Passione Gourmet San Marco - Passione Gourmet

San Marco

Ristorante
via Alba 136, Canelli (AT)
Chef Mariuccia Roggero
Recensito da Erika Mantovan

Valutazione

15/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • I sapori della tradizione piemontese.
  • Il calore dell'accoglienza.
  • La buona carta dei vini a prezzi accessibili.

Difetti

  • I piatti moderni sono inferiori ai tradizionali per qualità ed eleganza.
Visitato il 01-2021

Dall’osteria alle stelle (Michelin)

Quanto tempo ci vuole per comprendere una cucina? Quante volte bisogna tornare in un ristorante, prima di inserirlo tra i “favoriti”? Beh, quando i piatti racchiudono la storia e i gusti delle migliori materie prime, selezionate da amici, prima ancora che da fornitori, si entra dentro una stanza annebbiata da un incenso che crea due effetti: riportarti indietro nel tempo – accade a chi i gusti tipici, quelli veri, li conosce – o inebriarti, sino a spingerti a viverne il “momento zero”, quello della scoperta. In entrambi i casi si deve aspettare una pacca sulla spalla di Piercarlo Ferrero, patron del ristorante San Marco e noto trifulau piemontese, prima di esser riportati al mondo, ovvero in sala.

Il San Marco di Canelli, culla del vino Moscato, nel 1969 è osteria, diventerà ristorante dopo l’incontro tra Piercarlo, appena ventiduenne, e la diciottenne Mariuccia Roggero. Che si appassiona alla cucina, la studierà, sviluppando i gusti delle materie prime piemontesi che scoprirà giorno dopo giorno. Così facendo inventa nuove ricette e gusti che ammalieranno anche Gualtiero Marchesi di cui ne ricorda ancora oggi insegnamenti e consigli. 

Nel 1989 arriva l’ottenimento della prima Stella Michelin, un riconoscimento che accende i riflettori sulla coppia che diventa così una tappa indiscussa per i turisti stranieri, e non, che da lontano sognano la battuta, i cardi di Nizza, la fonduta, i plin, il bollito, la bagna cauda. Piatti, tutti, che nella stagione autunno – inverno sono innevati da una tempesta di tartufo.

Divisionismo (storico) gustativo

Per intenderci: trent’anni fa il cannellone ripieno di baccalà o il cardo proposto come tartare assieme all’uovo poché erano “innovazione”.

Michelin assegnava l’ambito riconoscimento valutando parametri che, nel tempo, sono mutati. Forse. Fatto sta che, arrivati a quella cucina poi definita  “contemporanea” è subentrata (anche) la ricerca, sia in termini di cotture che di materie prime. Il San Marco non si è mai allontanato dalle sue origini – è rimasto un ristorante classico – continuando a proporre i piatti che lo hanno reso celebre per trent’anni, quelli consecutivi di stella Michelin, affiancando a poco a poco nuove proposte che comunque non lo hanno mai reso catalogabile come “ristorante con cucina moderna”. La spaccatura in termini di percezione è piuttosto netta ma, alla base, ci deve comunque essere la qualità, in termini di sapori e cotture, al netto della creatività. 

Ordunque il San Marco è un ristorante che è riuscito a creare una propria e solida identità, e che non lascia dubbi circa la qualità. È rovente la passione che coinvolge tutti, dagli addetti in sala alla cucina, quando si presentano i piatti simbolici che definiamo come “per sempre in carta” ossia gli agnolotti “plin” al tovagliolo, cremosi e gustosi in cui la sottile velina di pasta raccoglie la carne magnificamente accompagnata dal brodo; ma anche i mitici tajarin ai 40 tuorli che si palesano come fili lunghissimi, disomogenei tra loro e per questo ancora più divertenti, da scoprire in un gusto che appare come una nuvola, il cui sapore rimane come sospeso. Indimenticabile: ecco il valore della ricetta.

La stessa sensazione arriva con il bollito misto di bue grasso accompagnato da verdure e bagnetti della tradizione in cui la carne non solo è come un mantello di sapori, ma è anche un esempio per chi consuma con una sola mano: la carne si sfalda, come il burro. E cosa dire dell’assaggio fatto di finanziera nobile astigiana? Delicata, pura, e fin leggera grazie a quella goccia di Marsala aggiunta, che regala una sorta di accelerazione acetica.  La conferma della luce tradizionale arriva con la bagna cauda piemontese, saporita e un poco troppo oleosa, ma certo emozionante e ossequiosa nei confronti della tradizione.

Ciò detto, lo scorso anno il ristorante ha perso la stella. Dal canto nostro, ci limitiamo a qualche piccola esortazione: puntare più sui piatti tipici, impreziosire la carta dei vini e inserire, pacatamente e senza troppe misture, nuovi piatti, così che, dopo il gelo causato dalla pandemia, sul ristorante possa tornare a splendere il sole e, chissà, anche la luce di una nuova stella.

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