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Tignanello e cacciagione

Vino
Recensito da Leila Salimbeni

Miti d’oggi

Tignanello (con Sassicaia e, successivamente, anche Solaia) incarna la storia del vino italiano degli ultimi cinquant’anni. Nasceva nel 1970 quando ancora constava di 20.000 bottiglie a denominazione Chianti Classico Riserva, dal “Vigneto Tignanello”, tra le valli della Greve e di Pesa, tra Montefiridolfi e Santa Maria a Macerata, a trenta chilometri da Firenze. Suoi artefici, Piero Antinori, Giacomo Tachis ed Émile Peynaud – uno degli accademici più rivoluzionari del vino contemporaneo – che insistette affinché Tignanello fosse anche il primo Sangiovese a maturare in barrique nuove.

Una scelta, questa, che non consisteva solo in una nuova forma di vinificazione, ma in una rivoluzione di paradigma che comportò posizioni tanto seminali quanto definitive. Come quella che lo vide, un anno dopo, nel 1971, affrancarsi dall’antica, inderogabile ricetta che prevedeva, oltre al Sangiovese e al Canaiolo Nero, le uve a bacca bianca di Trebbiano e Malvasia Toscana, con la conseguente rinuncia alla denominazione. Poi, nel 1975, l’ultimo, risolutivo atto di auto-determinazione: via anche il Canaiolo, sostituito con una quota di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc impiantati nella Tenuta già negli anni Venti su concessione nientemeno che di Giulio Ferrari che aveva venduto loro le prime barbatelle.

Gli abbinamenti di Riccardo Forapani al Cavallino

Questa la mitica genesi – e l’esegesi – del primo SuperTuscan nazionale che, da solo, aprì la strada verso la modernità. E che moderno e anzi contemporaneo sia, questo Tignanello, lo si evince anche quando lo si assaggia in verticale, testandone magari la versatilità in abbinamento ai piatti di un cuoco emiliano tanto rigoroso nella esecuzione della tradizione quanto libero nell’imporle la sua personale visione del gusto e della cucina. Stiamo parlando di Riccardo Forapani, emilianissimo nei natali e nella formazione – nato a Mirandola, in provincia di Modena, classe 1985, è figlio di una cuoca modenese e un padre meccanico che sognava, per lui, un futuro in Ferrari, auspicio che, in un certo senso, al Cavallino è stato esaudito – per 13 anni in forze all’Osteria Francescana, da e con Massimo Bottura.

E difatti l’occasione è proprio una delle cene o, pardon, delle Wine Dinner del ristorante Cavallino di Maranello, già mensa aziendale degli operai della casa automobilistica del “Drake”, al secolo Enzo Ferrari: un luogo che oggi raccoglie appassionati di motori veloci e cibi lenti, qui riuniti oggi per testare le virtù del Tignanello in un menù di cacciagione capace di appagare tanto il filologo tradizionalista quanto quello che, in milanese, viene chiamato cool hunter, ovvero il ricercatore di tendenze.

Di seguito, dunque, le note di degustazione vergate piatto per piatto, calice per calice.

Tignanello 2020 e battuta di caccia: tartare di capriolo, uva Grasparossa, barbabietola arrostita e salsa salmì

Un vino molto compatto e ancora piuttosto nervoso al naso, dove si dimostra vivo di dolci accenti di rabarbaro, peperocino e tracce ematiche, che affonda, e lo fa in piena concordanza, sulle note carnose e dolci del capriolo crudo, dell’uva e della barbabietola. Un assaggio che permette di leggere in prospettiva l’identità muscolare e polposa dell’annata.

Tignanello 2016 e Royale di fegato di germano, porcini, finferli, mallo e prezzemolo

Una versione antologica (vuoi per la felicità dell’annata, vuoi per l’abbinamento), vede questo Tignanello 2016 esprimersi in conturbanti note di fragole e visciole, eucalipto e pepe, e assestarsi al palato con una profondità e una lunghezza smisurate e una succosità golosa, ariosa e lirica. C’è infatti meno materia rispetto al 2020, ma si tratta di una materia danzante che punge e solletica le papille e si sposa con estrema urbanità alla sontuosa Royale: un piatto così importante e in un certo senso anacronistico che solo qui, al Cavallino, poteva trovare degna collocazione.

Tignanello 2009 e Ravioli di cinghiale e salsa Périgueux

L’abbinamento perfetto, né più né meno. Piccante e concentrato, nonché animato da un volteggiare incalzante di idrocarburo, Tignanello 2009 si mostra potente, solido e oltre il succoso, vibrante di un’acidità nervosa ma felice, che al retrolfatto si compone in note di liquirizia, cannella e inchiostro. L’abbinamento con la dolcezza silvestre del cinghiale e la profondità della salsa Périgueux consegna questa combinazione nel firmamento dei migliori abbinamenti di sempre.

Tignanello 2007 e Colombaccio, radicchio marinato, pere, salsa al cioccolato e pepe di Sichuan

Altro grande abbinamento, tutto all’insegna della speziatura e dell’evoluzione. Molto calore e possenza, il radicchio marinato egregiamente dell’amaro diventa la parte più nobile, esprimendosi su un repertorio fatto di ginseng, liquerizia e caffè.

Tignanello 2005 e tortellini alla panna e tartufo bianco

Una delle riprove del fatto che, nelle giuste annate, Tignanello diventi se stesso, col tempo. In questo caso un olfatto profumatissimo, verde di cardamomo, resina ed eucalipto viene enfatizzato dalla carica olfattiva del tartufo bianco, e dell’affondo del dente sulla nodosità di un tortellino in miniatura. La forte personalità del vino e del tortellino al palato si contendono la scena in un delizioso agone di fine pasto.

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