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Ca’ del Bosco e Annamaria Clementi R.S. 1980: il passato e il futuro

Vino
Recensito da Gianluca Montinaro

«Ca’ del Bosco 2.0»: l’inizio di una nuova storia

«Oggi, dopo cinquantadue vendemmie, inizia finalmente una ‘nuova’ Ca’ del Bosco; potremmo giustamente definirla una Ca’ del Bosco 2.0». È con queste parole, pronunciate con un misto di emozione e soddisfazione, che Maurizio Zanella rivela – alla stampa e agli ospiti giunti da tutto il mondo – ciò che è diventata la cantina che, per riconosciuta eccellenza, rappresenta al meglio la Franciacorta.

Un percorso lungo più di mezzo secolo quello di Ca’ del Bosco, principiato nel 1964, quando Annamaria Clementi Zanella acquista la Cà del Bosc, una piccola casa sulla collina che sovrasta Erbusco. Fu Antonio Gandossi, l’allora fattore di Ca’ del Bosco, a piantare i primi vigneti: ad alta densità, secondo una tecnica che in Italia ancora quasi nessuno applicava. Nel 1972, quando ancora il disciplinare della Doc (la Docg arriverà solo nel 2011) non consentiva l’utilizzo dello Chardonnay, esce il primo vino di Ca’ del Bosco, denominato Pinot di Franciacorta Bianco. Nel 1976 Ca’ del Bosco produce i suoi primi tre spumanti: Pinot di Franciacorta Brut, Pinot di Franciacorta Dosage Zero e Pinot di Franciacorta Rosé (bottiglie che usciranno sul mercato solo nel dicembre del 1978). Ma la svolta arriva nel 1979 quando un giovanissimo Maurizio Zanella, dopo essere stato in Francia, coinvolge nel progetto di famiglia André Dubois, allora chef de cave di Moët & Chandon. Fu grazie a lui che, quell’anno, vide la luce il primo Franciacorta Pinot Millesimato: un blend di Pinot Nero (circa 40%) e di «Pinot» (si scoprì solo in seguito che, in realtà, questa uva denominata «Pinot» proveniva da vigne composte, in modo casuale, da Pinot Bianco e Chardonnay, nelle percentuali rispettivamente di 21% e 39%).

Questa fu l’etichetta (che dieci anni più tardi, nel 1989, prese il nome di Annamaria Clementi) che decretò il successo di Ca’ del Bosco, lungo un percorso che ha visto la proprietà (nella cui compagine è nel frattempo entrata la famiglia Marzotto) impegnata, nel corso dei decenni, a portare a compimento il ‘sogno’ di Ca’ del Bosco: costituire un patrimonio viticolo che potesse garantire l’eccellenza qualitativa delle uve ed erigere una cantina che potesse soddisfare tutte le necessità legate alla loro lavorazione, nonché all’affinamento e allo stoccaggio dei vini. Ebbene, tutto quello che 52 vendemmie fa era stato solo vagamente immaginato, ora è realtà, dimostrando – nei fatti – quanto di vero ci sia nella shakespeariana affermazione che «siamo fatti della stessa sostanza dei sogni» (La tempesta, 1611). Le vigne hanno ora raggiunto un’estensione di circa 280 ettari (metà di proprietà, metà in affitto trentennale), distribuite su undici dei diciannove comuni della Franciacorta. Questa dislocazione, così ampia e variegata, «è stata intrapresa – sottolinea Stefano Capelli, enologo di Ca’ del Bosco – in modo ragionato, analizzando i suoli di ciascuna parcella, e a essi adattando viti, varietà e sesto d’impianto». E difatti fra le ultime acquisizioni di Ca’ del Bosco figurano le vigne Santa Teresa e La Torre, le più alte dell’intera denominazione: sei ettari in monopole sovrastanti il lago di Iseo, coltivati a Chardonnay e Pinot Nero, piantati su un suolo ricco di sedimenti, sul quale, in epoca glaciale, correva un fiume.

Il bisogno di avere un patrimonio viticolo così vasto si spiega alla luce di ciò che è definito e conosciuto (e pure riconosciuto, visto che è stato preso come esempio dagli altri produttori) come ‘metodo Ca’ del Bosco’: ovvero la ricerca maniacale dell’espressione del terroir.

«Oggi – sottolineano fieramente Capelli e Zanella – Ca’ del Bosco propone ‘distillati di suolo’. La vinificazione avviene in modo parcellare, con quasi 250 micro vinificazioni, attraverso le quali cerchiamo di valorizzare le differenze di mineralità e di enfatizzare gli aromi primari dell’uva. I vini di Ca’ del Bosco sono fragranti ed espressivi proprio perché il nostro lavoro è tutto teso all’estrazione dell’anima del succo: non ci interessano gli aromi fermentativi né ossidativi». Sicché solo i grappoli migliori vengono raccolti, lavati nelle «terme degli acini» per eliminare tutte le impurità, pressati sofficemente, e quindi lavorati e imbottigliati in assenza di ossigeno. Anche la cantina – come scritto in apertura – ha ora nuovi spazi, scenograficamente progettati e abbelliti da numerose opere d’arte. Dalla Sala a Cupola, costruita nel 1985 e ove riposano le bottiglie di Annamaria Clementi, si percorre la Galleria delle pupitre sino a imboccare il nuovo Tunnel Vintage Collection, ove affinano le omonime etichette.

A sinistra sorgono gli spazi della Vinoteca Storica di Ca’ del Bosco, ove dorme la collezione di tutti i vini prodotti dal 1972 a oggi. A destra si apre invece la Cupola dei Sensi.

Qui il visitatore può percepire, grazie a una esperienza immersiva ed emozionale, l’essenza del vino firmato Ca’ del Bosco, attraverso la vista, l’olfatto, l’udito e il tatto, preparando il quinto senso, il gusto, all’assaggio. Quindi si passa nella Prestige Immersion: una stanza che nella forma ricorda una bottiglia di Cuvée Prestige capovolta, le cui pareti sono tappezzate da quasi quarantamila bottiglie vuote e retroilluminate di Cuvée Prestige.

Scendendo, grazie a un ascensore, attraverso la ‘bottiglia’ si imbocca un tunnel inclinato in prospettiva accelerata tutto dedicato all’affinamento della Cuvée Prestige. Da qui si può gettare uno sguardo alle ampie sale di stoccaggio e quindi tornare verso le Barricaie ‘storiche’.

Annamaria Clementi R.S. 1980

«Ca’ del Bosco è ora giunta a una situazione ideale. Ora possiamo lavorare ben concentrati, e fare sempre meglio i nostri vini. Ed è per questo che festeggiamo questo cinquantaduesimo compleanno con il vino che più di ogni altro rappresenta la nostra storia». Con queste parole Maurizio Zanella ha svelato la ‘nuova’ etichetta di Ca’ del Bosco: Annamaria Clementi R.S. 1980. Come scritto poco sopra fu nel 1979 che Zanella e Dubois imbottigliarono, in modo artigianale e sperimentale, il primo Millesimato.

Ma fu a partire dal 1980 – annata marcata da un inverno poco rigido, da una primavera anticipata, da un maggio e un giugno assai freschi alla quale è poi seguita una estate calda, con piante che diedero una resa piccola ma di qualità eccellente (le uve vennero raccolte dal 7 al 12 settembre, nelle sette vigne che tutt’oggi circondano la cantina) – che si comprese come produrre un vino di grande livello. Tant’è che nel 1980 vennero elaborate due cuvée. La prima fu un unicum: un Blanc de Noirs – denominato Franciacorta Brut di Pinot Nero 1980 –, prodotto in poco più di settemila bottiglie, che, dopo aver fatto otto anni in posizione coricata e oltre nove in punta, venne commercializzato solo nel 1998. La seconda fu invece quella che diede origine al Franciacorta Pinot Millesimato 1980. Le uve, raccolte l’11 e 12 settembre, vennero pressate sofficemente, con una resa inferiore al 30 %, con un torchio verticale Marmonier che Dubois aveva fatto arrivare da Oltralpe. La vinificazione avvenne in pièce (botti in rovere da 205 litri) per cinque mesi: il vino venne poi imbottigliato nel febbraio del 1981, con un tappo fatto con una caseina molto legnosa che ha praticamente ‘sigillato’ il vino.

Una parte delle bottiglie ha seguito il percorso d’affinamento classico, che ha portato l’annata 1980 a uscire sul mercato nel 1986, mentre un’altra parte – circa seimila bottiglie – ha proseguito a ‘dormire’ in cantina: altri due anni coricata e poi i rimanenti trentaquattro sur pointe: per un totale di 42 anni! Durante questo arco di tempo «svariate volte – rivelano Zanella e Capelli – ci siamo posti la domanda se queste bottiglie avessero raggiunto il loro apice. Ora siamo concordi nel dire che narrano al meglio il nostro savoir-faire passato e presente: sono la migliore espressione di un Franciacorta Riserva in stile Ca’ del Bosco. Un vino di fatto ‘originale’ che non è solo il frutto della vite, ma soprattutto il frutto del tempo». Già, il tempo, quella quarta dimensione che la fisica ci ha ormai insegnato a non considerare un ‘assoluto’, piuttosto un relativo. Eppure assoluto è, nell’inesorabile discendere della sabbia da un’ampolla all’altra. E per fare un ‘grande vino’ bisogna di necessità dare il giusto spazio al tempo: «solo così – chiosa Capelli – si raggiungono la complessità, la pienezza e l’armonia olfattiva. Dubois mi ha appunto insegnato che bisogna conoscere il valore del tempo e dimenticare la fretta: I vini li dovrai scordare in cantina per poi riprenderli, studiarli, analizzarli, degustarli e misurarli negli anni. Solo con il trascorrere del tempo potrai valutare la loro attitudine alla conservazione, a migliorarsi nel tempo, fintanto che avranno sviluppato la loro originalità e unicità”».

La degustazione

Annamaria Clementi R.S. (ovvero: recente sboccatura) 1980 è davvero una unicità: sinora nessuno al mondo – se non nella cerchia dei vini ossidativi – si era mai spinto così indietro nel tempo. Eppure – ed è questo il fatto straordinario – questa bottiglia non ha alcun accenno di ossidazione, ma anzi è viva, quasi nevrile, con la sua acidità perfetta, e sin tagliente. Il merito è di quel tappo in caseina legnosa che ha serrato il vino in un sonno quarantennale, facendosi concreto ‘custode del tempo’. La sboccatura è avvenuta appena due mesi fa, in agosto, e per rispettare la ‘purezza’ del vino si è scelto di non aggiungere alcuna liqueur d’expedition.

Allo sguardo Annamaria Clementi R.S. si presenta nel bicchiere di un bel giallo paglierino, con alcuni riflessi dorati, e con una bollicina finissima e assai persistente. Il naso, all’inizio timido, presto appare in tutta la sua intensità e ampiezza. Spiazzano, per la loro eccellenza, gli aromi di fiore giallo, di scorze candite di arancia e chinotto, di marmellata di pere e mele cotogne. A contorno ecco apparire poi, sostenuti da una imponente verticalità, profumi erbacei (felce), accenni di marzapane e di nocciola tostata, di cera d’api e di legni aromatici. In bocca entra con soave eleganza, improntando le proprie parti morbide a una espressività di sottofondo, e lasciando in primo piano la freschezza e la sapidità. Quest’ultima è elegantissima, e accompagna il sorso in centro di bocca ove il vino ‘acquista di corpo’: qui l’intensità, la persistenza e la qualità sono spinte al massimo grado. Una sensazione di cremosità, leggera e sofisticata, sposta di nuovo l’attenzione sulle sensazioni pseudocaloriche che, in dialogo con le durezze, creano una trama armonica di invidiabile complessità, fatta di picchi e contrappunti. Una magnifica mineralità chiude il sorso con pulizia estrema, sviluppando una persistenza gusto-olfattiva che pare non finire mai.

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