Iyo

Iyo Milano

VALUTAZIONE

Cucina Classica

Cucina Moderna

16/20

16/20

PREGI
Servizio di alto livello.
Carta dei vini ampia, competente, appassionata.
DIFETTI
Menu troppo ampio e dispersivo.
Distanza dei tavoli non sempre adeguata alle ambizioni del locale.
Il livello dei nigiri/uramaki – ottimo – è comunque sotto rispetto alla qualità dei piatti del menù degustazione.

Paradigma di ristorante fusion italo-giapponese

Occorre riconoscere un grande merito a Milano. O più propriamente al popolo dei gourmet milanesi (stanziali o di passaggio poco importa). Sono loro che, più di vent’anni fa, hanno compreso per primi in Italia il valore gastronomico delle cucine etniche, riconoscendo che potessero rappresentare molto di più di una soluzione cheap come avveniva nel resto dello Stivale, dove imperava il diabolico all-you-can-eat, e che anzi potessero offrire un’esperienza gastronomica di alta qualità, con conto conseguente. Claudio Liu, che del ristorante Iyo di Milano è il creatore e il proprietario, di questo movimento non è stato l’apripista, ma colui che, progressivamente, ha saputo più di ogni altro spostare in alto il limite fino a oltrepassare i confini nazionali e a competere in una sorta di Champions League in cui giocano tutti i primatisti di questa disciplina, seppure con diverse inclinazioni: Umu a Londra, Koy Shunka a Barcellona, Sushi B a Parigi, Yamazato ad Amsterdam, Kabuki a Madrid, Yoshi a Montecarlo.

Ci perdoneranno i cultori del genere se ne dimentichiamo qualcuno. Il modello perseguito è stato fin dall’inizio quello del fine dining contemporaneo da grande città, incernierato su quattro cardini: atmosfera sofisticata, carta dei vini (in questo caso anche dei sake e dei tè) imponente ed equipaggiata di etichette esclusive, brigata di sala numerosa, preparata e con la giusta dose di formalità, cucina che abbini solidità, creatività e massima attenzione per l’aspetto estetico. Se per quanto riguarda gli ambienti, qualche centimetro in più tra un tavolo e l’altro non guasterebbe, servizio e cantina hanno raggiunto standard decisamente elevati grazie alla guida esperta di Danilo Tacconi, direttore di sala e sommelier che al savoire faire da grande maison unisce una competenza enologica fuori dal comune.

Solo estetica? No, anche molta sostanza

Per quanto riguarda la cucina, la squadra è diretta da una terna di professionisti: lo chef de cuisine Giampiero Brotzu, il sushi chef Katsumi Soga e il pastry chef Luca de Santi. Quando si affronta il menu bisogna armarsi di pazienza: le pagine dedicate alle vivande sono 15 e scegliere non è semplice. Andiamo con ordine: i vari sushi, sashimi e chirashi possono vantare una precisione esecutiva di prim’ordine tanto nella preparazione del riso quanto nei tagli del pesce. Si spazia dai nigiri classici e “speciali” ai gunkan e agli uramaki come, ad esempio, lo “yume”: tempura di gamberi e shiso, carpaccio di tonno marinato in salsa di soia con crema wasabi.

Riconoscibile, per i palati più scafati, l’impiego di materie prime impeccabili (anche in questo caso, essere a Milano aiuta non poco), fattore che appare ancora più evidente pescando nella sezione creativa del menu. L’accuratezza estetica che appare nelle presentazioni trova solidi contrafforti nella grazia delle texture e in una girandola di sapori netti, riconoscibili e bilanciati con precisione millimetrica. Ne citiamo tre: hotate usuzukuri (carpaccio di capesante, vinaigrette allo yuzu, umeboshi, caviale Royal Oscietra e polvere di shiso rosso disidratato), ika somen (crudo di calamaro sfrangiato, caviale Royal Oscietra, verdure croccanti, uovo di quaglia e salsa soba dashi) e la tartare di wagyu, cracker di amaranto, estrazione di mandorla d’Avola, zucchina trombetta e katsuobushi di mela.

L’altra faccia della medaglia è la cucina cucinata, che ai classici tempura, gyoza, zuppa di miso affianca una proposta creativa, ancora una volta centrata sulla contaminazione. Complesso, elaborato ma decisamente goloso il piccione in tre cotture: il petto in padella con il suo fondo e senape e accostato a insalata belga marinata in osmosi in salsa di soia e miele con granella di arachide; la coscia in crosta di riso soffiato; tsukune (polpetta) di stracotto di ala, patata e shiso. Il “Monte Fuji“, rivisitazione del classico Montblanc composta da mousse leggera di panna con il tocco fusion del cuore di sudachi, cremoso al marron glacé, frolla di castagne, cioccolato fondente è la dimostrazione che la pasticceria è in perfetta assonanza con la cucina tanto nelle idee quanto nella qualità esecutiva.

La Galleria Fotografica:

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Davide Scapin Giordani

Classe 1970, figlio d'arte, da sempre legato all'ambiente dell'hôtellerie, incontra la cucina d'autore in tenera età scortando il padre, gastronomo appassionato, in giro per la Francia. All'amore per le grandi tavole, a metà degli anni 90 unisce quello per i grandi vini: diventa Sommelier Professionista AIS e intraprende una marcia serrata che lo porterà ad esplorare le principali zone vinicole italiane e d'oltralpe e a conoscerne i più celebrati vigneron. Collabora con l'Espresso nella duplice veste di autore della Guida dei Ristoranti e di quella dei Vini.

2 Comments

  1. Gianni Rigoni ha detto:

    La domanda è: si può dare 17/20al Portico e 16/20 a Iyo?

  2. Passione Gourmet ha detto:

    […] che ha innalzato a livelli ormai altissimi l’asticella dei ristoranti etnici in Italia con Iyo e OmakaseIl termine omakase significa “lasciare fare al cuoco”, ed è ciò che in Giappone, […]

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VALUTAZIONE

Cucina Classica

Cucina Moderna

16/20

16/20

PREGI
Servizio di alto livello.
Carta dei vini ampia, competente, appassionata.
DIFETTI
Menu troppo ampio e dispersivo.
Distanza dei tavoli non sempre adeguata alle ambizioni del locale.
Il livello dei nigiri/uramaki – ottimo – è comunque sotto rispetto alla qualità dei piatti del menù degustazione.

INFORMAZIONI

PREZZI

Menu degustazione a 125€
Alla carta 90€

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