L’enoteca del Roero
Si respira un’atmosfera di solide certezze salendo lo scalone che porta al primo piano dell’edificio (un tempo asilo) che ospita l’Enoteca regionale del Roero, nel pieno centro di Canale (Cn). Ma che ospita anche il locale – All’Enoteca – di colui che è stato capace, con coraggio, lungimiranza e un pizzico di giovanile avventatezza, di “sollevare il velo” e “accendere i riflettori” sulla cucina e sui vini di questa terra, a lungo e a torto considerata la sorella “sfortunata” delle Langhe.
Stiamo scrivendo – chiaramente – di Davide Palluda (classe 1971), un cuoco che, per la sua lunga storia e i tanti traguardi raggiunti, non ha bisogno di presentazioni. Gli appassionati di alta cucina lo conoscono da anni. Coloro che amano i grandi vini pure. Così come anche quelli che si recano in Piemonte per godere della bellezza dell’albese e dei suoi prodotti straordinari. Tutti, insomma, in questi ventisette anni (All’Enoteca ha aperto i battenti nel 1995) si sono seduti almeno una volta ai tavoli di questo ristorante, elegante senza essere affettato, fine senza essere pretenzioso, affascinante senza essere lezioso.
Una solida certezza, quindi, come appunto si scriveva all’inizio. E con ciò, dopo aver brevemente raccontato i piatti e affibbiato un voto numerico, si potrebbe chiudere la scheda e passare ad altro. Ma ci attenteremo invece a proporre qualche riflessione ulteriore, speriamo utile a tratteggiare un profilo più complesso del cuoco e della sua cucina. La prima riflessione riguarda il percorso intrapreso. Palluda e All’Enoteca sono stati i precursori di un modo “altro” e “alto” di interpretare e raccontare il Roero: i locali nati in seguito, così come le cantine e i produttori agricoli, dovrebbero riconoscergli una benemerenza per il lavoro, tanto nel tracciare un percorso di sviluppo quanto di promozione di un territorio, che ha svolto, e che tuttora svolge. Lavoro del quale, a ricaduta, in tanti, e in tanti settori, hanno tratto benefici. La seconda riguarda più propriamente la cucina di Palluda che è stata capace di evolvere negli anni, con costanza: ovvero senza stasi e pure senza strappi. Chi, per sua sventura, mancasse da tempo dai tavoli di All’Enoteca non faticherebbe a ritrovare uno “stile Palluda” nell’attuale proposta, uno stile che, non “passatista”, si esprime attraverso piatti al passo coi tempi. La terza riguarda più strettamente quello che abbiamo chiamato “stile Palluda”.
Davide non è un avanguardista funambolico. Il suo stile, di formazione classica (lo si può evincere, per esempio, dai Gamberi viola avec suace béarnaise), si esprime, quasi femminilmente, attraverso piatti seducenti e romantici che, nati da un’idea o da una suggestione (suscitate da un prodotto, da una ricetta di tradizione, da un abbinamento consolidato), prendono poi forma nell’incontro degli elementi. Gli esempi potrebbero sprecarsi, e qui ne facciamo giusto un paio. Un’idea, suscitata dalla materia prima, è appunto quella di assaggiare il Fassone Piemontese «dalla testa ai piedi». Una suggestione foresta quella di accompagnare l’agnello alla brace alla mediterraneità della foglia di cappero e di una salsa, di origine marocchina, a base di limoni salati e fermentati. La quarta considerazione riguarda la capacità che Palluda ha dimostrato nel saper industriare il proprio lavoro. Nel 2006 – infatti – insieme alla moglie Annalisa, ha aperto un suo laboratorio (cosa normale per i cuochi di oggi, ma non così scontata quindici anni fa) ove «mettere in barattolo quei sapori che andava studiando e proponendo al ristorante», secondo materia prima, tecnologia e ricerca. Una quinta riflessione riguarda la capacità di Palluda di essere ‘maestro’. Tanti sono i giovani che sono maturati nelle cucine di All’Enoteca: Enrico Marmo, Stefano Paganini, Andrea Bertini… (à propos, segnatevi questo nome!), solo per citarne alcuni fra mille. E tutti concordano nel riconoscere allo Chef grandi doti didattiche e umane.
Il piatto e il gusto
La carta di All’Enoteca non è vastissima, e propone anche un percorso di degustazione di otto portate (a un prezzo più che onesto: 110 euro) e, in stagione, una selezione di piatti di tradizione (cocotteCon il termine cocotte si intende una casseruola per cucina classica, solitamente in ghisa, porcellana o rame. Recipiente dai bordi alti per cuocere vivande in forno o bagnomaria. Leggi di uovo e fonduta, tajarin…)che «abbracciano perfettamente il tartufo bianco». Sia che si scelga à la carte sia che si proceda col menù si andrà comunque incontro a piatti eleganti, ben pensati, preparati con materie prime di qualità, ben realizzati (uno degli atout di Palluda sono le cotture millimetriche) e dai gusti netti. Profumi e sapori di Roero, Langa e Liguria sono i protagonisti ma altri attori che giungono da più lontano, come per esempio nel caso del già citato agnello, fanno degna comparsa, variando con intelligenza su una partitura consolidata da metodo, tecnica e professionalità. Così se la Finanziera è una delle più buone che si possa mangiare – riconoscendo solo a quella «di Renzo» dell’Antica Corona Reale, a Cervere (Cn), il primato assoluto – i Ravioli di animella
Ghiandola corrispondente al timo umano presente in agnelli e vitelli che scompare con l’avanzare degli anni. Rientra tra le frattaglie bianche, si presenta come una massa spugnosa e va consumata fresca, altrimenti fermenta. La parte commestibile, di forma allungata, si definisce noce e, previa cottura, va immersa in acqua, ricambiandola ogni volta che assume un colore rosato, al fine di... Leggi (aiutati anche dal tartufo nero) e i Ravioli di fagiano si dimostrano un concentrato di gusto. Di bella costruzione, nel susseguirsi in bocca delle diverse consistenze e dei diversi profili aromatici tendenti a un amaro clorofillico, è l’Insalata di lumache con prezzemolo, levistico e mela verde, addolcita dalle coscette di rana fritte in accompagnamento. Un tecnicismo più scoperto si avverte nella parte finale del pasto: dolci e piccola pasticceria, da sempre uno dei cavalli di battaglia di Palluda. La Crema affiorata, nel suo abbinamento a una estrazione di foglie di fico, richiama da un lato il profumo delle robiole affinate nelle lobate foglie del Ficus carica, dall’altro pare riprendere e approfondire uno spunto uliassiano (l’ormai nota «pasta alla Hilde»). Mentre il giocoso carrello della Petite pâtisserie, nella sua lunga teoria di pastine, cannoncini, dolcini, dolcetti, cioccolatini, frutta sotto spirito e chi più ne ha più ne metta (insomma, una goduria per i golosi più impenitenti!) mostra, con giusto orgoglio, le indubbie capacità pasticciere della cucina.
A contorno di tutto ciò c’è poi un buon servizio, giovane e volonteroso, che ruota più che bene sotto lo sguardo di Ivana Palluda, sorella di Davide. E una carta dei vini che, seppur non immensa per ciò che è al di fuori del Piemonte, lo è invece per la regione sabauda. Sicché fra Baroli, Barbareschi e Roeri (come, per esempio, una eccelsa Riserva Trinità, annata 2009, di Malvirà, consigliata con competenza da Davide, e che difatti nulla ha da invidiare alle etichette dell’altra sponda del Tanaro) non si faticherà a trovare una degna bottiglia per accompagnare sì tanta cucina!
La Galleria Fotografica:
Acciughe ripiene fritte e maritozzo con cagliata di capra. Arachide tonnata. Un ottimo Barolo di Luigi Pira: Serralunga, annata 2011. Selezione di focaccia, grissini e crackers. Insalata di lumache, prezzemolo, levistico e mela verde, a fianco le rane croccanti. Gamberi viola al vapore con bernese al limone e scarola ripassata. Ravioli di animella alla salvia, tartufo nero e succo di carota. Raviolo di fagiano. Un eccelso Roero: Trinità, Riserva 2009, di Malvirà. Finanziera. Agnello alla brace, limoni salati e foglie di cappero. Crema affiorata ed estratto di foglie di fico. Brioches alla crema. Gelato alla crema e alla nocciola. Carrello della piccola pasticceria. Uno scorcio di una delle luminose sale del ristorante.