Valutazione
Pregi
- Il ritmo tenuto - costante - da ogni piatto.
- Eccellenti i cocktail, anche quando scarsamente alcolici.
Difetti
- Solo uno dei dolci, il Panna e Fragole, leggermente decontestualizzato.
Il mago è sparito…
I’m not there era un vecchio adagio di Bob Dylan ripreso poi da Massimo Bottura e, benché indirettamente, anche qui dove ci troviamo oggi. Volendone spiegare l’efficacia basterà sapere che in semiotica si è soliti parlare di “presentificazione dell’assenza” per rimandare, per esempio, proprio all’illusionismo del mago che, appunto, sparendo di fronte agli spettatori acutizza la sua presenza tanto più essente, direbbe Heidegger, quanto più, appunto, assente. Ma, “filosofese” a parte, interessante è quello che s’innesca psicologicamente nello spettatore, ovvero un morboso meccanismo di disvelamento – del trucco come del corpo – simile a quanto suscita il vedo non vedo di certe irresistibili vesti femminili. A questo proposito non è un caso che un meccanismo analogo vesta anche i tavoli di Magorabin che, come tutto, qui, sembra riecheggiare del “mi si nota di più se vengo o se non vengo” di eccebombiana memoria perché precisamente questo è, del resto, quanto accade anche allo stesso Marcello Trentini dove un non-Marcello Trentini, al secolo Enzo Barillà, si manifesta eccome, finalmente plenipotenziario in cucina, mentre in sala e alla mescita saranno le aeree pozioni di Simona Beltrami a incantarvi, insieme alla coreografia di una sala giovanissima eppur ambiziosa, che sempre lei orchestra con discrezione e lungimiranza
Per questo, dunque, il Magorabin contemporaneo attutisce ogni attrito e lo fa mediante una moquette che sembra un parquet e, come detto, con l’escamotage del copri-tavolo elastico al posto della tovaglia che, oplà, fa sparire ogni rumore. Tutt’intorno, poi, la scenografia è solo apparentemente sobria e solo apparentemente nero-opaca, anzi luminosissima e vivida grazie a siderali tagli di luce caravaggesca che si spengono subito, e provvidenzialmente, nell’oro bizantino a impreziosire tutte le suppellettili. Che sia presagio, questa combinazione, della temperata opulenza che di lì a poco popolerà i piatti non è dato saperlo; quel che è certo, tuttavia, è la profondissima coerenza di un progetto che ovunque e comunque si esprime con integrità e, sopratutto, con identità.
…viva il mago
Considerato anche il carosello iniziale 17 sono, a contarli, gli assaggi del menù “#ventannidimago” che resterà in vigore per tutto il 2023. Un percorso auto-encomiastico, questo, dove benché ingredienti e tecniche occhieggino all’opulenza della cucina reale sabauda stupisce quasi fino a commuovere la leggerezza e, soprattutto, il ritmo, vivacissimo, tenuto da ogni portata e dal menù nel suo insieme, nella relazione della portata precedente con la successiva come se davvero fossimo al cospetto di una storia in cui ogni elemento è propedeutico al funzionamento dell’ingranaggio complessivo. Come ciò sia possibile resta un mistero o, pardon un illusionismo dal momento che Barillà e, con lui, Trentini, assente ma presentissimo deus ex machina dell’intero menù, tutto fanno fuorché lesinare in termini di ingredienti, texture, temperature e tecniche che, del resto, altro non sono se non la sintesi degli ultimi vent’anni del ristorante, di cui decidono di rappresentare tutta la complessità alla luce della stilizzazione del tratto che solo la maturità, appunto, può consentire.
Ecco allora come sia possibile arrivare a fine pasto leggeri e, anzi, alleggeriti nello spirito nonostante piatti come la peccaminosa ma eterea AnimellaGhiandola corrispondente al timo umano presente in agnelli e vitelli che scompare con l’avanzare degli anni. Rientra tra le frattaglie bianche, si presenta come una massa spugnosa e va consumata fresca, altrimenti fermenta. La parte commestibile, di forma allungata, si definisce noce e, previa cottura, va immersa in acqua, ricambiandola ogni volta che assume un colore rosato, al fine di... Leggi, burrata e acciuga o come l’esageratamente buono Plin alla Royale che riesce nell’intento di conciliare l’affondo nel gusto con una sensazione di impalpabile delicatezza. Che dire poi, ancora, della fondenza struggente, quasi a temperatura fisiologica, del Vitello e Tonno? Ma l’affondo nel piacere più puro perché forse più ancestrale arriva senz’altro coi primi: non solo col cerebrale ed equilibratissimo Spaghetto alle cipolle con l’affumicatura calibrata e il rimando alla cipollina in agrodolce a fissarsi nella memoria, ma anche nell’impeccabile Risotto al pomodoro con la sua dolcezza agreste e agrumata ad allungarne infinitamente la percezione. Si prosegue felici anche coi secondi e, in particolare, con l’Anatra alla Marengo a nobilitare la bellicosità di un piatto in cui interviene anche una sorta di civetIl civet è un metodo di cottura particolarmente adatto alla selvaggina, che consiste nel cuocere la carne a fuoco lento in una salsa a base di vino, sangue, verdure e spezie.... Leggi e, senz’altro, anche nella parte dolce, solo leggermente sotto tono la Panna e Fragole, mentre ispiratissimo ci è parso il Diplomatico al Gorgonzola e monumentale la Torta con lo zabaione al caffè, come saluto finale.
Il mago è sparito, dunque, eppur è vivo, e incanta più che mai!
IL PIATTO MIGLIORE: Risotto al pomodoro.
La Galleria Fotografica:
Dissento totalmente.