Passione Gourmet Il Tinello di Davide Oldani Recensione - Passione Gourmet

Il Tinello di Davide Oldani

Ristorante
piazza della Chiesa 14, San Pietro all’Olmo, Cornaredo (MI)
Chef Davide Oldani, Alessandro Procopio
Recensito da Andrea Grignaffini

Valutazione

18/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • Il sommelier Manuele Pirovano e la sala del maître Davide Novati.
  • Il conto non è più POP, ma il rapporto Q/P resta interessante.
  • Pane e piccola pasticceria dosati con intelligenza.

Difetti

  • È sempre complicato trovare un tavolo libero.
Visitato il 03-2020

L’italianizzazione dello chef’s table 

Il tinello vanta, tra le sue accezioni semantiche, un impasto di frugalità e intimismo. E ciò è tanto più vero nel tinello di Davide Oldani che, all’uopo, su una fabula sweet ordisce un intreccio bitter & sour e crea un congegno così ben oliato da sembrare la sua diretta estensione.

La similitudine narrativa, del resto, non è casuale: perché ciascuno dei piatti di Davide Oldani costituisce il tassello (il testo) di cui si compone un menù – il Tinello – da leggersi come un ipertesto tanto è coerente da un punto di vista strutturale e formale. Un’opera la cui caratterizzazione autoriale è data dalla ritmica con cui si alternano, e compenetrano, riferimenti classici provenienti dalla sua solida esperienza professionale – la sua è una tecnica totale tanto da sembrare, in alcuni tratti, austera e anaffettiva – con altri attinti invece da una dimensione più domestica e personale fatta di concessioni al regno enciclopedico del comfort e, come tale, indulgente verso gusti che sono tanto levigati quanto rassicuranti e senza farsi mancare, per giunta, pure momenti dichiaratamente, felicemente ludici.

In questa alternanza tra registri risiede buona parte della grandezza dell’esperienza. In “a portata di mano” l’invito è quello di mordere l’intera struttura dopo averla afferrata con le mani; simile ma ancora più ascendente il climax del gambero rosa dorato al cucchiaio, che rappresenta anche il momento in cui realizziamo la presenza dell’ipertesto di cui si parlava dianzi, e che si manifesta grazie alla coerenza nell’uso del colore: una progressione cromatica ton sur ton, per la precisione, e per lo più incentrata sul timbro del colore naturale degli alimenti, prediletti nelle tonalità del nude. Il senso è quello di un profondo bon ton, che si manifesta anche nello spaghetto al cartoccio, ovvero coperto perché vestito di un etereo e svolazzante velo argenteo da lasciar svaporare sulla cremosissima base di cacio, pepe, limone e rafano e che ritroviamo anche nella serica e fondente mantecatura del riso con forma di quadrello, riduzione all’eucalipto e frutta secca.

Coi secondi, poi, si fa ritorno a una cucina d’impronta più tecnica dove cotture e guarnizioni sono sempre ragionate e precisissime, come nel caso del trancio di lucioperca gratinato, sedano rapa e litchi o nell’“a fuoco lento” di pesci e aglio invecchiato. Così, in una progressione che dal faceto è andata via via verso il serio, si chiude il cerchio con la grandeur del civet di lepre alla royale e col piccione al nero e salsa di tartufo nero pregiato: due piatti scuri, quasi impenetrabili, dove il colore è restituito nella sua più naturale essenza.

Sempre a proposito di tecnica, infine, impossibile tacere sull’esecuzione del soufflé alla granadilla, grappa, uva e anice: impeccabile.

La galleria fotografica:

Lascia un commento

La tua email non sarà pubblicata. I campi obbligatori sono contrassegnati *