Valutazione
Pregi
- L' inappuntabile esecuzione di ogni piatto.
- Un servizio davvero cordiale e professionale.
Difetti
- Qualche piatto più complicato che complesso.
- La coda infinita per tornare a casa di domenica pomeriggio.
La Torre del Saracino è l’esempio perfetto di come si possa mettere in piedi un meccanismo a orologeria conservando un calore e una spontaneità che sono il tratto più bello del nostro sud.
Dagli spazi, eleganti e funzionali, all’accoglienza, alla cucina, tutto parla di professionalità e arte dell’ospitalità, di quella ristorazione che ha saputo farsi moderna senza perdere neppure un briciolo di sincerità.
E’ difficile, per un gourmet, pensare a qualcosa di più gradevole di un posto sulla bella terrazza affacciata sulla spiaggia in una domenica di luglio non afosa, in attesa di farsi coccolare da una squadra rodata, da una cucina e una cantina suadenti, in grado di attingere dal meglio degli ingredienti e dei nettari campani e del mondo.
Questa volta c’era anche la curiosità di capire se il recente impegno nel nuovo ristorante caprese avesse avuto impatti sul locale “padre”. Sveliamo subito che il nuovo impegno pare essere stato perfettamente assorbito senza alcun contraccolpo (lo chef, anche se oramai navigato imprenditore, è come sempre regolarmente al timone a Vico).
Nel nostro consueto appuntamento estivo con Gennaro Esposito, abbiamo scelto uno dei percorsi consigliati, il menù Salvatore, virato però dallo chef stesso sul tutto pesce, eliminando la sola proposta di carne indicata in carta (abbiamo accettato volentieri il cambiamento, immaginandolo dettato dalla volontà di fare ancora meglio).
La scelta è davvero consigliabile perché si tratta di un menù che, pur restando solo marino, è di grande varietà e permette di saggiare una mano davvero molto solida, sicura di sé.
Molti i picchi nel nostro pranzo, come il merluzzo affumicato d’apertura di complessità ed eleganza senza pari (il migliore dei biglietti da visita che lascia pensare a un esito complessivo ancora superiore). La vetta assoluta, poi, è stata rappresentata dalle tagliatelle con broccoli, calamaretti e ricci di mare: una celebrazione della pasta e del mare, grande materia prima, cottura perfetta. E’ la quintessenza della cucina di Gennaro Esposito, un possibile punto di riferimento quando si parla di “pasta”, con un’immediatezza di gradimento che nulla ha a che vedere con la banalità.
C’è stato però anche un mezzo passo falso, la milanese di razza ripiena di foie grasIn francese significa letteralmente "fegato grasso" ed è definito dalla legge francese come "fegato di anatra o di oca fatta ingrassare tramite alimentazione forzata”. È uno dei prodotti più famosi e pregiati della cucina francese. Esistono tipologie di 'foie gras' non derivate da animali sottoposti ad alimentazione forzata. Spesso il fegato grasso è associato all'alta cucina francese e internazionale per... Leggi: benché eseguita in modo impeccabile, è la seconda porzione con un pesce impanato in un menù di sette portate e stuzzica troppo la corda “ghiotta”, assecondata dalle due emulsioni e dal fegato grasso. E’ un piatto molto pensato ma meno riuscito e, soprattutto, è collocato in maniera non felicissima nella degustazione.
Tra questi estremi, altri piatti tra il buono e l’ottimo, sempre di notevole fattura (i risotti qui sono sempre stati dei punti di forza), capaci di mettere in risalto una materia prima straordinaria (quel polpo…) selezionata con l’esperienza e il palato di uno chef maturo; piatti ancora più interessanti quando lo chef privilegia l’immediatezza del gusto alla complessità della concezione.
Dessert classici e piacevolmente regressivi, migliori di quanto li ricordassimo e pienamente coerenti con l’esperienza complessiva.
In definitiva, una cucina molto più tecnica di quanto possa sembrare (e, col sorriso sornione di Gennaro, forse VOGLIA sembrare) pienamente consapevole dei suoi mezzi, che pensiamo abbia l’unico limite di proporre talvolta preparazioni dall’ideazione un po’ troppo elaborata e forse distanti dalla sua anima più vera.
Al momento di scegliere cosa bere, troverete una carta dei vini che spazia ben oltre la pur ricca e interessante selezione campana e nazionale. Con qualche senso di colpa siamo usciti dal territorio per pescare uno dei nostri “pallini”, il Riesling Herzù di Ettore Germano, peraltro buonissimo e, come il resto della carta, lodevolmente prezzato.
In apertura: Tagliatelle con broccoli, calamaretti e ricci di mare: già detto, un piatto da applauso.
Amuse bouche di sgombro, zucchine e fiori di zucchina.
Merluzzo affumicato, purea di cavolfiori e salsa di lattuga e acciughe: equilibrio complesso, un piatto concepito con maestria e reso alla perfezione.
Triglia e gamberi rossi con agrodolce di arance e zafferano: materia prima da urlo ma l’agrodolce è troppo prevaricante.
Zuppetta di olive nocellara e mandorle, purea di finocchi e pesce bandiera “anni ‘80”: lo chef gioca con i suoi ricordi d’infanzia (il pesce impanato dalla madre per farlo mangiare al bambino) per creare un piatto di notevole golosità.
Risotto con cipolla ramata di Montoro, sauro bianco affumicato, alga croccante al profumo di limone e peperoncino: bel piatto virile, risotto inappuntabile.
Milanese di razza ripiena di foie gras: come scritto sopra non ci ha convinto. E noi il pesce lo amiamo, non occorre impanarcelo sempre per mandarlo giù…
Polpo affogato con scarola: semplicemente perfetto. Poco da migliorare quando si ha una materia del genere e si sa cucinare.
Il mitico babà: di eterea consistenza, se fosse un po’ più bagnato sarebbe perfetto.
Bella e molto buona la crema bruciata ai biscotti, lamponi freschi e agrumi: non originalissimo, è però un dessert fine all’occhio e al palato, eseguito con sapienza da bistellato transalpino.
La tavola e la vista.
Ma il menù "Proposta di Gennaro" ti faceva schifo?
Assolutamente no, ma era una giornata talmente calda che già questo menù era impegnativo (nonostante la leggerezza della maggior parte dei piatti).
Probabilmente la proposta di Gennaro ti avrebbe dato più elementi per una valutazione meno dipendente dal caso. Inoltre, come sai, si tratta di un ristorante che ha una clientela campana anche in parte non gourmet, per cui in qualche modo deve incontrare due tipi di domanda. Io quando andai l'ultima volta avevo dietro di me una giovane coppia dal marcato accento napoletano che chiedeva portate più abbondanti. Credo che la scelta di un degustazione a sorpresa dia alla cucina la possibilità di incontrare meglio la domanda del cliente che vuole divertirsi. A molti ristoranti si concede il beneficio di condizionali di questo tipo sulla valutazione, penso ad esempio alle Calandre o al Celler de Can Roca, dove scegliendo alla carta puoi mangiare tanto da 16 quanto da 18. In Campania avete la Taverna Estia a 17 e la Torre del Saracino a 16: sfido a provarli uno dopo l'altro e restare della stessa idea. Secondo me non c'è paragone, in quanto a originalità della concezione della cucina, freschezza, ma anche tecnica, creatività, ecc. Quanto al babà, secondo me bagnarlo di più metterebbe meno in risalto la straordinaria consistenza...
Si, direi che quel babà è strepitoso così com'è.