Passione Gourmet Colline Ciociare Chef Salvatore Tassa Acuto - di Passione Gourmet

Colline Ciociare

Ristorante
via Prenestina 27, Acuto (FR)
Chef Salvatore Tassa
Recensito da Giampiero Prozzo

Valutazione

17/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • Una cucina sempre sorprendente, a tratti geniale e concettualmente molto moderna.

Difetti

  • La carta dei vini davvero scarna.
  • L’impossibilità di mangiare alla carta.
Visitato il 07-2017

La curiosità come fondamento di vita, la cucina come modo di essere: Salvatore Tassa e le sue sette vite

Innalzato sui colli ciociari ad Acuto, a un’ora a sud-est dal Colosseo e 700 metri dal livello del mare, il ristorante Colline Ciociare è un luogo che celebra l’esperienza gastronomica attraverso un’avventura intellettuale ed emotiva di rara intensità. Salvatore Tassa, chef e patron, è uomo navigato, che con suoi sessant’anni anagrafici continua a governare con furore ed impeto la sua cucina. Fine, ancestrale, cerebrale, dominata tanto dall’istinto quanto dalla ragione.

I temi, certo, sono quelli spesi in una vita: il territorio inteso come humus, la sua sostenibilità la complessità degli elementi dal quale estrarre, con cura e devozione, l’essenziale. Elementi compositi e mai contraddittori, che in ogni singolo piatto non seguono regole ma puntualmente le tracciano, in un continuo divenire, isolare ed aggregare. Ecco allora la sua proposta in continua evoluzione, con ritorni e riproposizioni, che si avvicina alla perfezione grazie all’infinita reiterazione dei gesti e alla mente mai ferma. Sono stati, sono e saranno concentrazioni di sapori, cercate con mezzi inesplorati, ora focalizzate nella crioestrazione, tecnica ancora poco frequentata e che lui, con le sue sessanta primavere in valigia, è andato a cercarsi in Francia da Yannick Alleno.

Un altro punto di partenza. L’ennesimo.

Un nuovo viaggio quindi, parola forse abusata per la definizione di un menu, ma precisa per questo suo ‘Infinito’, evocativo sin dal titolo, sintesi ultima della filosofia della sua cucina tracciata lungo gli umori degli ultimi decenni: oggetti minimi in cui rintracciare memorie -come la cacio e pepe nella rotondità della piccola bomba o la tenacia del petalo di cipolla rossa laccato alle erbe- profumo su profumi, ma anche omaggi alla natura dei primordi, sia nell’uovo nel suo tornare selvatico, ricostruito con gelatine di alghe e rilanciato da tecniche antiche a cercare il futuro, come i fermenti delle radici e la marinatura del cetriolo. Crescendo amaro nel mandorlo in fiore, di intensità assoluta, con la liquirizia dentro e fuori i ravioli per il precipizio finale.

E tanto altro ancora, con un alternarsi di assoli e cori polifonici, a meglio tratteggiare tutta l’energia dello chef, i suoi filosofici equilibrismi, il suo raffinato palato. Si prenda la trota selvaggia del torrente che scorre un po’ di curve più su, a Vallepietra. Eccola, con mele a veli e in gelatina per accenno al vegetale, quei funghi pioppini per i sentori superficiali della terra e infine nello sprofondo della zolla con il cucchiaio nel sedano rapa estratto a freddo, implacabile. Semplici accordi di elementi naturali.

Infine c’è la grande partitura del panino, di complessità estrema, e appositamente descritto in carta con questo semplice lemma. L’intensità dell’ultima crioestrazione -questa volta di un consommé di verdure- per bagnare un ottimo bao di scuola orientale sacrificato allo stufato di manzo che lo riempie, alle animelle che lo sferzano, ai funghi al timo che lo profumano e ai fagioli che lo contornano.

La galleria fotografica:

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