Valutazione
Pregi
- Una delle cucine più evocative d’Italia.
- La perfezione e la personalità del servizio.
- Le opere d'arte.
Difetti
- L’estrema difficoltà nel prenotare.
“I’m not there”
Signori, in piedi. Signori, un applauso. E non per la cucina. Ché all’Osteria Francescana si mangi bene, anzi molto bene, è noto. Ed è pleonastico ribadirlo. Ma un applauso al fatto che nel ristorante di Massimo Bottura nessuno ti costringe ad ascoltare triti discorsi su orti biologici, rispetto della stagionalità e approccio sostenibile. Beninteso, non che siano scelte più che lodevoli, se vere, ma diventano assai fastidiose quando a ‘narrarle’, a un pubblico di babbei adoranti, è il giovane cuoco che magari ha un ristorante in pieno centro città, cucina usando solo prodotti acquistati dai più blasonati distributori e selezionatori (già puliti, sporzionati e pronti all’uso, of course) e la cosa più green che fa in vita sua è quella di chiudere l’acqua mentre si spazzola per bene i denti. Ebbene, all’Osteria Francescana non è così. All’Osteria Francescana l’attenzione non è alle ‘parole’, ma è tutta su ciò che c’è nel piatto: perché è quello il messaggio che deve ‘passare’. Ed è lì, in ciò che si ha davanti, che vanno trovati ragione e spiegazione di tutto il resto: dal senso della cucina all’importanza della bellezza come via privilegiata per diffondere cultura e civiltà (l’Osteria Francescana è anche uno straordinario museo d’arte contemporanea: tante e di valore sono le opere esposte) sino all’impegno sociale che Massimo Bottura e Lara Gilmore profondono nel progetto Food for Soul.
Fatta questa premessa potrebbe quindi risultare ostico il titolo, che suona come un avvertimento, del nuovo menù 2023 “I’m not there“: “Io non sono qui”. E come faccio a dare un senso alla tua cucina e al tuo impegno se ‘tu non ci sei’? Eppure è proprio in questo esserci-ma-non-esserci che si annida la nuova sfida lanciata dal cuoco di Modena. Quel ‘non-esserci’ non è propriamente una assenza, un vuoto. Ma un esserci in forma differente. “I’m not there” è – difatti – il titolo di una canzone di Bob Dylan e di un film ‘biografico’ sull’artista del Minnesota: ‘non ci sono’ perché, nel corso del tempo, muto e cambio, assumendo forme diverse. Tu hai un’idea di me, e io ti mostro come quell’idea possa essere dissimile da come sono io. Ecco quindi che, scorrendo il nuovo percorso di degustazione – scandito in sedici tempi –, si incontrano tutti i signature dishes dell’Osteria Francescana: da Ricordo di un panino alla Mortadella alla Compressione di pasta e fagioli, dalla Caesar saladLa caesar salad è un'insalata sstatunitense a base di lattuga romana, crostini di pane soffritti e Parmigiano Reggiano condita con una salsa a base di succo di limone, olio di oliva, uova, aglio e salsa Worcestershire. Il nome deriva dallo chef italiano Cesare Cardini (emigrato giovane in America), il quale non avendo a disposizione altri ingredienti, inventò questa ricetta per... Leggi in Emilia ai Tortellini che camminano sul brodo, ma nessuno, proprio nessuno, ha alcunché a che spartire con le ricette storiche. Ognuno è stato riformulato dalla brigata, ora capitanata dai sous chef Matteo Zonarelli, bolognese, e Allen Huynh, canadese di origini vietnamite: ‘smontato’, ‘svuotato’ e ‘ricostruito’ con ingredienti e tecniche differenti. Un’operazione ad alto tasso di pericolo che, danzando sul filo del rasoio, rischiava di cadere da un lato nella ‘dissacrazione’ e, dall’altro, nella incomprensibilità. «Ma – come puntualizza, saggio, Beppe Palmieri – solo Bottura poteva percorrere una tale strada». Solo Bottura poteva rimettere mano ai suoi piatti storici, quelli che lo hanno reso il più celebrato chef del mondo. Solo Bottura poteva affidarli ai suoi ragazzi, col compito di interpretarli in modo del tutto diverso. E solo Bottura – infine – poteva farne un percorso: un menù che raccontasse i ‘suoi’ piatti, attraverso piatti che non sono i ‘suoi’.
Tradire l’idea
Non sfuggirà, all’accorto lettore, come l’operazione del cuoco modenese, abbia compiuto un passo in avanti rispetto al Tradimento delle immagini (Questa non è una pipa) di René Magritte (1929). Perché lì, in effetti, una pipa c’è. Seppur in rappresentazione (non è una pipa, è la rappresentazione di una pipa). Qui le Cinque stagionature del Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature (piatto del 1993) non ci sono e basta: né reali, né rappresentate. Sono solo annunciate. Puro nominalismo, quindi? «Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus» («La rosa originaria esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi») potrebbe ricordare Umberto Eco. Sì, ma solo in piccola parte perché, al di là della persistenza del ‘nome’, le nuove Cinque stagionature del Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature traggono dalle pristinae l’‘idea’, ciò che dava senso e spiegazione del piatto originario. Cos’è il Parmigiano Reggiano, ci si è ora chiesti? Non è altro che latte. Ecco quindi che le «stagionature», attraversando in un attimo trent’anni, diventano cinque consistenze di latte (gelato di siero di latte, chips croccante al latte, dulce de leche, mousse di latte, caramello di latte e zucchero) accompagnate da una «salsa verde» (crema di clorofilla) e da uno spray all’estrazione di erba tagliata, a ricordarci dove vivono le mucche (almeno le più fortunate…) e cosa mangiano. Mentre – esempio ulteriore – la Patata che vuole diventare un tartufo, che nel 2008 era un soufflé di patata con spuma di crema ingleseCrema vellutata a base di latte, tuorli, zucchero e vaniglia. Variante della crema pasticcera, da cui differisce per l'assenza di farina, la crema inglese si utilizza principalmente calda in accompagnamento a dolci a temperatura ambiente, oppure nella preparazione di charlotte, bavaresi e nella creme brûlée, nella quale il latte viene sostituito dalla panna liquida.... Leggi e tartufo bianco, ora diventa una aerea e sofficissima pagnotta, fatta con farina di patate e farcita con crema di patate, nocciole e tartufo, secondo un’idea di medesima impalpabilità. O ancora i Tortellini che camminano sul brodo che, nel 2000, si presentavano come minuscoli anoliniFormato di pasta all'uovo ripieno originario dell'Emilia occidentale, in particolare dei territori dell'antico ducato di Parma (anolén) e Piacenza (anvëin o anvén). Caratterizzati generalmente da una forma circolare e dal bordo seghettato, variano invece per il ripieno, che può prevedere la presenza di stracotto di carne (generalmente di manzo), il suo sugo o nessuno dei due elementi in aggiunta a Grana Padano o... Leggi ‘appoggiati’ su una gelatina di brodo di capponePollo maschio castrato per far sì che raggiunga maggior peso, rendendo la carne più tenera e grassa. Il cappone è un esemplare idoneo per brodi e bolliti tradizionali.... Leggi. E che ora si trasformano in dumpling cotti al vapore, farciti con Parmigiano, Mortadella e maiale, kimchill Kimchi è una pietanza tipica della cucina coreana a base di cavolo cinese o cavolo verza. Esistono diverse varianti di questa pietanza in base alla zone della Corea cui si fa riferimento, ma la ricetta che proponiamo in questa occasione è quella maggiormente conosciuta. Si parte dalla fermentazione del cavolo in salamoia.... Leggi, salsa di alga nori, e brodo di cappone a rifinire il piatto. O, di più, Pane è Oro che, dalla rilettura del classico trinomio ‘di recupero’ pane-latte-zucchero (del 2015), diventa ora una golosa composizione di panettone (sì, l’idea è qui di recuperare quei tristanzuoli e secchi panettoni che avanzano dalle feste di Natale), cotechino, lenticchie, zabaione, polvere d’oro. Come si sarà di certo capito il concetto che sottintende l’ “I’m not there” è quello di ‘tradire l’idea’, nel senso di trasmetterla modificandola. Si rompono le barriere, quindi. Temporali, mettendo in discussione ciò che nella cucina di Bottura erano le icone del classico assodato. Geografiche, spingendo ancor di più su una ‘cucina totale’ nella quale convivono la più localistica tradizione modenese e la più lontana suggestione orientale. C’è comunque un duplice aspetto da sottolineare, ed è forse questo il tratto ‘di forma’ che accomuna tutti questi piatti, così differenti fra loro. Sono tutte pietanze ad altissimo tasso tecnico, di estrema difficoltà esecutiva e che richiedono anche, da parte dell’ospite, una certa concentrazione per essere davvero comprese e apprezzate. E sono tutte pietanze ‘in concentrazione’: non si è percorsa – come fanno in tanti – la strada della sottrazione degli ingredienti, ma piuttosto si è cercato di cavarne fuori l’essenza, in un corpo-a-corpo di grande fascino. Esemplificativo, in questo senso, è Riso Grigio e Nero: un piatto dove il riso diventa una crema, mentre tutto il resto (ostrica, seppia, seppia al nero, polvere di buccia di limone bruciato, caviale) gioca sulle spigolosità dei toni iodati, quasi a tirar fuori l’anima del mare.
IL PIATTO MIGLIORE: Riso Grigio e Nero.
Super recensione…