure viene aggiunto del succo di limone e... Leggi di banane, limone alla marocchina, polvere di lattuga di mare e caviale; un dessert disorientante al palato, sorprendendolo per come la combinazione degli elementi porti ad un retrogusto spinto sulla salvia e, soprattutto per la sua lunghezza palatale.


Giacomo Bullo
È di Federico Zanasi di Condividere, che riporta ancora una volta tanto l’attenzione al processo creativo, quanto lo studio sul patrimonio culinario regionale. Qui è la linguina “alla cetarese” a incontrare (canonica) colatura d’alici, crema di limoni arrostiti, l’acqua di pomodoro verde, il cumino e il pistacchio. Sentori vegetali amplificati e speziature cangianti per un piatto memorabile da morso costiero, nel mezzo del quartiere Aurora a Torino.
Alessandro Gilmozzi (El Molin) la piazza lì. Far assurgere al rango di pre-dessert — e quindi già invischiarla nella sfera del dolce — una frattaglia: la lingua. Disarmante nella sua natura bifronte, autentico pre-dessert e al contempo ultimo, sottile raccordo proteico con l’universo dei salati, la Lingua di cervo cotta nell’Ocoo
Pentola coreana che mescola la pentola a pressione a bassa temperatura e la cottura ad infrarossi, preservando le proprietà organolettiche degli ingredienti. Il vapore all’interno dell’ocoo non fuoriesce, si lega con gli aromi del cibo e ne esalta e concentra profumi e sapori. Leggi si offre come un viatico sorprendentemente dolce. Avvolta dalla struttura olfattivamente persistente della rosa, dalla freschezza della verbena e da una riduzione di genziana che innalza il registro amaricante, la combinazione restituisce un quadro aromatico che già abbraccia la sfera conclusiva del pasto, quasi a digestivo. La consistenza, grazie alla scelta della tecnica di cottura, è cremosa, rinnovata a ogni boccone sotto la spinta delle diverse nuance vegetali d’amaro, in un crescendo calibratissimo.


Alfonso Isinelli
“Spine” è il menù più concreto e maturo tra gli ultimi di Moreno Cedroni con Luca Abbadir. Spine non solo come utilizzo completo dello scarto, ma come colonna vertebrale del pesce, dal quale partire per realizzare i singoli piatti. La Paglia e fieno impastata con le spine del rombo, esalta questo percorso, con il suo morso consistente e il retrogusto marino, ancor più esaltato dalla grattugiata di spina di ricciola. Gli altri elementi servono solo a cesellare un assaggio perfetto.
In uno dei locali multifunzionali più belli di Milano e non solo, Enrico Croatti ha portato tutte le sue anime, da quella natìa romagnola a quella spagnola, cardine della sua esperienza. Al ristorante gastronomico, Moebius Sperimentale, ci si diverte e il palato gode e, spesso, si stupisce, grazie anche ai dolci del giovane Pastry Chef, Stefano Borghini. Il suo Cuore di vitello fermentato alla barbabietola e mela verde, non è il solito, a volte banale, gioco tra dolce e salato, ma, anche per la sua posizione nel menu come predessert, una vera sferzata tra dolcezze e mineralità che prepara il palato al resto del comparto dolce.


Claudio Marin
Al Mugaritz di Andoni Luis Aduriz, il midollo di tonno viene servito crudo – immerso in un brodo di pesce – e l’alga Kombu è pazientemente privata dello strato più esterno, così da donarle una texture ed un morso inediti (l’associazione mentale va ad una buccia di cedro tagliata sottile). L’assaggio alternato delle due preparazioni restituisce il lato più ruvido del mare, un salmastro intenso di scoglio asciutto, al quale si alternano note umami e minerali. Una combinazione che colpisce nel profondo, scuote le viscere. Unico al mondo.
Il tradizionale gugelhupf alsaziano viene preparato da Alain Passard all’Arpège senza uova, burro e latte (le regole del nuovo corso del cuoco sessantanovenne): è la patata dolce a conferire umidità e la giusta morbidezza. La Pera caramellata è sì dolce, ma a colpire è piuttosto il morso, al perfetto confine tra il cremoso ed il croccante. Il sorbetto di cotogna a sua volta è un equilibrismo, tra la tipica dolcezza della mela cotta e l’acidità del frutto crudo. Il boccone che unisce le tre componenti è pura meraviglia.


Giampietro Miolato
Il Cuore fermentato nel sake-kasu di Alessandro Dal Degan a La Tana Gourmet, così da togliere le note più ferrose e giocare sulla fermentazione enzimatica. Risultato: una portata straordinaria, servita fredda, al momento, con rape rosse a rilanciare l’acidità e il lardo a garantire rotondità. Il tutto senza togliere il piacere di un gioco palatale dato dalla consistenza risoluta ma non gommosa della carne. Intelligenza, temerarietà, tecnica. Ciò che dovrebbe essere la cucina.
Lo Strüdel di Giuliano Baldessarri all’Aqua Crua, rivisitato e servito freddo, su gelato alla vaniglia, con speziatura della cannella unita all’acidità del frutto fresco e croccante. Un piatto tattile, divertente e stupefacente nel ribaltare archetipi ben saldi nella tradizione italiana. Per estensione, e in chiusura di pasteggiamento, la rappresentazione plastica dell’avanguardia propria di questa cucina. Per nostra fortuna.


Andrea Mucci
Un formato di pasta assai grazioso in questa proposta, connotata da una deliziosa progressione, studiata a puntino da Andrea Antonini da Imàgo. Partendo dalle note dolciastre e sapide sospinte all’insù sino all’irruzione amaricante del radicchio, con una concentrazione in grado di tracciare una lincea verticale che mette in evidenza, nella sua interezza, il pensiero sottostante, colto e raffinato. Un grande piatto questo, del percorso “Error 14” – Autunno Inverno 2025.
Nel percorso degustazione del Reale di Niko Romito, un gran dessert. Tra i migliori dell’anno. Una realizzazione di spessore, visivo, olfattivo e gustativo; un’aurea di delicatezza, tra sensata acidità e piacevolezza. La consistenza della crespella si sposa a meraviglia con tutti gli ingredienti e le intelligenti note aromatiche dello zafferano che tornano sul finale. Armoniosamente buono, elegantemente goloso. Un dolce che starebbe bene anche all’inizio, o nel mezzo. Ovunque.


Carlo Nicolò
Scampi e carciofi di Massimiliano Alajmo: piatto che racchiude in un uno il genio e il rigore stilistico di uno degli enfant prodige della cucina italiana. Un mix prorompente di sapori e testure ove la gestione della nota amara e terrosa del carciofo (ingrediente notoriamente ostico) è perfetta donando al piatto stratificazioni e profondità che difficilmente ci si sarebbe potuti aspettare durante la presentazione del piatto.
Pane e Nutella di Francesco Sodano al Ristorante Rana. Pan brioche ossidato mediante un processo di tostatura indotta che gli attribuisce un sapore di cioccolato, gelato di nocciole chiarificate, fiocchi di sale e tartufo. Avanguardia nella preparazione, memoria al gusto. Un “Pane e Nutella” dal sapore iconico e persistente che proietta nel futuro ricordi d’infanzia.


Alessandra Pegrassi
Scelgo questa spigola come piatto dell’anno perché incarna la maturità della cucina di Antonio Guida: precisione che non esibisce, eleganza che non cerca l’effetto. È un equilibrio raro tra mare e terra, luce e profondità, dove ogni elemento – cavolfiore, finferli, ribes, Vin Jaune – non aggiunge, ma rivela. Un boccone che continua a ragionare dentro chi lo assaggia: segno inequivocabile di una grande portata.
Miglior dessert dell’anno, allestito dalla talentuosa pastry chef Mina Karimi, poiché riesce a trasformare un’idea intima in tecnica leggibile ove la natsukashii – “nostalgia felice”- diventa materia. Il tortellino di Hokkaido e cachi è memoria masticabile; la rugiada di wakame porta un respiro salmastro, il “caviale” teriyaki-balsamico incide, l’amaretto alla nocciola addolcisce senza compiacere. Il brodo di caldarroste alla brace chiude e riconcilia come un focolare: non zucchero, ma narrazione.


Giampiero Prozzo
È arrivato al Vero Restaurant di Venezia da poco Carmine Amarante. Ha fatto un giro lungo perché a Napoli è nato ma a Tokyo è cresciuto. Non ha dimenticato le radici e in valigia ha messo gli anni trascorsi nel paese dove la materia prima è culto: pancia e rigore zen. I suoi piatti ne sono ritratto fedele e le Eliche di grano duro, in equilibrio tra la potenza della zuppa forte nel suo fondo concentrato e l’ossimoro della sapida dolcezza del riccio, sono un viaggio interminabile.
Castiglioncello del Trinoro è un angolo di Toscana dove oggi si parla la lingua della perfezione. Nelle cucine del ristorante Oreade il dialogo continuo tra lo chef Bacciottini e il pastry Margiovanni – qui insieme dopo lunghi percorsi internazionali -riserva sorprese fino all’ultimo piatto con un essenziale dessert: l’Assoluto di prugna. L’intensità del frutto sembrerà ricomporsi al cucchiaio tra frammenti ossidati, il suo nettare e la spuma ottenuta dal nocciolo. L’ultimo scalo di un grande viaggio.


Gianni Revello
Ma è giusto valutare i piatti solo step by step, fuori dalla specifica traiettoria di un menù? A Villa Feltrinelli, a metà del “100% Baiocco” arriva il Cuore di piccione, ricci di mare, glassa di carciofo. Primo dei due servizi del piccione, posto a seguire lo Spaghetto in Civet
Il civet è un metodo di cottura particolarmente adatto alla selvaggina, che consiste nel cuocere la carne a fuoco lento in una salsa a base di vino, sangue, verdure e spezie. Leggi (e artemisia
l'Artemisia appartiene ad un genere di piante angiosperme dicotiledoni appartenenti alla famiglia delle Asteraceae. In cucina, le foglie cotte o crude di Artemisia vulgaris, per merito del loro aroma amaro, aiutano la digestione; per questo in molte zone sono preparate soprattutto come condimento a cibi grassi. Le foglie sono usate anche come infuso, oppure per aromatizzare la birra. Il sapore... Leggi: esperienza!) e prima dei Passatelli, petto di piccione, consommé alla verbena, liquirizia (il comfort sopraffino). Tra questo prima e questo dopo, piatto dell’anno perché uno jamais vu nello scalar di potenza in eleganza, marcandole strette entrambe, perno del menù.
La Zuppa di fagioli di montagna, nespola, carruba e rosmarino di Antonia Klugmann a L’Argine a Vencò che, rispetto ai già memorabili ‘dolci’ di Pierangelini (ricordo un fagottini ai fagioli e fagottini ai peperoni) allarga il campo gustativo nel segno di un territorio. Zuppa asciutta, come già la Minestra asciutta, ancora di Pierangelini.












