Valutazione
Pregi
- La location.
- La qualità della materia prima.
- Il servizio, di grande eleganza.
Difetti
- Alcune cariche gustative potrebbero osare di più.
La cucina elegante e misurata di Alberto Fol
Il Gritti Palace non ha bisogno di presentazioni. Rinomato hotel veneziano, già avente come ospiti personaggi del calibro di Ernest Hemingway e Charlie Chaplin, la struttura fa della nobiltà e del lusso strumenti di comunicazione universale per una clientela internazionale e locale interessata a scoprire la magia di un soggiorno con vista sul Canal Grande. È uno scenario suggestivo e ipnotico, all’interno del quale è situato Il Club del Doge, ristorante con a capo, da un anno a questa parte, Alberto Fol, classe 1974, Chef con le idee chiare su cosa proporre al commensale. Quella di Fol è una cucina assai pulita ed elegante, dai richiami classicheggianti, che onora la parte ittica proposta dalla laguna, ma non solo, per poi passare a portate leggermente più audaci che giocano su contrasti palatali tra componenti vegetali ed ematiche in un connubio che, nei casi più riusciti, regala delle sorprese non banali e assai interessanti.
Compiacere il commensale con criterio
Prendiamo per esempio Agnello, albicocche fermentate e carciofo, piatto formidabile nel quale la componente ematica della carne è stata ottimamente bilanciata dalla croccantezza del carciofo e dall’acidità delle albicocche. Un piatto davvero ben eseguito. Stessa cosa possiamo dirla di Spaghettone senatore Cappelli in salsa, crudo di Garronese veneta, erba cipollina e salsa ai capperi, portata dalla spiccata sapidità con rinforzo del contrasto della carne di Garronese atto a donare un buono shock al palato più sintetico. Audace e riuscito. Abbiamo invece trovato meno incisivo il celeberrimo Risotto alla Hemingway con scampi cotti e crudi, sentore agrumato e prezzemolo il quale, al netto di una preparazione senza errori, ha fornito una rotondità gustativa dalle note troppo dolci in linea con una necessità di accontentare una platea vasta e variegata, giocando sul richiamo del celebre scrittore, anziché puntare su una ricerca gustativa originale, come invece abbiamo piacevolmente esperito nelle portate sopracitate. Nulla di irreparabile o che abbia in qualche modo inficiato sul pasteggiamento, innegabilmente suggestivo sul Canal Grande, coadiuvato da un servizio impeccabile, ma che ci ha fatto ragionare su quanto questa cucina, pur considerate le inevitabili e legittime necessità di riscontro della platea, abbia le potenzialità per ritagliarsi un posto originale e di primordine nel panorama culinario italiano, al netto del blasone dell’hotel in cui la medesima è situata. Le prospettive sono ampie e il lavoro messo in campo fino a oggi è promettente. Avanti così.
IL PIATTO MIGLIORE: Agnello, albicocche fermentate e carciofo.