Passione Gourmet Andreina - Passione Gourmet

Andreina

Ristorante
via Buffolareccia 14, 60025, Loreto (AN)
Chef Errico Recanati
Recensito da Gianluca Montinaro

Valutazione

16.5/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • L’estrema personalità della cucina.
  • La cura nel servizio.
  • Il comodo parcheggio interno.
  • Il bel dehors estivo.

Difetti

  • La non vasta carta dei vini.
Visitato il 01-2022

Le fiamme degli Dei. Il fuoco degli uomini

Le fiamme che divorano il Walhalla, in chiusura della Tetralogia wagneriana, non segnano solo la fine della saga dell’anello, che torna nelle oscure profondità del Reno, ma pure il termine del tempo degli dei e degli eroi. Da quel crepuscolo prende vita il tempo degli uomini: la stirpe animale che è prometeicamente chiamati a popolare il mondo terreno – il nostro mondo spazio-temporale – governandone, nei limiti del possibile, le distruttive forze primordiali. La più pericolosa di tutte – il fuoco – è anche quella che, però, producendo energia, permette la vita dell’uomo.

Il fuoco, poi, riscalda e protegge. Ed è da quando lo si è addomesticato (non a caso gli storici parlano di “domesticazione del fuoco”), ormai nella notte dei tempi, che l’istinto ferino ha lasciato posto all’umanità: quando le scimmie primitive hanno preso consapevolezza che arrostendo sulla fiamma il cibo quest’ultimo diveniva più gradevole, le strade dell’evoluzione hanno imboccato differenti tracciati. Tracciati che, nei millenni, sono divenuti mulattiere, e quindi sentieri, e poi strade vieppiù larghe, sviluppando un immenso patrimonio di sensazioni gusto-olfattive non più solo legate alla mera sfera del nutrimento ma all’indefinibile e sfrangiato universo del piacere. Sì, perché il fuoco, caramellando gli zuccheri e favorendo la reazione di Maillard delle proteine, produce quell’imbrunimento della materia che il nostro palato percepisce come “buono”. Ma non solo. Le fiamme, bruciando ossigeno, creano “fumo”: un gas che ha una potente azione di conservazione sugli alimenti, nonché di insaporimento, grazie al processo dell’affumicatura.

Corre l’anno 1959 quando, a Loreto, all’ombra della Santa Casa, Andreina Isidori apre un’insegna che porta il suo nome di battesimo. Era già nota per le sue capacità di cuoca: i cacciatori della zona erano soliti portarle la selvaggina, che lei poi preparava sullo spiedo del camino della sua piccola osteria con mescita. Il successo presto arride ad Andreina e a suo marito Bruno: il locale inizia a farsi conoscere grazie soprattutto a quel camino, fulcro di casa e metafora di buona cucina. Il tempo passa e Andreina (che è venuta a mancare nel 2018, all’età di 94 anni) lascia spazio prima alla figlia Ave (che ancora adesso, con fine eleganza, accoglie gli ospiti e governa la sala) e quindi all’amatissimo nipote Errico Recanati. A lui trasmette i segreti di quel camino, del suo spiedo e delle braci. Custode del fuoco di famiglia Errico – quasi vestendo i panni di Lare protettore – inizia a riflettere sui significati di quella cucina che la nonna proponeva con quella gioiosa spontaneità che contraddistingueva gli anni del boom economico. Ed eccolo, Errico, lungo un percorso d’avvicinamento durato anni, e meditato come pochi, a cimentarsi con una sicurezza sempre maggiore con la forza del fuoco, che tempra, e con i fumi delle braci, che danno sapore. A ponderare il senso ancestrale di gesti millenari (e forse più) che hanno forgiato l’olfatto e il gusto come oggi li conosciamo.

Così che, oggi, da Andreina, la cucina è un atto epistemologico, uno studio sulla metodologia e sui limiti di ciò che è alla base della cucina: l’esposizione di un alimento al fuoco. E come esplicita dichiarazione d’intenti, come richiesta di sottoscrizione di un reciproco patto, all’ospite che varca la soglia del ristorante si para innanzi il camino della fondatrice. «Tutte le cose sono uno scambio del fuoco», proclama Eraclito l’oscuro. Errico ha appreso la lezione: perché quasi tutti i suoi piatti recano il marchio del camino. Come una firma, sono la personalissima espressione di una ricerca che si muove senza confini all’insegna di una fiamma – di una passione – inestinguibile. Carne e pesce, frattaglie e cacciagione, si inseguono in piatti che – obiettivamente – prendono forma in un orizzonte ideale ove l’Appennino incontra l’Adriatico, sussumendosi sul piano del camino: che è innanzi tutto lo spazio immateriale della saga di una famiglia. Di una nonna e di un nipote. Di insegnamenti da trasmettere. E di riflessioni da compiere. Non è più il tempo degli Dei. Spetta all’uomo Errico-Prometeo disegnare un percorso che concili la storia prima della storia e il tempo del presente, il gesto ancestrale alla conoscenza tecnica.

Il domatore del fuoco

Per l’ospite che si accomoda a tavola il racconto di Errico può partire – per esempio – da golose polpette di cacciagione (che paion, per il colore e la favolosa croccantezza della panatura, olive all’ascolana) accompagnate da “carbone” e crema di peperoni: omaggio sintetico a tutte le tradizioni dell’insegna. E quindi allargarsi al “benvenuto della brace”: crostolo (piadina marchigiana tipica della zona appenninica) cotto sul camino con lardo di maiale nero, erbe di campo e pepe.

I primi colpi di teatro giungono con quegli antipasti che legano il mare alla terra: l’ostrica passa sulla brace, in un piatto dalla lunghissima persistenza aromatica, dolcemente acidula, che la vede protagonista insieme a lamponi, senape e aceto di lamponi. E quindi dal gambero crudo con la sua testa fritta, pomodoro arrosto, acqua di conditella e una sottilissima fetta di filetto di scottona Podolica, appena “bruciata” al tavolo, in burro chiarificato, “al ricordo di brace”, in un gioco di consistenze e centripete tendenze allungate e amalgamate dalla persistenza aromatica. E, infine, dal tanto friabile quanto buono tacos di farina di nocciole farcito di cervo cotto al fieno (secondo ancestrale tecnica giapponese), miso ed erbe dell’orto, creazione ove trionfa un balsamico gusto di clorofilla (altra nuance tanto amata da Errico) unitamente a finissime note di tostatura.

Piatto firma rimane l’imperdibile – e ormai giustamente inamovibile dalla carta – spaghetti “cacio e 7 pepi“. Qui è la pasta a finire sul camino, sotto una cloche: dopo la cottura e prima di essere saltati in padella nel ricco intingolo speziato, gli spaghetti subiscono un rapido processo di affumicatura sulle braci. Il risultato – “frutto di anni di studio“, sottolinea con giusto orgoglio Errico – è memorabile e meriterebbe un posto nel pantheon delle ricette più buone e più personali della scena di questi anni della cucina italiana.

Il pasto si sta avviando a conclusione. La brace del camino è quasi spenta. Inizia ad accumularsi, lungo i bordi della graticola e dello spiedo, la cenere. Ed è così che è proprio l’idea della cenere a siglare l’ulteriore connubio fra pesce e carne: lo straordinario piccione e anguilla con patata sfogliata al lardo e fiori di sambuco marinati nell’aceto. A colpire in bocca sono le consistenze, i gusti, i profumi e ancora la lunga persistenza vivificata dal tocco acetico.

I golosi avranno in fine una bella sorpresa: la teoria dei dolci (buonissima la tarte tatin!), dei pre-, dei post- e dei post-post- dessert è quanto mai ampia, e quasi costituisce un’enclave a sé stante. Non rimane che prendere commiato: il passaggio davanti al camino ricorda ancora dove tutto ebbe inizio. Lì il fuoco non è spento, non si spegne mai: cova sotto i tizzoni, pronto con i suoi guizzi alla vampa. In attesa di Errico, il suo prometeico domatore.

La Galleria Fotografica:

Lascia un commento

La tua email non sarà pubblicata. I campi obbligatori sono contrassegnati *