Osteria Ponte Pietra

VALUTAZIONE

Cucina Classica

14/20

PREGI
La location.
La carta vini.
DIFETTI
Mancanza menù degustazione.
Parcheggi non adiacenti al locale.
Alcune preparazioni potrebbero osare di più in termini di contrasti.

Tra storia e riconoscibilità presso la cucina di Sebastian Branzi

Passeggiando per Verona risulta assai suggestivo regalarsi una promenade lungo l’Adige. Con un poco d’attenzione, a pochi passi dal Teatro Romano, ci si imbatte nel Ponte Pietra, il più antico ponte scaligero, i cui natali affondano in epoca romana (una prima costruzione era lignea, per poi passare all’attuale costituzione in pietra).

Le specifiche inquadrano il carattere che anima l’Osteria Ponte Pietra: il locale, sito a pochi passi dall’omonimo ponteggio, è connaturato da arredi ottocenteschi ed emana un’aria di eleganza e classicità, di cui la cucina guidata dal giovane Sebastian Branzi, già con un passato presso la vicina Osteria Fontanina, nonché sous chef del predecessore Michael Silhavì, rappresenta l’estensione. In questa prospettiva si inserisce una proposta che fonde assieme una rotondità vigile ad accontentare l’ampia platea turistica che transita per Verona e una puntualità esecutiva che azzarda qualche sperimentazione, senza tuttavia discostarsi da un registro prettamente classico.

Va detto che un approccio del genere, che sinteticamente potrebbe essere liquidato come poco coraggioso, racchiude in sé una seconda chiave di lettura: soddisfare un palato inesperto, o non consapevole, della tradizione italiana nella sue sfaccettature regionali, dunque lontano da stereotipi culinari, e proporre un percorso comunque personale, è impresa non da tutti, al netto della giovane età del cuoco. Acquista dunque un valore diverso anche il menù degustato, sperimentalmente migliorabile ma concretamente dai margini di audacia e sperimentazione aumentabili. Pensiamo, per esempio, a Capesante arrostite, inchiostro, pak-choi, salvia e yuzu, il miglior piatto del servizio, in grado di inframezzare note vegetali tendenti all’amaro a lunghezze iodate e sfumature acide dello yuzu. Un bel piatto, ragionato e sperimentale, capace di unire Occidente e Oriente con intelligenza, spingendo su caratteristiche non immediate ma nonostante ciò di universale comprensione. Faraona, radicchio, mandorle tostate e tartufo ha invece riportato le coordinate gustative su binari di più immediata decifrazione, con un interessante gioco di stampo acido del radicchio in agrodolce e una tecnica non meno che sicura nella cottura del volatile. Il piacere della riconferma. Leggermente sottotono Pappardelle, finferli, fegatini di pollo e tartufo, piatto ben eseguito ma incapace, per l’onere previsto dagli ingredienti, di rappresentare un punto di svolta, o di indirizzo, della cucina, soprattutto in termini di stagionalità.

Nel complesso possiamo comunque dirci soddisfatti dell’esperienza provata, sebbene al netto di leggere mancanze di coraggio in alcune preparazioni che, ne siamo sicuri, laddove superate permetteranno di esprimere totalmente le potenzialità del locale.

IL PIATTO MIGLIORE: Capesante arrostite, inchiostro, pak-choi, salvia e yuzu.

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Gianpietro Miolato

Di formazione letteraria, è affamato di buon cinema e buona cucina. L’avanguardia come obiettivo primario, ma con occhio vigile sulla tradizione. Tempo libero e chilometri sono investiti nella ricerca della tavola che sappia sedurlo più della precedente.

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VALUTAZIONE

Cucina Classica

14/20

PREGI
La location.
La carta vini.
DIFETTI
Mancanza menù degustazione.
Parcheggi non adiacenti al locale.
Alcune preparazioni potrebbero osare di più in termini di contrasti.

INFORMAZIONI

PREZZI

Alla carta: sui 75€

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