Valutazione
Pregi
- Una delle grandi tavole italiane.
- Particolare attenzione ai vini locali.
- Perfetta coesione tra sala e cucina.
Difetti
- Mancano le camere per chi arriva da lontano!
L’impronta che da più di 30 anni illumina il panorama culinario italiano
Difficile immaginare realtà lungimiranti come La Peca. Da oltre 30 anni, l’apertura risale al 1987, il ristorante condotto dai fratelli Portinari – Nicola in cucina, Pierluigi in sala – è un faro luminoso e costante nel panorama gastronomico italiano e internazionale, e nella nostra visita abbiamo avuto conferma di quanto l’impronta (la peca, appunto) dei Portinari sia di livello elevatissimo.
Nicola propone un menù che, di portata in portata, evidenzia una maestria non meno che impressionante. Il percorso si presenta privo di indecisioni, rappresentando un modello da seguire in termini di competenza tecnica al servizio del commensale. Pierluigi, oltre a gestire con sapienza il reparto dolci, completa l’esperienza conducendo la sala con eleganza e discrezione, e garantendo di conseguenza un calore e un’accoglienza da tavola familiare. Perché quando si entra a La Peca si viene accolti e coccolati come si fosse in famiglia.
Ci si potrebbe chiedere quale sia il segreto del successo trentennale del locale. La risposta potrebbe risiedere in quanto appena scritto, ma non renderebbe giusto tributo a una tavola dalla profondità di pensiero davvero elevata.
Perché ogni piatto del nostro percorso ha dissimulato una complessità esecutiva sbalorditiva, la quale, travestita da immediatezza gustativa atta a giungere anche al palato meno allenato, ha nascosto un pensiero più articolato, che solo i grandi sanno gestire con tanta naturalezza.
Prendiamo lumache dormienti alla bourguignonne vegetale e broccolo fiolaro: piatto connaturato dal contrasto tra rotondità delle lumache e acidità della riduzione di melograno in accompagnamento, seguito dalla morbidezza delle carni e dalla croccantezza della foglia di broccolo. Già questo poteva bastare, ma vi si è unito un elemento in più: la parte bianca del radicchio in granella, servita previa congelazione tramite azoto, a fornire una profonda nota amaricante grazie allo shock termico col resto degli ingredienti. Risultato: una portata dalla carica gustativa sottile, intrigante e dalla lunghezza sorprendente.
Se il gioco sulle temperature ha acuito le potenzialità degli ingredienti – meritori di menzione anche i bigoli integrali con acciughe, alici marinate e gelato di cipolle rosse – non meno importante ne è risultato l’aspetto estetico.
“La terra in inverno” ha infatti proposto i colori dell’inverno, prima dei sapori. Ne sottolineiamo l’importanza non certo per facili suggestioni, ma al netto del contesto: la sala dà sul paesaggio dei colli Berici, in questo periodo avvolto da sottili brume invernali. Rivolgendo lo sguardo al panorama, ogni boccone ha acquisito un senso diverso e più completo del territorio che la cucina stava omaggiando. Il tutto, è bene ribadirlo, senza dimenticare una riconoscibilità accessibile a ogni palato, ebbra di eleganza e intelligenza ma lontana da snobismi di sorta.
Pasta (Casarecce Fracasso) e fagioli di Lamon ne è stato un esempio fulgido: pasta integrale per fornire ruvidezza a ogni boccone, col fagiolo esaltato in tre versioni: cremosa, per garantire rotondità; solida, per garantire consistenza; croccante, per garantire gioco di contrasti. A questo, si è aggiunta la nota speziata dell’origano on top a fornire lunghezza. Un piatto accessibile a ogni palato, appunto, ma strutturato per rilanciare verso un’intelligenza compositiva tutt’altro che scontata.
In chiusura, giusto merito va riconosciuto alla giovane brigata, precisa e puntuale nell’accompagnare la degustazione, a completamento di un quadro già di per sé dalle tinte luminose.
La Peca si conferma dunque una delle grandi tavole italiane. E siamo certi la sua impronta continuerà giustamente a lasciare il segno sui palati dei suoi commensali.