Magorabin

VALUTAZIONE

Cucina Classica

15/20

PREGI
La spiccata personalità dello chef
DIFETTI
La cottura pronunciata di quella ricciola

Il Maguràbìn probabilmente è una figura medievale, sorta di santone che peregrinava tra quelli che oggi sono le Langhe e i borghi limitrofi di Torino per fornire alla gente prestazioni (anche legali) di diverso tipo. Il termine era inoltre utilizzato per invocare “l’uomo nero” e spaventare i bambini inappetenti costringendoli a mangiare il pasto quotidiano.
Marcello Trentini, dieci anni or sono, decise di battezzare il suo piccolo ristorante all’ombra della Mole con un nome che rimanesse facilmente impresso in mente e, allo stesso tempo, che avesse uno stretto legame con la tradizione e il territorio.
Già, il territorio piemontese, vasto come pochi sì da non temere rivali in termini di prodotti alimentari e grandi vini.
Bene, se diciamo che a Marcello Trentini piace “sovvertire” il suo territorio, potete immaginare quanto sia interessante come persona. Ha una filosofia chiara, precisa e che aprirebbe dibattiti infiniti sul tema.
Dobbiamo ammetterlo, il suo ragionamento non fa una piega. Può non essere condiviso da tutti, ma è rispettabile come pochi.
E’ strettamente necessario servire frutta, verdura o altri prodotti fuori stagione? E perché no se, ad esempio, il sapore dell’asparago cileno nel pieno della stagionalità è comunque ottimo a febbraio anche in Italia? In effetti se pensiamo alla stagionalità delle banane e al fatto che solo in alcuni luoghi al mondo non sono fuori stagione, nessun ristorante europeo dovrebbe servirle.
È il “chilometro zero a livello globale” secondo il Trentini pensiero. La stagionalità non può prescindere dai confini geografici. Ricordiamo un suo piatto goliardico che era in carta qualche tempo fa, in pieno inverno, chiamato “Km 10.000”, con asparagi bianchi del Cile, piccione dalla Francia e ciliegie del Madagascar, quasi una presa in giro del chilometro zero.
Filosofia chiara, come lo stile di cucina del suo autore, personale, di stampo classico ma intriso di spunti e influenze estere, molti sono i rimandi ai cocineros spagnoli – specie per il quasi onnipresente connubio carne-pesce/crostacei – ma anche alla vicina Francia, fino a ritrovare alcune note orientali (vedi il bok-choy, sebbene coltivato in terra piemontese). Tutto questo però, partendo dalla base, ovvero dal territorio e dalla rivisitazione (ove possibile) dei classici della tradizione, come l’interpretazione del vitello tonnato, sempre in carta, insieme agli immancabili plin.
Al Magorabin troverete una cucina di sostanza e divertente, magari non sempre bilanciatissima, anche se vanno riconosciuti i meriti allo chef che si prende il rischio di giocare sul filo dell’equilibrio gustativo.
Alla piacevolezza complessiva contribuisce anche la curatissima location, in centro città e, dulcis in fundo, un servizio decisamente di alto livello – vi servono appetizers, due entrate e pre-dessert – e la carta vini sorprendentemente ricca e con bassi ricarichi.
Avanti così.

Piacevoli gli stuzzichini iniziali (molto rustici) serviti con un Bellini fatto a regola d’arte, con succo di pesche di Volpedo.

Club Sandwich al cucchiaio. Ottima materia prima e rivisitazione personale e intelligente.

Secondo amuse bouche. Ancora il territorio rivisitato: Rape e salsiccia.

Ottimo e vario il pane, ma anche i grissini e le schiacciatine.

Per non parlare del cremoso burro all’erba cipollina.

Oyster – Steak Tartare. Gioco acido-iodato bilanciato dalla mela verde. Bravo.

Lingua , Gamberi e Mandarino, dal gusto iniziale orientale, poi sul finale torna la rotondità gustativa della tradizione con la lingua brasata.

Castellana di Capesante 2.12. Bella idea con la capasanta che sostituisce il tradizionale vitello (tradizionalmente farcito con prosciutto e tartufo) e con i ripieni all’esterno. Il gusto però è poco convincente, con il tubero praticamente non pervenuto.

Impeccabili i Plin di Nonna Lucia. Preceduti dagli altrettanto classici Tortelli con scampi e bisque di crostacei (foto di apertura) questa volta con l’influenza transalpina a farla da padrone.

Maialino , Scampi e Bok-Choy. Piatto spagnoleggiante, ma il fondo bruno ti riporta sotto le Alpi. Da manuale la cottura del maialino.

Ricciola con fegato grasso, asparagi (appunto cileni) e scalogni glassati. Abbinamento riuscito, ma un piccolo errore tecnico c’è stato nella cottura pronunciata del pesce (forse dimenticato qualche secondo di troppo sotto la salamandra).

Pre-dessert golosamente appagante: krapfen alla crema con sorbetto al mandarino.

Pesca e cioccolato, una rivisitazione della Sacher.

Friandises



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Leonardo Casaleno

Avvocato di professione e appassionato cinefilo, il suo cammino è stato segnato fin dalla giovane età da un sorprendente incontro con una passatina di ceci sulla via di San Vincenzo: un momento che ha acceso in lui un profondo culto per il cibo. Oggi sfugge con entusiasmo alla monotonia quotidiana per andare alla ricerca di tavole tradizionali o innovative che siano, purchè autentiche e capaci di sfamare la sua curiosità gastronomica. Nutre un altro grande amore per i viaggi che si manifesta in modo spontaneo: prenota un ristorante, quindi pianifica l’itinerario.

1 Comments

  1. Cristina ha detto:

    è sicuro che il dessert sia una rielaborazione della sacher? Perché a me ricorda molto di più la tradizionale pesca al cioccolato piemontese.

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VALUTAZIONE

Cucina Classica

15/20

PREGI
La spiccata personalità dello chef
DIFETTI
La cottura pronunciata di quella ricciola

INFORMAZIONI

PREZZI

Menu degustazione: “Memoria” 40€, “I Classici” 60€, “A Mano Libera” 80€
Alla carta: 70€

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