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Come nasce (oggi) un Supertuscan

Vino
Recensito da Thomas Coccolini Haertl

La storia di Podere L’Assunta

Andando per cantine e per eventi legati al mondo del vino, un po’ come l’archeologo che ambisce sempre a nuovi ritrovamenti, oppure come gli scienziati alla ricerca di nuove grandi scoperte, il desiderio di un sommelier dalla parte di chi scrive è quello di incontrare un vino sconosciuto, ma che sia l’epifania di una futura grande etichetta. C’è insomma sempre il sogno di diventare un talent-scout di un produttore di nicchia e di cui il mondo ancora non sapeva l’esistenza. La scoperta rappresenta il piacere, mentre l’atto rivelatorio è la missione, esaltante tanto quanto il primissimo emozionale approccio con un calice che manifesti all’olfatto e al palato un vino eccellente. Un vino che nell’assaggio abbia insite quelle chiare connotazioni prodromiche di una grande bottiglia che un sommelier preparato sa individuare. Ancor più se ci si trova in zone dove la posta in gioco sia alta, territori universalmente riconosciuti attraverso denominazioni e vini noti a tutti: Barolo, Barbaresco, Bolgheri, solo per esemplificare. La scoperta diviene poi assoluta se si incontra un produttore all’interno di una denominazione notoriamente assai restrittiva nelle regole del disciplinare, che decida di ribellarsi, di starsene fuori – a suo rischio e pericolo – perdendone le tutele ma anche i vincoli con l’intento di dire che in quella determinata area si possa fare diversamente. Cioè a modo suo. 

Qualcuno potrebbe dire che le regole sono fatte per essere trasgredite. Sarebbe certamente una provocazione, ma è pur vero che guardando necessariamente alla storia del vino italiano, con l’avvento nella seconda metà degli anni sessanta dei disciplinari per le DOC, integrate poi dalle DOCG a partire dal 1980, alcuni viticoltori pensarono bene di non aderirvi affatto.

Tutto questo, l’incontro rivelatorio di un grande vino da produttori di nicchia che talvolta escono dal disciplinare, accadeva infatti più frequentemente in passato; le probabilità di una scoperta simile al giorno d’oggi si restringono molto. Ma può ancora capitare. Proprio per questo l’attualità ci impone un passo a ritroso. Pensate che questa sorta di trasgressione di alcuni – folli o illuminati? – viticoltori (a proprio rischio e pericolo o quanto meno a proprio presunto danno) determinò la nascita di quelli che comunemente sono stati definiti i Supertuscan. E il mondo enologico italiano ne ha tratto enorme giovamento. Sicché prima di rivelarvi la scoperta di oggi, quello che ritengo sia un vino che possa rientrare nell’olimpo dei Supertuscan, proviamo a capire da dove viene questo bizzarro termine mezzo latino e mezzo inglese.

È un curioso appellativo che inizia a comparire nella metà degli anni ’80 e non ha una storia certa, seppure le più probabili ricostruzioni storiche ne attribuiscano l’origine alla creatività linguistica di un giornalista inglese. Altre fonti lo farebbero risalire alla critica enologia americana. E non ha nemmeno un unico modo di essere scritto. Qui useremo Supertuscan, ma potrete trovarlo scritto anche come Super Tuscan, Super tuscan oppure SuperTuscan. A vostro piacimento. E il senso?

L’idea fu quella di arricchire i vini toscani volutamente lasciati fuori disciplinare da alcuni viticoltori con un termine in grado di distinguere alcune etichette eccellenti che senza DOC non potevano essere commercializzate se non con come Vino da Tavola. Troppo poco, secondo la critica internazionale, per alcune bottiglie che presto sarebbero diventate iconiche. Il principio del vignaiolo era quello di non essere obbligato all’utilizzo delle uve previste dal disciplinare, per rientrare ad esempio nella denominazione del Chianti Classico identificato dal suo Consorzio con il Gallo Nero già dal 1924 (primo consorzio di tutela italiano). Oppure semplicemente l’essere fuori da una zona tutelata, arrivando a creare vini verosimilmente di grande pregio che definiti solo come Vino da Tavola darebbero una immagine riduttiva, distorta e fuorviante.

Risalgono al 1968 i primi esempi dei futuri Supertuscan: Sassicaia presso San Guido, a Bolgheri e Vigorello di San Felice, comune di Castelnuovo Berardenga (SI) nel Chianti. Nel primo caso non vi era ancora disciplinare, perché il Bolgheri DOC è del 1995 a completamento della prima stesura risalente al 1983. Per il secondo il disciplinare era la DOC Chianti (1967), poi distinta in Chianti Classico. Sassicaia si deve al Marchese Incisa della Rocchetta che negli anni ‘40, impiantò nella futura zona di Bolgheri i vitigni di Cabernet Franc  e Cabernet Sauvignon, probabilmente ispirato da Elisa Baciocchi Bonaparte, sorella di Napoleone, principessa di Lucca e Piombino che a inizio ‘800 si mise a produrre vino in quel di Suvereto, più a sud, facendo arrivare le prime barbatelle francesi base degli attuali Cabernet Sauvignon e Merlot, esplicitando un territorio vocato alle vigne del taglio bordolese, fra mare e colline anticamente insediate dagli Etruschi. L’imbottigliamento dell’iconico Supertuscan Sassicaia iniziò solo nel 1968; sull’etichetta appariva dunque la sola classificazione di Vino da Tavola. Stessa sorte in etichetta per il Vigorello che nasce nel Chianti Classico dall’azienda San Felice, da sole uve Sangiovese, rinunciando alla denominazione che da disciplinare prevedeva anche Malvasia nera, Colorino, Malvasia bianca e Trebbiano. È il periodo di Sergio Manetti, industriale siderurgico che con grande lungimiranza nel 1967 acquistò la tenuta Montevertine come casa di vacanza, quota 400 m slm a Radda in Chianti, nel senese, impiantando poi i primi due ettari di vigna, mettendo su una piccola cantina vinificando solo per amici e clienti. I primi filari sono quelli con esposizione a nord-nord est noti oggi come Pergole Torte da cui l’omonimo Supertuscan da uve Sangiovese in purezza. 1971 fu la prima annata prodotta, da subito molto incoraggiante, tanto che Sergio Manetti ne mandò alcune bottiglie al Vinitaly tramite la Camera di Commercio di Siena. Fu successo immediato e largo merito si deve a Giulio Gambelli che non possiamo non citare, indiscusso assaggiatore di vini e figura imprescindibile nella storia del Brunello di Montalcino moderno.

Altro iconico Supertuscan lo si deve alla famiglia dei Marchesi Antinori, cugini degli Incisa della Rocchetta, che distribuirono le prime annate di Sassicaia. Piero Antinori voleva ricavare dai vigneti della Val di Pesa, sui colli fiorentini, un vino toscano nuovo e diverso. Così nel 1971 nasce il Tignanello non dichiarato come Chianti Classico per via delle uve in assemblaggio. Ma è dalla vendemmia del 1975 che con l’enologo Giacomo Tachis si decise di aggiungere solo Cabernet Sauvignon al Sangiovese, modificando anche l’affinamento con l’introduzione delle barrique.

Potremmo perderci nella la storia dei Supertuscan, continuando con CepparelloFlaccianello della Pieve, Fontodi, Isole e Olena, Solaia… del resto in teoria si possono chiamare così tutti i vini che vengono prodotti in Toscana che non fanno parte delle DOCG e che non hanno regole per l’affinamento.

Arriviamo a oggi, solo ricordando che a metà anni ’90 Angelo Gaja, dal Piemonte decise di mettere piede in Toscana acquistando in Maremma: così nasce Ca’ Marcanda. Sorvolando i primi anni del nuovo secolo, fra una ritrovata ricerca di autenticità, come dire meno complessità negli assemblaggi, minor concentrazione e più eleganza, attualmente il termine Supertuscan è ancora molto importante per i mercati internazionali, stante la dichiarazione di Axel Heinz come enologo di Tenuta dell’Ornellaia. Cioè non se ne può fare a meno.

Nuovi Supertuscan

Ed eccoci nel presente, a ritrovare nel Podere l’Assunta tutte quelle peculiarità che hanno caratterizzato gli inizi, l’autenticità territoriale e il traguardo del prestigio per i nomi che abbiamo citato. Siamo sui Colli Senesi, a circa 400 m slm fra Siena e Monteriggioni, più precisamente nella frazione di Poggiolo, la cui storia risale agli Etruschi, ma rimaniamo all’oggi. Giacomo Sensi è il factotum della cantina di soli tre ettari su terreni calcarei con ricca presenza di scheletro, circondata da boschi che garantiscono una forte escursione termica. Quella sorta di “freschezza” che non saprei meglio descrivere, ma che arriva fino alla bottiglia, nella complessità olfattiva e nei sentori del territorio. E che caratterizza altri Supertuscan di riferimento, come il già citato Le Pergole Torte. L’attuale etichetta del Podere l’Assunta, da uve 100% Sangiovese della vigna esposta a sud-ovest è Costa del Pievano che riporta elegantemente su sfondo bianco il disegno delle parcelle territoriali coinvolte nel podere.

Caratteristica rara di questo vigneto è l’allevamento ad alberello. Non ci sono altri segreti, nella logica di Giacomo Sensi, oltre ovviamente a lavorare completamente in biologico, restituendo un vino naturale, fin da subito intrigante. Fermentazione in acciaio, affinamento di due anni in botti di rovere francese da 10 hl e barriques. Semplicemente così.

Il risultato è un vino imbottigliato costantemente dall’annata 2016 e ora, sentendo la 2019 posso sbilanciarmi nel dire che Giacomo Sensi ha saputo centrare appieno questa eccellente annata in territorio toscano. Come ho fatto per altri vini in passato, anche questa volta non vi svelerò le sue peculiarità olfattive e al palato, vi voglio cioè lasciare il piacere totale della scoperta. Esattamente come è stato per me. In divenire una seconda etichetta su sfondo blu: Ametato, frutto delle uve raccolte dall’altra vigna esposta a nord-est e coltivata a guyot, di cui torneremo a parlare presto. Promesso.

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